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22.12.2024

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La dottrina della migrazione
31 Gennaio 2014

La dottrina della migrazione

 

 

 


La Chiesa è spesso tirata in ballo a sproposito nelle polemiche sugli immigrati. Ma il Catechismo è chiaro, quanto ignorato: accanto al dovere dell’accoglienza, ci sono i doveri dello Stato a far rispettare la propria cultura e ci sono anche doveri per chi arriva…
Senza considerare che il primo diritto violato è quello di vivere nella propria terra.
Ormai è diventata una consuetudine: quando un argomento sociale o politico si scalda, sulla stampa appaiono titoloni dedicati a “I vescovi dicono…”, “Il Vaticano condanna…”, “La Chiesa si schiera…” e così via. Quando si passa a leggere gli articoli si scopre che nella stragrande maggioranza dei casi si fratta di dichiarazioni estemporanee di singoli prelati, dei soliti sacerdoti, o addirittura di editorialisti dei giornali cattolici: opinioni rispettabili, ma che in nessun caso possono essere confuse con il Magistero della Chiesa. Un clamoroso esempio lo si è avuto nei giorni caldi della polemica sugli immigrati e sui “respingimenti” in approvazione dell’accordo bilaterale tra Italia e Libia. Per giorni, su stampa e tv abbiamo letto e sentito di dichiarazioni attribuite (tendenziosamente) alla Chiesa o al Vaticano, a volte anche in contrasto tra loro, generando una certa confusione.
Bisogna dunque chiarire anzitutto che la posizione della Chiesa o della Santa Sede su un determinato tema, e quindi anche sull’immigrazione, in nessun caso è affidata al primo prete o vescovo che capita davanti ai microfoni, anche se si occupa di immigrati da una vita. Sia la Santa Sede sia la Conferenza episcopale italiana (sono due istituzioni diverse che non vanno confuse) hanno i propri canali ufficiali per esprimere pareri su situazioni contingenti. E in ogni caso ci sono dei punti di riferimento oggettivi che valgono per tutti:
si trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) e, per i temi sociali, sono ulteriormente declinati nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (CDS), che ordina e sintetizza l’insegnamento magisteriale sui singoli argomenti. AI tema dell’immigrazione, il Catechismo dedica il paragrafo 2241, che fissa tre criteri fondamentali.
Il primo è il dovere delle nazioni ricche ad accogliere lo straniero «alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita». Di fronte al povero e al sofferente non è lecito per nessuno girare la testa altrove o lasciarlo morire in nome di princìpi astratti. Questo è peraltro anche l’ambito proprio per l’azione delle organizzazioni ecclesiali. Allo Stato è lecito chiedere di non ostacolare questa azione di carità.
Tale dovere incontra però due limiti fondamentali. Il primo è definito dall’inciso che segue il dovere di accoglienza, ovvero «nella misura del possibile». Vale a dire che l’ingresso di immigrati non può essere a briglie sciolte, anzi è dovere dello Stato regolare il flusso migratorio secondo le possibilità del Paese di accoglienza. Si stabilisce qui un’importante distinzione tra la persona del migrante – nei confronti del quale va sempre rispettato il “diritto naturale” e va protetto – e la politica migratoria che, nel regolare i flussi, deve stabilire un limite alla permanenza di stranieri in un determinato Paese. Entrando nel caso specifico, un conto è il dovere di soccorrere delle persone in mare, altra cosa è il garantirne la permanenza in Italia, che va invece decisa in base ai flussi decisi dal governo e da altre norme di diritto internazionale.
Su questo punto ci si deve giustamente chiedere quali siano però i criteri con cui stabilire la «misura del possibile». Ci soccorre in questo il Compendio della Dottrina Sociale che, al n. 298, parla di flussi migratori da regolare «secondo criteri di equità ed equilibrio» in modo che «gli inserimenti avvengano con le garanzie richieste dalla dignità della persona umana». L’obiettivo è quello di facilitare l’integrazione dell’immigrato «nella vita sociale» del Paese che lo accoglie, nell’orizzonte del bene comune. Il CDS fa riferimento esplicito al Messaggio di Giovanni Paolo Il per la Giornata Mondiale della Pace 2001 , secondo cui si tratta di «coniugare l’accoglienza che si deve a tutti gli esseri umani, specie se indigenti, con la valutazione delle condizioni indispensabili per una vita dignitosa e pacifica per gli abitanti originari e per quelli sopraggiunti» (n. 13).
Un secondo limite posto dal Catechismo attiene ai doveri dell’immigrato che «è tenuto a rispettare con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo ospita, ad obbedire alle sue leggi, a contribuire ai suoi oneri». L’accoglienza non è dunque una strada a senso unico e lo Stato ha il dovere di vigilare sull’osservanza di questa indicazione. La difficoltà o addirittura l’aperto rifiuto ad integrarsi nella nostra cultura, proprio di alcuni gruppi, costituisce dunque un problema oggettivo alla permanenza in Italia e, più in generale, in Europa. Integrarsi non vuoi dire ovviamente omologarsi, assumere in tutto e per tutto la nostra cultura, ma conoscerla e rispettarla. Imparare la lingua italiana, ad esempio, è il primo passo in questo senso. L’integrazione nella scuola italiana, per i bambini, è altrettanto essenziale e a questo non contribuiscono certo classi della scuola pubblica dove i bambini italiani sono in minoranza. Ma significa anche che lo Stato ha il dovere di far rispettare le sue leggi, che nascono da una ben precisa cultura: non ci può essere spazio per la poligamia, per l’applicazione della sharìa (la legge coranica) anche se limitata ad alcuni casi, per il burkha laddove la legge vieta di circolare con il volto coperto, men che meno per la rimozione dei crocifissi dai luoghi pubblici o per il reclutamento di terroristi.
Quando si affronta il tema dell’immigrazione perciò, vanno tenuti in conto tutti i fattori in gioco e non solo uno di questi, a maggior ragione se si ha la presunzione di interpretare il pensiero della Chiesa.
Rimane comunque un’ultima questione da chiarire, forse la più importante dato che è generalmente ignorata pur essendo la premessa a tutto quanto discusso fin qui. Quando si parla di “bene comune”, ciò non va ristretto alle questioni implicate nell’accoglienza o meno di un immigrato. Dobbiamo aver chiaro, infatti, che il problema dell’immigrazione si pone in quanto un precedente diritto fondamentale è stato violato. Quello di poter vivere nella propria terra. Non stiamo ovviamente parlando di chi “sceglie” di andare all’estero per cogliere migliori opportunità professionali, ma di chi è “costretto” ad abbandonare il proprio Paese spinto dalla fame. A questo aspetto si deve dedicare maggiore attenzione, tenendo anche conto che la migrazione priva i paesi di origine di una importante forza lavoro, in genere delle migliori energie e professionalità. Un fenomeno che tende a rendere questi paesi ancora più poveri e fragili. Non a caso il già citato articolo del Compendio invita esplicitamente a «favorire tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle proprie zone di origine». E il cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, parlando all’Assemblea generale dell’episcopato lo scorso 25 maggio, ha esplicitamente richiesto di rivedere i meccanismi della cooperazione internazionale – italiana ed europea – e dell’economia mondiale in modo da “contribuire a che i figli dei Paesi poveri non si vedano costretti ad affrontare qualunque rischio pur di darsi una speranza di vita».

RICORDA

«Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile tr0vare nel proprio paese di origine. I pubblici p0teri avranno cura che venga rispettato Il diritto naturale, che pone l’ospite sotto la protezione di coloro che lo accolgono. Le autorità politiche, In vista del bene comune, di cui sono responsabili, possono subordinare l’esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche, In particolare al rispetto dei doveri del migranti nel confronti del paese che Il accoglie. L’Immigrato è tenuto a rispettare con riconoscenza Il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo ospita, ad obbedire alle sue leggi, a contribuire al suoi oneri».
(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2241)


IL TIMONE N. 85 – ANNO XI – Luglio/Agosto 2009 – pag. 12 – 13

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