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21.12.2024

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La dottrina sociale nella Caritas in veritate
31 Gennaio 2014

La dottrina sociale nella Caritas in veritate

 

 

 


Un nuovo capitolo nella storia della dottrina sociale. Lo ha scritto papa Benedetto XVI. Chiarendo anche il difficile ma essenziale legame fra verità e carità

L’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate ha riportato l’attenzione sulla dottrina sociale della Chiesa, offrendo così alle parrocchie, ai movimenti e alle associazioni, ai centri culturali e a chi vorrà, una opportunità non soltanto per presentare e studiare l’enciclica, ma anche per fare comprendere qual è il fine della dottrina o Magistero sociale della Chiesa, definita dal beato Giovanni XXIII «parte integrante della concezione cristiana della vita» (enciclica Mater et magistra, n. 206,). La Chiesa ha fatto molto in questi ultimi anni per rilanciare la dottrina sociale e Benedetto XVI continua sulla scia del suo predecessore. Si possono ricordare le tre “encicliche sociali” di Giovanni Paolo II, la proclamazione del 1991 come «Anno della Dottrina Sociale della Chiesa», il Compendio della dottrina sociale del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nel 2004, per citare soltanto le iniziative di maggiore importanza.
Rimane però la scarsa conoscenza del tema negli ambienti cattolici anche colti e la diffusa incomprensione dello scopo della dottrina sociale, che non è un programma elettorale o sindacale, ma la proposta offerta dalla Chiesa di costruire una civiltà che rispetti il disegno di Dio sull’umanità, che metta al centro della vita pubblica la persona, così come voluta dal Creatore, e le realtà naturali intermedie fra il singolo e lo Stato, cioè la famiglia e la proprietà, in una cornice di libertà della società, a cominciare dalla libertà religiosa e dalla libertà di educazione.

L’uomo è un “animale politico”
Il punto di partenza è l’uomo creato come “essere sociale”, che sviluppa la propria umanità attraverso il rapporto con gli altri, per mezzo di quelle realtà intermedie, a cominciare dal matrimonio, con le quali si organizza la vita di una comunità: l’uomo è un “animale politico”, come scriveva Aristotele.
Lo scopo della politica, che appartiene a pieno titolo all’ambito proprio della dottrina sociale, consiste così nell’organizzare le persone e le comunità intermedie che insieme costituiscono comunemente una nazione.
Dio in sostanza ha voluto che l’uomo raggiungesse il suo fine ultimo, la salvezza eterna, attraverso una serie di relazioni che accompagnano la sua vita e danno vita a una serie di corpi, dalla famiglia alla scuola ai sindacati e agli ordini professionali, alle associazioni ricreative o sportive, a quelle culturali e tutto questo organizzato dalla politica, che ha il compito di “tenere insieme”, di impedire dialettizzazioni di interessi diversi, di cercare il bene comune.
Rivolgendosi all’uomo, la dottrina sociale non può non tenere conto della sua socialità e dunque della necessità di dare un giudizio, che proviene dalla ragione e dalla fede, sulle relazioni che l’uomo instaura nel corso della vita con gli altri e con le cose, perché queste relazioni faciliteranno o renderanno più difficile la sua salvezza. Infatti, come scriveva Pio XII, «Dalla forma data alla società, consona o no alle leggi divine, dipende e s’insinua anche il bene o il male nelle anime, vale a dire, se gli uomini chiamati tutti ad essere vivificati dalla grazia di Cristo, nelle terrene contingenze del corso della vita respirino il sano e vivido alito della verità e della virtù morale o il bacillo morboso e spesso letale dell’errore della depravazione» (Radiomessaggio del 1941 per il 50° anniversario della Rerum novarum). Per questo, la dottrina sociale rientra nelle finalità dell’evangelizzazione e soltanto nell’ottica del Vangelo si occupa dei diversi problemi umani, economici, sociali e politici. In questo senso, essa nasce dalla fede e dal Vangelo.

La dottrina sociale nella storia degli uomini
Ma dove si trova la dottrina sociale? Nel corso della sua lunga storia, la Chiesa ha elaborato il suo Magistero sociale rispondendo ai bisogni degli uomini nelle diverse e mutevoli situazioni storiche. Se la dottrina sociale, nei primi secoli di vita della Chiesa, si evince, fra l’altro, dalle parole di Gesù riportate nei Vangeli sui rapporti fra i diritti di Cesare e quelli di Dio (Mt 22,15-22), all’invito di san Paolo a pregare e rispettare le autorità (Cf Tt 3,1-3), al primato di Dio testimoniato dai martiri che offrono la vita rifiutando di adorare l’imperatore, dalle parole dei primi Papi e dei successori degli Apostoli, dopo l’Editto di Costantino il Magistero si deduce, per esempio, anche dalle lettere pontificie alle autorità politiche per dirimere questioni di carattere pubblico.
Sarà dopo la crisi e il progressivo venir meno della civiltà cristiana realizzatasi nel Medioevo, che la Chiesa sentirà il bisogno di intervenire sempre più organicamente di fronte a una società che andava scristianizzandosi sotto l’influsso di ideologie che mettevano in discussione i fondamenti della civiltà. Nacque così, con la Rerum novarum, nel 1891, e con le successive encicliche, esortazioni, radiomessaggi e lettere apostoliche, discorsi e altri diversi interventi, quel “corpo dottrinale” che verrà chiamato appunto dottrina o Magistero sociale della Chiesa, ma che esisteva fin dalle origini del cristianesimo.

L’eclissi della dottrina sociale
La dottrina sociale ha conosciuto una fase di abbandono negli anni del post-Concilio Vaticano II, quando prevalse nell’ambiente cattolico colto, nei luoghi di formazione e nei seminari, l’idea che non potesse e non dovesse esistere una societas christiana, ma che i cattolici dovessero accettare l’egemonia culturale delle ideologie dominanti e diventare semplicemente i testimoni del Vangelo all’interno di queste società scristianizzate, senza la pretesa di cambiarle.
La dottrina sociale rappresentava un ostacolo perché comportava un giudizio negativo sulle ideologie e spingeva i cattolici a organizzarsi per costruire cristianità alternative al potere dominante, magari di minoranza, comunque ispirate ai principi che appunto provenivano dalla riflessione cristiana sull’uomo e sulla società.
Questa fase postconciliare venne lentamente abbandonata. Non solo i documenti del Vaticano II non la autorizzavano, ma anzi invitavano i cattolici a operare per animare cristianamente l’ordine temporale e per fare questo la dottrina sociale era elemento indispensabile, come per esempio di può ricavare dal decreto del Vaticano II sull’apostolato dei laici, Apostolicam actuositatem, del 18 novembre 1965.
Tuttavia, la società cambiava rapidamente e si presentavano nuovi problemi. Una cosa era denunciare gli errori contenuti nelle ideologie e i danni provocati dalla loro applicazione, un’altra era proporre una via d’uscita a società sempre più disfatte, conflittuali, segnate da continue violazioni della giustizia.
Nel 1967, con l’enciclica Populorum progressio, Paolo VI fece capire che non c’era più soltanto una società occidentale da difendere dalla minaccia comunista, ma un equilibrio mondiale da ricostruire. E per ricostruire, era necessario adottare un atteggiamento diverso dalla difesa pura e semplice: non bastava più denunciare semplicemente gli errori e i danni, ma bisognava indicare una via di ricostruzione. Vent’anni dopo, nel 1987, Giovanni Paolo II riprendeva il tema dello sviluppo nell’enciclica Sollicitudo rei socialis e finalmente, nel 2009, con la Caritas in veritate, Benedetto XVI ha portato un nuovo peculiare contributo al corpo dottrinale della dottrina sociale.

Il legame indissolubile fra carità e verità
Fra i diversi motivi di riflessione contenuti nell’enciclica, alcuni dei quali sono già stati esaminati da Ettore Gotti Tedeschi nel numero scorso del Timone, mi soffermo sul delicato ma decisivo rapporto fra verità e carità affrontato dal Papa nella prima parte del documento. «Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente.
È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario» (Caritas in veritate, n. 3). D’altra parte, «La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa. Ogni responsabilità e impegno delineati da tale dottrina sono attinti alla carità che, secondo l’insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge (cfr Mt 22,36-40). Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici» (n. 1).
L’equilibrio fra verità e carità va ben oltre l’ambito della dottrina sociale per investire tutto il cristianesimo e ha una soluzione cristiana solo alla luce dell’et, et: Dio è Amore e Verità assoluta. «L’amore – “caritas” – è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta» (n. 1).
Se caliamo nell’epoca della “dittatura del relativismo” la ricerca di questo equilibrio, ci rendiamo conto di come il Magistero della Chiesa stia cercando la salvezza dell’uomo concreto che la Chiesa incontra nella storia, cercando di superare ogni possibile rifiuto presentando la verità nel modo più consono alle caratteristiche dell’uomo moderno.
Se l’uomo non accoglierà la verità proposta non dovrà accadere perché essa è stata presentata con arroganza, risentimento, desiderio di rivincita. Ma c’è di più però: la carità non è un codice di buone maniere, una sorta di “galateo dell’apostolato”, essa è l’amore per il prossimo e proviene da Dio, è molto di più di un metodo per favorire la conversione del prossimo, è un elemento costitutivo dell’essere di Cristo, Amore eterno e Verità assoluta.

BIBLIOGRAFIA

Un possibile percorso di studio del Magistero sociale può cominciare dalla Rerum novarum e continuare con i testi successivi pubblicati nelle ricorrenze del 1891: per esempio la Quadragesimo anno di Pio XI (1931), il Radiomessaggio di Pentecoste di Pio XII (1941), la Mater et magistra del beato Giovanni XXIII(1961), la Octogesima adveniens di Paolo VI (1971), la Laborem exercens (1981) e la Centesimus annus di Giovanni Paolo II (1991).
Un altro approccio possibile sono le due voci di Giovanni Cantoni sulla dottrina sociale nell’ambito delle Voci per un Dizionario del pensiero forte, a cura dell’Istituto per dottrina e l’informazione sociale, sul sito www.alleanzacattolica.org

 

 

 

 

IL TIMONE N. 87 – ANNO XI – Novembre 2009 – pag. 58 – 59

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