Le verità di Dio sono anche verità etiche. La Bibbia è in fondo il primo manuale di etica consegnato all’umanità. Dio aveva fatto un grande dono all’uomo: la vita. Ora si trattava di munirlo anche del suo “libretto d’istruzioni”. Come vivere la vita? A differenza di tutte le altre cose nel mondo, l’uomo non aveva un destino programmato dalle leggi fisiche o biologiche, perché la sua libertà gli poneva nelle mani la straordinaria possibilità di scegliere da sé la propria direzione di vita. Tuttavia egli aveva perduto quella luce che avrebbe dovuto illuminare le sue scelte. A causa del peccato aveva perso la visione soprannaturale delle cose, il senso della vita, la direzione di marcia. Occorreva che Dio gli rivelasse chi era, cosa fosse in verità la natura umana; occorreva che Dio gli restituisse di nuovo la luce di sé.
La storia della salvezza è dunque storia delle rivelazioni di Dio. Nella Bibbia Dio rivela assai poco di se stesso, mentre rivela moltissime cose sull’uomo.
Come se Dio dicesse: prima di poter conoscere me, devi conoscere te stesso; devi tornare a essere quello specchio che mi rifletteva, se vuoi essere in grado di intendere la mia Luce. Dio si rivela nella storia come Dio della Alleanza e attraverso gli avvenimenti storici afferma soprattutto molte verità sull’uomo.
Le verità di Dio sono dunque anche verità morali. Già il decalogo appare come il primo codice etico consegnato agli uomini. Osservando le più elementari norme morali, l’uomo riacquista gradualmente la sua forma. È allora che la sua natura “si raddrizza”, che la superficie del suo specchio torna a essere liscia e in grado di riflettere-conoscere Dio. È così che Dio gli si rivela.
L’insegnamento di Gesù ci mostra ancora meglio che le verità di Dio sono verità redentive, che la rivelazione in realtà redenzione. Il comandamento nuovo che Gesù aggiunge al decalogo («Amate vi gli uni gli altri come lo ho amato voi») agisce e opera proprio sulla trasformazione dell’uomo: raggiunge il centro del nostro essere, il cuore, e lo evoca verso la conversione-redenzione. Ed è l’uomo in grazia, il rifluire della santità, che permette la conoscenza delle cose celesti, le quali, anche se fossero tutte quante scritte, sarebbero completamente arcane per chi non ha riscoperto il ben dell’intelletto.
La grande carenza dell’umanità non è nella scarsità dei mezzi di conoscenza, che da tutte le parti ci circondano sottoforma di pagine scritte e discorsi autenticamente ispirati. La grande carenza dell’umanità è la cecità morale che scaturisce dai peccati e che ottenebra le menti rendendo vane e indecifrabili queste verità. Ecco perché rivelazione e morale sono strettamente connesse: quante volte è proprio la limpidezza dei puri di cuore che “porta” ad accogliere la Rivelazione. È dal terreno buono, e non da quello sassoso, che scaturiscono i germogli di quei semi lanciati dalla rivelazione. Sono i profeti, sono i santi, a divenire nel mondo fari di luce morale, perché nessuna morale può essere rivelata se non attraverso il comportamento del cuore. Se il cuore non risponde, la stessa legge di Dio si abbassa, rimane muta. Prendiamo per esempio la consuetudine al ripudio della moglie che vigeva al tempo di Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli» (Mt 19,8). Un tipico esempio in cui non era la legge a costruire la morale, ma la morale, il costume del cuore, a costruire la legge. Una legge più alta non sarebbe stata compresa. Sarà introdotta solo da Gesù, che definisce il ripudio un adulterio (Mt 19,9). Perché ora era diventato possibile innalzare la legge? E perché solo ora l’uomo poteva rialzare la testa ancora di qualche grado, levigando ancora un poco il suo specchio? Perché ora la durezza di cuore era vinta, i cuori potevano scegliere di non essere più duri: la grazia che sgorgava da Cristo permetteva a chiunque lo volesse di riappropriarsi di umanità, di questo pezzo di cuore perduto. Cristo opera infatti, in chi gli si accosta, il miracolo della redenzione del cuore. Del resto, comandandoci di amare «come lo ho amato voi», cioè come lui, Dio, ha amato noi, egli ci fa capire che il cuore ha ricevuto nuove possibilità di dilatazione. La norma ebraica più alta comandava infatti di amare semplicemente «come se stessi», cioè come “a nostra natura umana era in grado di fare. Il precetto «Ama il prossimo tuo come te stesso» era il meglio della nostra natura. Ma ora si assisteva, con Cristo, a un’altra Natura, quella divina, che entrava nella natura umana. Ora si assisteva, di conseguenza, alla nostra natura umana che entrava in quella divina, e che pertanto era chiamata ad amare “come Dio”.
Per i cuori cambiati, le norme sono più alte, ma anche tutta quanta la vita lo diventa.
RICORDA
«L’esegesi liberale dice che in questo Vangelo si rivelerebbe il fatto che Gesù avrebbe sostituito il culto con la morale. Egli avrebbe accantonato il culto con tutte le sue pratiche inutili. Il rapporto tra l’uomo e Dio si baserebbe ora unicamente sulla morale. Se ciò fosse vero, significherebbe che il cristianesimo, nella sua essenza, è moralità – che cioè noi stessi ci rendiamo puri e buoni mediante il nostro agire morale. Se riflettiamo in modo più profondo su tale opinione, risulta ovvio che questa non può essere la risposta completa di Gesù alla questione circa la purezza. Se vogliamo sentire e comprendere il messaggio del Signore pienamente, allora dobbiamo anche ascoltare pienamente – non possiamo accontentarci di un dettaglio, ma dobbiamo prestare attenzione all’intero suo messaggio. In altre parole, dobbiamo leggere interamente I Vangeli, tutto il Nuovo Testamento e l’Antico insieme con esso».
(Benedetto XVI, omelia del 30 agosto 2009).
IL TIMONE N. 86 – ANNO XI – Settembre/Ottobre 2009 – pag. 61