Il cristianesimo si è giovato dell’apporto fecondo della filosofia greca senza lasciarsi deformare. Un inventario di concetti cristiani inediti, per rispondere a chi rivendica la «deellenizzazione»
Riprendiamo il discorso iniziato il mese scorso, compresa la numerazione dei paragrafi
10. Come diventare simili a Dio
La somiglianza con Dio è innata in ogni uomo,ma è anche da consolidare e incrementare,cercando di diventargli sempre più simili. Peri Greci ciò avviene esercitando in modo eccellente la ragione, visto che Dio è ragione; per i cristiani ciò avviene esercitando non solo la ragione ma anche l’amore, visto che Dio è Ragione ma è anche (e pariteticamente) Amore.
11. Come giungere a Dio
La filosofia greca, in una certa misura, svaluta la fede (ad eccezione di Platone, che aveva concepito la fede nei racconti dei miti come completamento dei risultati della filosofia) e (Platone compreso) addita all’uomo come scopo da raggiungere l’esercizio del sapere filosofico, che per alcuni autori consente di giungere a Dio. Il cristianesimo, invece, pur considerando preziosissima la filosofia (anche perchè essa può aiutare ad esercitare l’atto di fede), afferma che per giungere a Dio è necessario sia l’esercizio della fede, sia (come abbiamo già detto) l’esercizio dell’amore nei riguardi degli altri (e questo nessun greco lo rimarca) e nei riguardi di Dio (in Platone l’amore-eros conduce all’Uno, ma esso è diverso dall’amore-agape cristiano, cfr. punto 13; inoltre, i casi sono due: o per Platone l’amore si estingue quando l’Uno ne diventa effettivamente l’oggetto, e dunque l’uomo sembra relazionarsi all’Uno nella forma della visione intellettuale, più che dell’amore, cfr. Simposio, 211 B – E; oppure l’amore resta quale componente della visione che l’uomo ha dell’Uno, ma, più che di amore, in realtà, si tratta di affetto, perchè l’Uno non è una Persona, bensì un Principio impersonale).
12. Amore come dono e Dio come Amore
A proposito di amore. I filosofi greci esprimono una visione «egoistica» o almeno autointeressata dell’amore umano. L’amore greco è eros, desiderio (orexis) di ciò che ancora non si possiede, desiderio di eliminare un’indigenza e di colmare una mancanza (Una eccezione, ma in ambito letterario, è l’Alcesti di Euripide). é vero che in Aristotele si trovano passi in cui è lumeggiata una visione disinteressata dell’amore umano (Etica Nicomachea, 1159b 27-33), ma altri passi contraddicono questa gratuità dell’amore (Ibid., 1159a 7-13). Pertanto, Aristotele ritiene che Dio non possa amare l’uomo, perchè ciò sarebbe sintomo di una qualche imperfezione a cui Dio cercherebbe di rimediare, e ciò sarebbe assurdo perchè Dio è perfetto. Per Aristotele Dio non può amare gli uomini, può solo essere amato da essi: è oggetto e non soggetto d’amore. Viceversa, per il cristianesimo l’amore è agape, non è ricerca ma dono, non è autointeressato bensì è disinteressato e gratuito, è premura generosa e sollecitudine per il bene dell’altre ed è sintomo di perfezione che si effonde verso chi si ama. Pertanto «Dio è Amore» (1 Gv, 4-8) in grado supremo, è sovrabbondanza di bontà.
12.1. Il comandamento dell’amore Di certo, per i Greci il principio supremo dell’etica non è il cristiano “comandamento dell’amore”: «amerai il Signore Dio con tutto il tuo cuore […] e il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22,37).
12.2. L’amore per i nemici Di certo, i Greci non arrivano minimamente a proporre l’amore persino per il nemico, di cui invece parla Gesù.
12.3. Dio provvidente anche verso l’uomo malvagio C’è forse uno spiraglio nella direzione dell’esistenza di una amore-premura-provvidenza di Dio per l’uomo anche in Aristotele, ma in un passo (Etica Nicomachea, 1179a 24-34) che però potrebbe anche solo ripetere un modo di dire; ad ogni modo, nella sua visione generale, egli ritiene non soltanto che Dio non ami l’uomo, ma che nemmeno lo pensi (Metafisica, 1074b 21-27). È vero che in alcuni passi platonici viene più chiaramente attribuita a Dio la provvidenza (Apologia di Socrate, 41 D, Repubblica, 612 E – 613 A, Timeo, 29 E – 30 A), ma solo nei confronti dell’uomo buono. Invece il cristianesimo estende l’amore- provvidenza di Dio a tutti gli essere umani, compresi i malvagi ed i peccatori: «Guardate gli uccelli: non seminano e non mietono, non hanno né ripostiglio né granai, e Dio li nutre. Quanto più degli uccelli voi valete! Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? […]. Guardate i gigli come crescono: non filano, non tessono: eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, quanto più voi gente di poca fede?» (Lc 12, 22-30). È vero che gli Stoici parlano di una provvidenza universale, ma, in realtà, in questi filosofi, il concetto di provvidenza ha un significato diverso, equivale al Destino.
12.4. Dio amico dell’uomo, fino alla croce E se nei Greci si trova una qualche idea dell’amore-provvidenza da parte di Dio verso l’uomo, nessuno è arrivato a pensare un amore di Dio per l’uomo addirittura nella forma dell’amicizia: «non vi ho chiamato servi, ma amici» (Gv 15,15). Il Dio cristiano ama tutti, ama tutti fino alla morte in croce e «non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).
12.5. Nuovo rapporto uomo-Dio Perciò muta anche il rapporto uomo-Dio: l’uomo cerca di compiere una salita verso Dio (come in Platone), ma, prima che lui prenda qualsiasi iniziativa, è Dio che compie una discesa verso l’uomo (creandolo e con l’Incarnazione di Cristo), mediante un amore che arriva fino al punto di morire in croce per lui.
12.6. Lo Spirito Santo come Amore del Padre e del Figlio Il cristianesimo, insomma, senza i tentennamenti di Platone e Aristotele, dice che l’amore è dono gratuito e che «Dio è Amore». Aggiunge che una delle Persone divine, lo Spirito Santo, è l’Amore del Padre e del Figlio, Amore perfetto e totalmente generoso.
13. La resurrezione del corpo
Un altro tema nuovo riguarda il corpo. I Greci hanno raggiunto (con Platone, forse già con Socrate) il traguardo dell’affermazione dell’immortalità dell’anima, ma ritenevano inconcepibile la resurrezione della carne alla fine della storia (come si vede bene dallo scandalo dei sapienti ateniesi quando sentono san Paolo enunciare questa dottrina cristiana, cfr. Atti degli apostoli, 17, 22-34). La resurrezione della carne (da non confondere con la reincarnazione) è assurda per i Greci, poiché essi reputavano negativo il corpo (ad eccezione di Aristotele, che, però, non si pronuncia nemmeno sull’immortalità dell’anima, anzi forse la nega in EN, 1115 a 26), quindi speravano di sbarazzarsene con la morte. Nel cristianesimo, invece, il corpo è buono perché creato da Dio, può addirittura essere «tempio dello Spirito Santo» (1 Corinzi 6,19): dunque nulla preclude che, per volere di Dio, possa risorgere «glorioso» alla fine del tempo.
14. Il tempo è rettilineo
Proprio a proposito del tempo si evidenzia un’altra differenza. Per i filosofi greci (per gli storici il discorso è diverso) il tempo ha un andamento ciclico, circolare: tutto si ripete continuamente in un «eterno ritorno dell’identico». Per il cristianesimo invece il tempo ha un andamento lineare, rettilineo ed ogni evento è nuovo (anche se possono esserci somiglianze con il passato): c’è un inizio della storia (la creazione), un suo evento centrale (l’Incarnazione di Gesù Cristo) ed una fine (la parusia, cioè la seconda venuta di Cristo, che compie il giudizio universale).
15. La virtù dell’umiltà
Ancora, la civiltà greca è una civiltà eroica, che tiene in altissima considerazione l’eroe guerriero e/o l’eroe morale, il quale si autocompiace della propria virtù. Invece, il cristianesimo (pur valorizzando l’autostima, quando è ben fondata) predica la nuova virtù dell’umiltà, la virtù di chi prende consapevolezza dei propri limiti e delle proprie mancanze.
16. La non autosufficienza dell’uomo e la necessità della Grazia
E qui veniamo all’ultimo punto di questo inventario incompleto. Infatti, per la filosofia greca, il filosofo-saggio è autosufficiente, autarchico, capace di raggiungere da solo il suo fine ultimo, il suo bene supremo. Invece, per il cristianesimo la salvezza deve essere meritata da ogni uomo (attraverso l’esercizio della fede e dell’amore), ma all’uomo è impossibile raggiungerla senza la Grazia di Dio. Come dice Gesù, «senza il mio aiuto non potete fare nulla» (Gv 15,4-5).
IL TIMONE N. 89 – ANNO XII – Gennaio 2010 – pag. 30 – 31