La Cina moderna nasce dalle ceneri del secolare impero e da una lunga e sanguinosa guerra civile. Il suo uomo pubblico più celebre, Mao, è stato un “rivoluzionario di professione” che ha portato l’ideologia comunista al potere. Gli apsetti disumani del Sessantotto cinese.
«La Rivoluzione culturale aveva fatto precipitare l'intero Paese nel caos più totale. Nessuno più lavorava. Giovani e vecchi, senza distinzione, passavano tutto il tempo fra "riunioni di massa" e "sessioni di lotta". Le persone erano trascinate a forza sui palchi, dove subivano bordate di accuse e di ingiurie della folla. Non importava che le imputazioni fossero inconsistenti e infondate. Tra i molti che non erano in grado di sopportare la violenza di questo linciaggio morale, alcuni davano, in seguito, segni di squilibrio, altri si suicidavano. Non si è lontani dal vero quando si afferma che, in quegli anni, il Paese era diventato un gigantesco manicomio».
Questo passo, tratto dal Libro rosso dei martiri cinesi (San Paolo 2006), restituisce in tutta la sua drammaticità il clima terribile del periodo più buio della lunga stagione del maoismo, il "comunismo dal volto cinese", conclusasi nel 1976 con la morte del "Grande timoniere".
Quando pensiamo alla Cina di oggi viene spontaneo associarle l'aggettivo "comunista". Tale, infatti, si qualifica, ideologicamente (più che politicamente), la Repubblica Popolare Cinese, istituita da Mao nel 1949. In realtà, l'avvento del comunismo riguarda "solo" l'ultimo periodo (ormai quasi 60 anni) di una storia plurimillenaria, scandita dalle celebri dinastie che, lungo i secoli, hanno reso la Cina un Paese ricchissimo di cultura, arte e tradizioni, in larga parte spazzate via dalla furia ideologica e devastatrice del nuovo regime.
La fine dell'Impero e la nascita della Repubblica (1912)
Per comprendere fino in fondo la Cina di oggi, dobbiamo perciò risalire agli inizi del secolo scorso, quando la storia del Paese conosce un'improvvisa accelerazione con la caduta dell'Impero. Il primo gennaio 1912 viene proclamata la Repubblica; Sun Yat-sen è nominato presidente provvisorio dal Consiglio delle province. Il 12 agosto dello stesso anno viene fondato il Partito nazionalista, il Kuomintang, e Sun Yat-sen ne è acclamato presidente.
Mentre il Paese finisce in balia dei "signori della guerra", in Cina penetra la dottrina marxista, veicolata dall'Urss. Nel luglio 1921, a Shanghai, viene fondato il Partito comunista cinese.
L'inizio della guerra civile (1925)
La morte di Sun Yat-sen (12 marzo 1925) segna l'ascesa al potere del generale Chiang Kaishek. Ha inizio così una guerra civile – tra nazionalisti e comunisti – che sarebbe terminata solo di lì a un quarto di secolo e i cui strascichi si avvertono ancora oggi.
I comunisti di Mao, che nel frattempo avevano istituito la "Repubblica sovietica cinese" nel sud del Paese, si vedono costretti a intraprendere quella che nella mitologia maoista diverrà la "Lunga marcia" (1934-1935) per sfuggire all'accerchiamento delle truppe di Chiang. Dopo una tregua in funzione anti-giapponese, alla fine della seconda guerra mondiale la guerra civile riprende. Nel luglio 1949 Chiang Kaishek è costretto a rifugiarsi con le sue truppe sull'isola di Taiwan (allora detta Formosa).
Da allora, il regime di Pechino ha mantenuto la ferma convinzione che Taiwan appartenga alla Cina, nonostante Taiwan cerchi di dichiararsi formalmente indipendente (lo è già, ma gli altri Stati non la riconoscono come tale per evitare una crisi diplomatica con la Cina). Negli anni scorsi Pechino ha pure minacciato operazioni militari nel caso in cui Taiwan avesse dichiarato l'indipendenza.
La persecuzione religiosa
Ma torniamo alla storia. Il primo ottobre del 1949 viene fondata la Repubblica Popolare Cinese. Preso il potere, il Partito comunista si impegna in un'intensa propaganda per l'ateismo: inizia la repressione delle «attività contro-rivoluzionarie», incluse quelle religiose. Il 2 agosto 1957 viene costituita l'Associazione patriottica dei cattolici cinesi, lo strumento del Partito comunista incaricato di gestire il controllo della Chiesa cattolica.
Quelli che seguono (1958-1962) sono gli anni del tragico "Grande balzo in avanti", con il quale Mao punta ad una radicale trasformazione del Paese. Il tradizionale tessuto sociale cinese, basato sulla vita familiare e di villaggio, viene rivoluzionato con l'istituzione delle comuni popolari, con le quali il regime comunista tenta di collettivizzare ogni aspetto della vita dei contadini. Ma il sogno si trasforma in incubo. Milioni di persone muoiono per gli effetti di una tremenda carestia e per la pessima gestione delle risorse naturali. A ciò si aggiunge un numero altissimo di persone eliminate per ragioni politiche.
La Rivoluzione culturale e proletaria: il Sessantotto cinese
Nel 1966 prende il via la Rivoluzione culturale e proletaria: il movimento si propone di eliminare le vestigia dell'antica tradizione culturale cinese, per imporre in modo violento un totale cambiamento ideologico.
La fase più acuta della Rivoluzione culturale dura fino all'autunno 1967. Tra il 1966 e il 1969 vengono chiuse le pochissime chiese ancora rimaste aperte; molte chiese subiscono il vandalismo delle Guardie rosse e vengono distrutte. Sacerdoti e vescovi continuano a essere arrestati, processati, incarcerati, compresi quelli aderenti alla Associazione patriottica. La Cina si presenta al mondo come un Paese completamente ateo, con l'eliminazione radicale di ogni religione e la proibizione di qualsiasi manifestazione di fede.
Nel 1971 un altro episodio-chiave: l'internunzio apostolico a Taiwan, monsignor Edward Cassidy, è messo in congedo; da allora la nunziatura presso la Repubblica di Cina (a Taiwan) viene affidata a un incaricato d'affari.
La morte di Mao
Occorre attendere la morte di Mao (1976) perché la Cina volti finalmente pagina. Con l'arrivo di Deng Xiaoping prendono il via le «quattro modernizzazioni» (agricoltura, industria, tecnica, forze armate), riforme che si riveleranno decisive. Tramontata l'utopia della dittatura del proletariato – per quanto formalmente nulla sia cambiato nell'ideologia della Repubblica Popolare Cinese il motto diventa "arricchirsi è glorioso". A dispetto di quanto accaduto in Russia alla fine degli anni Ottanta, i governanti cinesi appaiono preoccupati soprattutto di alzare il tenore di vita delle masse, senza porsi il problema della democrazia e dei diritti civili, concepiti come un lusso. Alla fine degli anni Novanta gli imprenditori verranno persino ammessi nella stanza dei bottoni del Partito; una svolta radicale, non meno significativa dell'introduzione, in tempi recenti, della proprietà privata nella legislazione cinese.
Ma il risultato di uno sviluppo economico figlio del turbo-capitalismo cinese è una borghesia di 300 milioni di abitanti (contro altri 900-1000 milioni, i contadini delle campagne, che restano in miseria); un inquinamento a livelli record; l'assenza o quasi di diritti sindacali e della libertà di informazione.
I nuovi dirigenti cominciano a concedere una limitata libertà religiosa: a fine anni Settanta-inizio anni Ottanta si riaprono al culto numerose chiese che vengono affidate a vescovi e preti controllati dall' Associazione patriottica.
Negli anni successivi la politica religiosa si caratterizzerà per un continuo alternarsi di "bastone e carota"; quel che non muterà mai è la pretesa dello Stato di controllare le religioni e l'espressione pubblica delle fedi.
Nel caso della Chiesa cattolica ciò si spinge a pesanti intromissioni nelle nomine dei vescovi, fino ai casi-limite delle ordinazioni illegittime, vere e proprie provocazioni del regime contro la Santa Sede.
L'odiosa politica del "figlio unico"
Negli anni Settanta prende il via anche la pesante campagna di "contenimento" demografico basata sulla politica del figlio unico: una drastica modalità di imporre la pianificazione familiare che semina violenza (aborti imposti a donne al nono mese) e, nel giro di un trentennio, "fa risparmiare" al Paese circa 300 milioni di abitanti. Il risultato è che oggi i politici cinesi sono allarmati (e a ragione) per i pesantissimi effetti collaterali di tale normativa a dir poco miope, specie sul sistema del Welfare: un aumento spropositato del gap tra giovani e anziani, uno squilibrio, unico al mondo per proporzioni, tra maschi e femmine, una generazione di adolescenti e giovani di figli unici come "piccoli imperatori", viziati ed egocentrici. L'introduzione di una relativa libertà in campo economico (ma chi tiene le redini sono sempre i boss del Partito) permette uno sviluppo economico progressivamente incalzante. Negli anni Ottanta e Novanta la Cina diventa la "fabbrica del mondo": imprenditori e investitori stranieri da tutto il mondo puntano su Pechino, Shanghai, Guanghzou (Canton), facendo enormi profitti in breve tempo.
La strage di piazza Tienanmen
Se sul fronte economico i cambiamenti si succedono a ritmo vertiginoso, in ambito politico il regime non dà segni di sostanziale cambiamento. Anzi, con la feroce repressione di Piazza Tienanmen, nel giugno 1989, segnala in maniera inequivocabile l'intenzione di mantenere il controllo totale della situazione. Analoga durezza e brutalità Pechino sfodera in molteplici occasioni per piegare attivisti per i diritti umani, leader della società civile e chiunque si faccia portatore di istanze democratiche o autonomistiche (Tibet e Xinjiang).
Nel 1997 Pechino riconquista il controllo su Hong Kong, sede finanziaria di primissima importanza, fino ad allora colonia inglese. Pur conservando alcuni privilegi storici, in ossequio al principio "un Paese, due sistemi", Hong Kong negli anni successivi vedrà farsi gradualmente più ingombrante l'ombra della Cina sulla sua vita politica. Tre anni dopo anche Macao, prima sotto influsso portoghese, ritorna ad essere una provincia cinese: una doppia mossa che va in parallelo alla cresciuta statura politica ed economica e al peso via via crescente della Cina nello scacchiere internazionale, sancito dall'assegnazione dei Giochi Olimpici del 2008.
Quanto durerà l'inedito mix tra capitalismo occidentale e comunismo?
Per quanto tempo il popolo, in cambio del pane, rinuncerà a reclamare diritti? Incognite difficili da sciogliere, dal cui esito dipende non solo il domani della Cina ma, in parte almeno, anche il futuro del mondo.
CRONOLOGIA ESSENZIALE
1949: Il 10 ottobre viene proclamata la Repubblica popolare cinese.
1958-1962: Mao lancia il "Grande balzo in avanti": il regime comunista procede alla collettivizzazione.
1966-76: Viene lanciata la Rivoluzione culturale e proletaria. I morti si conteranno a decine di milioni.
1976: Il 9 settembre muore Mao Zedong.
1978: Deng Xiaoping avvia le riforme in campo economico.
1989: Massacro di Piazza Tienanmen: il regime reprime brutalmente le proteste di piazza.
1997: 1 luglio, Hong Kong, allora colonia britannica, torna alla madrepatria cinese.
1999: 20 dicembre: anche Macao, ex colonia portoghese, finisce sotto il controllo di Pechino.
2001: ingresso della Repubblica popolare cinese nel Wto.
2008: a Pechino si celebrano i Giochi olimpici.
LA VOCE DEL PAPA
«[…] desidero ricordarvi quanto il Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato con voce forte e vigorosa: la nuova evangelizzazione esige l’annuncio del Vangelo all’uomo moderno, con la consapevolezza che, come durante il primo millennio cristiano la Croce fu piantata in Europa e durante il secondo in America e in Africa, così durante il terzo millennio una grande messe di fede sarà raccolta nel vasto e vitale continente asiatico».
(Benedetto XVI, Lettera ai cattolici nella repubblica popolare cinese, 27 maggio 2007, n. 6)
Dossier: La Cina che non vedremo in televisione
IL TIMONE – N. 75 – ANNO X – Lug/Agosto 2008 – pag. 36-38