Analisi di un concetto usato frequentemente, insieme a quello di “laico”, con significati opposti. Lo scopo, spesso, è la rimozione della religione dalla sfera pubblica e il silenzia- mento della Chiesa
ORIGINE DEI TERMINI E CONCEZIONI ERRONEE
Laico come non credente
Ad esempio, molti usano il termine laico per designare il non credente.
Ma questa sinonimia tra laico e non credente stravolge la storia del significato del termine. Infatti, la sua etimologia è il termine greco laos, che vuol dire popolo: già in s. Pietro (1 Pt, 2,9), ancorché non si trovi il termine “laico” è però già presente il concetto, che designa una condizione all’interno della Chiesa, quella dell’appartenente al popolo dei battezzati e dei credenti; il termine “laico” viene impiegato poco dopo da Papa Clemente I, che lo circoscrive rispetto a s. Pietro, designando colui che fa parte del popolo dei battezzati e dei credenti, ma che non ha conseguito alcuna partecipazione all’ordine sacro e non ha emesso i voti.
Alle origini dell’era cristiana, dunque, il laico è tutt’altro che il non credente.
Laico come persona razionale
Ancora, molti stabiliscono una sinonimia tra laico – nuovamente inteso come non credente – e persona razionale, ritenendo che il credente non usi la ragione. Ma anche questa sinonimia è sbagliata, per due motivi.
1. Il credente usa la ragione anche quando fa un atto di fede, perché la fede e la ragione non sono due distinte facoltà dell’uomo. Infatti, può sembrare strano, ma anche l’atto di fede è un atto della ragione, precisamente un atto della ragione credente, è un’attività conoscitiva della ragione: in effetti, affermare «io credo a ciò che tu mi dici» vuol dire «io considero vero ciò che tu mi dici». Ora, è la ragione, in sinergia con la volontà, che considera vera (dà il suo assenso) un’affermazione. In altri termini, io compio un atto di fede quando la mia ragione considera vera una cosa che qualcuno mi ha detto: un mio amico, un libro, un giornale, la Chiesa, ecc.
Così, si può distinguere un atto di conoscenza della ragione credente ed un atto di conoscenza della ragione filosofante. Compio un atto di ragionamento filosofico quando con la mia ragione acquisisco direttamente una conoscenza senza ricorrere a qualcun altro; compio un atto di fede quando con la mia ragione acquisisco vera, quando conosco e ritengo vera un’affermazione affidandomi a qualcun altro che la pronuncia (per un ulteriore chiarimento di questo punto cfr. il Timone, 78 [2008], pp. 30-31).
2. La Chiesa interviene nel dibattito pubblico non già con argomenti confessionali che scaturiscono dalla Rivelazione, bensì proprio con argomenti razionali (per esempio, la Chiesa biasima le leggi abortiste sulla base di argomentazioni razionali: per una critica razionale dell’aborto cfr. il Timone, 72 [2008], pp. 30-31), che dunque si sottopongono al dibattito critico. E la Chiesa chiede anche ai credenti di intervenire a loro volta nel dibattito pubblico facendo leva non già su argomenti confessionali, bensì su argomenti razionali. Quando invece la Chiesa si esprime con argomenti confessionali lo fa rivolgendosi solo ai credenti e non chiede, né a loro né allo Stato, di adottare certe iniziative o leggi sulla base di tali argomenti.
Insomma, si può anche usare l’espressione “argomenti-ragionamenti laici” come sinonimo di “argomenti-ragionamenti razionali”, ma a patto di non attribuire simultaneamente l’irrazionalità ai credenti.
Laicità come neutralità etica dello Stato
È poi erronea la rivendicazione di una laicità dello Stato che equivalga alla sua neutralità etica, perché la neutralità morale è impossibile: già solo se lo Stato vieta il furto, la tortura e l’omicidio, lo fa sulla base di una qualche concezione etica, per la quale queste pratiche sono dei mali morali.
Qualcuno può ribattere che lo Stato le vieta perché sono dannose, non perché sono dei mali morali. Tuttavia, perché non dobbiamo danneggiare gli altri? A che titolo lo Stato ce lo impedisce? Non li dobbiamo danneggiare se e perché danneggiarli è malvagio. Infatti, ci sono diversi casi in cui gli uomini si danneggiano senza malvagità e perciò con il beneplacito della legge: se un padre punisce un figlio gli fa a volte del male fisico, ma non un male morale (purché la punizione sia giusta e proporzionata) e perciò lo Stato non glielo impedisce. E, similmente, un manager che licenzia un impiegato lo danneggia con il beneplacito della legge perché l’atto del licenziamento (se è giusto) non è un male morale.
Laicità come scetticismo/relativismo
Talvolta, ancora, per laicità qualcuno intende una posizione di scetticismo e/o relativismo (soprattutto in etica), perlomeno nella sfera pubblica: afferma cioè che la verità è inconoscibile/inesistente, con ciò cadendo nell’autocontraddizione, perché con ciò stesso egli afferma la conoscibilità ed esistenza di una verità (quella secondo cui «la verità è inconoscibile/inesistente»; il che non significa che l’uomo possa conoscere tutta la verità: può coglierne solo alcuni aspetti).
UNA CORRETTA E «SANA» LAICITÁ
Piuttosto, la Chiesa cattolica promuove oggigiorno una concezione di laicità intesa come distinzione tra religione e politica, tra Chiesa e Stato.
Distinzione non significa opposizione e conflitto (come vorrebbe il laicismo), non implica il silenziamento (laicista) della religione da parte della politica: del resto, riducendo al silenzio la Chiesa si realizza una violazione del diritto alla libertà di espressione, che vale per tutti (purché non venga fatta apologia di reato) e quindi deve valere anche per la Chiesa, che deve dunque poter esprimere il suo pensiero. Tra l’altro, essa ha duemila anni di esperienza e di insegnamenti accumulati da proporre, quindi varrebbe la pena ascoltarla in modo approfondito (dubitando delle ricostruzioni giornalistiche e leggendo direttamente quanto propone).
Distinzione tra religione e politica vuol dire che:
1. i chierici non devono (salvo casi particolari) essere politici (come nelle teocrazie);
2. le norme religiose non devono tradursi in leggi dello Stato (come nelle teocrazie).
Ebbene, la laicità così intesa l’ha proposta in nuce già il vangelo: «rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Lc 20,25).
Continueremo il discorso fra un mese.
IL TIMONE N. 94 – ANNO XII – Giugno 2010 – pag. 30 – 31
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