Oggi, quasi tutte le donne in gravidanza vengono in contatto con analisi cliniche che saggiano la “normalità del concepito”.
Si viene alla luce dopo aver superato l’esame.
Chi non ce l’ha fatta viene abortito. Ma anche i sopravvissuti pagano un duro prezzo…
Una bella mattina di primavera, una mattina come le altre, vi alzate, andate a lavoro e aprite il giornale: per uno strano caso notate una notizia che vi attira.
Leggete meglio e trasecolate: il giornale riporta chiaramente che voi avete avuto un fratello che quando era molto piccolo è morto. E nessuno ve ne aveva parlato. Fate fatica a crederci, ma l’articolo è dettagliato e, leggendolo, vi rendete anche conto che vostro fratello non è morto proprio per caso, ma che qualcuno – e proprio qualcuno cui voi volete molto bene – ha avuto a che fare con la sua morte. Quali sentimenti genera questa scoperta, quali ambivalenze, quali conflitti o domande? Strampalata situazione? Non tanto: è quello che può succedere quando qualcuno scopre, per qualche motivo, che un suo fratellino è stato abortito.
Già nel 1983, lo psicologo Philip Ney riportava che il sopravvissuto ad aborto può sviluppare sentimenti di ostilità, trattenuti dalla necessità di continuare a sentirsi voluto; può essere oggetto di sovra-protezione, per i sensi di colpa dei genitori, e su di lui si possono riversare attese impossibili, se è vissuto come «figlio-sostituto».
Benoit Bayle, noto psichiatra francese, ha parlato dell’argomento in un libro: L’embrione sul lettino. Psicopatologia del concepimento umano. In un’intervista (Avvenire, 22 marzo 2005) così si esprime: «Quando si impiantano tre embrioni e uno solo sopravvive; quando i biologi scongelano gli embrioni e circa il 40% di essi perisce; quando i medici praticano un “feticidio” su una gravi- ‘ danza multipla, quando in altre parole il bambino appartiene a un gruppo di pari che è stato decimato prima della sua nascita, si osservano talvolta problemi psicologici paragonabili a quelli osservati nei sopravvissuti a catastrofi di tipo diverso. Tali traumi si orientano in tre direzioni. L’essere umano concepito può pensare: “perché sono in vita io e non gli altri?”. Inconsciamente, può provare un senso di colpa notevole. Ma può avvertire anche, a seconda delle circostanze, una sensazione di onnipotenza o di megalomania: “Sono più forte degli altri, più forte della morte”, “sono indistruttibile dal momento che sono sopravvissuto…”. Questi sentimenti di colpa e di onnipotenza talora coesistono paradossalmente e si accompagnano ad un’esposizione al rischio, diretta (mettersi in situazioni di pericolo) o indiretta (ad esempio, sviluppando malattie psicosomatiche)».
Insomma, cosa passa per la mente di una ragazza, di un uomo che viene a sapere che uno o più suoi fratelli concepiti con lui o prima di lui sono stati volontariamente scartati/eliminati? Possiamo solo immaginario, ma quello che non crediamo opportuno è disinteressarsene: la scoperta di un fatto così personale ed intimo non lascia indifferenti. Esistono libri per aiutare i genitori a far accettare un aborto spontaneo ai fratellini già nati (per esempio No Smile Cookies Today di K. Kennedy Tapp, o Molly’s Rosebush di J. Cohn), proprio perché non è un passaggio facile, che anzi potrebbe essere sbagliato censurare.
Immaginiamoci allora quando l’aborto non è spontaneo, come sottolineano nel 2006 Philip Ney e collaboratori dell’Università della British Columbia, parlando chiaramente di Sindrome del sopravvissuto all’aborto, che mostra segni diversi da chi ha avuto fratelli morti per aborto spontaneo. Per questo è importante ricordarsi che il dramma dell’aborto non interessa solo le persone che direttamente lo subiscono, cioè il bimbo e la donna. E non riguarda solo la famiglia. È il dramma della generazione dei nati nell’epoca in cui abortire è lecito, i quali sanno che, se si fossero presentate le condizioni, avrebbe potuto succedere a loro.
Si dirà che questa è un’esagerazione e che tante coppie mai penserebbero ad abortire, ed è vero. Ma la possibilità teorica c’è; e, anche senza saperlo, oggi quasi tutte le donne – che stanno per diventare mamme vengono in contatto con esami che saggiano la «normalità del feto». Alcuni esami sono invasivi (l’amniocentesi, per esempio), altri guardano nel sangue materno se c’è un rischio, altri infine si basano sull’esame ecografico di certe caratteristiche (per esempio la famosa «plica nucale» o l’osso nasale) per valutare il rischio di sindrome di Down. E ormai siamo diretti verso uno screening generalizzato. Insomma, chi nasce oggi sa di essere nato dopo aver superato l’esame. Alcuni sono nati «perché» lo hanno superato, altri sarebbero nati comunque. Ma tutti hanno fatto l’esame. E questo essere esaminati non è una cosa da poco, se è il modo che la società ha, e spesso anche i genitori, per avvicinarsi la prima volta al figlio. Passati i secoli dello stupore per una nuova vita, oggi si «accerta» la normalità e poi si «accetta» il figlio.
Ma quello che è più importante è che questo coincide con una particolarità ben nota ai sociologi: la generazione dei ragazzi di oggi viene chiamata da loro come la generazione degli «echo-boomers», nome difficile, ma che nasce dalla fusione del termine «baby-boomer» (cioè i figli del boom economico nati negli anni ’60) e del termine «echo» (eco), che insieme stanno a dire che questi ragazzi oggi vivono solo di riflesso dei sentimenti, delle speranze deluse, dei desideri frustrati dei loro genitori. Non hanno più desideri propri, ma vivono per soddisfare i desideri di chi li ha messi al mondo e lasciati nascere… forse perché sanno che sono nati proprio perché hanno adempiuto, da feti, i desideri dei genitori. Pensavamo che fosse finita l’epoca del padre-padrone, ma ora torniamo ancora più indietro.
Sia che siano sopravvissuti ad un aborto, sia che siano passati attraverso l’analisi genetica prenatale, la generazione dei nostri figli è una generazione di sopravvissuti, per accedere alla quale perlomeno ti domandano prima se hai certe caratteristiche. L’aborto è il trauma finale, ma ci preoccupa anche l’aria che i nostri figli respirano e di cui sono ben consci: quella in cui «chi non è desiderato è indesiderabile».
RICORDA
«Di fronte all’arrivo di un figlio, oggi ci si chiede: lo tengo o abortisco? Tale possibilità conferisce ai genitori un potere esorbitante, un potere di vita e di morte. Questo può influenzare il figlio e trasmettergli una grandissima insicurezza: può arrivare a immaginare il peggio per sé se non sarà in grado di rispondere alle aspettative dei genitori.
Con la scelta poi del sesso, i genitori hanno un altro potere, quasi altrettanto esorbitante, quello di determinare in provetta l’identità sessuale del figlio. Ora essere maschio o femmina non è la stessa cosa, non dà luogo alla stessa esistenza».
(«Perché sono in vita io e non gli altri?», intervista e Benoitl Bayle, www.avvenireonline.it/Vta/Articoli/lnterviste/20050322.htm ).
BIBLIOGRAFIA
Benoit Bayle, L’embrione sul lettino. Psicopatologia del concepimento umano, Koiné, 2005.
Carlo Valerio Bellieni, L’alba dell’io, Società Editrice fiorentina, 2006.
Philip Ney, Claudia Sheils, Marek Gajowy, Post Abortion Survivor Syndrome (PASS): signs and symptoms, «Southern Medicai Journal», 99 (2006), pp.1405-1406.
Dossier: Il dramma del post-aborto
IL TIMONE N. 86 – ANNO XI – Settembre/Ottobre 2009 – pag. 44 – 45