La Chiesa ha a cuore il destino di ogni essere umano. La grande povertà di una donna che ha abortito, perdendo nel figlio una così grande ricchezza, spinge la Chiesa ad offrire il perdono, la misericordia, l’affetto.
Senza togliere il giudizio di condanna e la richiesta di riparazione
Quale è allora il compito della Chiesa verso la donna che ha abortito? Il mandato ricevuto da Cristo, che è uno degli stessi compiti primari della Chiesa, è «la riconciliazione dell’uomo: con Dio, con se stesso, con i fratelli, con tutto il creato» (cfr. Reconciliatio et Paenitentia, 8). Attraverso la Chiesa, la donna che ha sbagliato può ottenere la misericordia di Dio convertendosi con un autentico pentimento. Questo cambiamento del cuore, che investe tutta la persona – pensieri, parole, azioni – deve trasformarsi in veri gesti d’amore, che mostrino il desiderio di riparare il male compiuto. Solo in questo modo, con il dono della grazia del perdono e dell’infinita misericordia di Dio, la donna (e qualsiasi persona che abbia commesso un peccato grave) può riconciliarsi con il Signore e con se stessa, ristabilendo un rapporto personale d’amicizia con Dio, senza il quale non c’è vera ed autentica vita, recuperando l’autostima e il rapporto di piena identità e integrità con se stessa. È necessario, quindi, chiedere il perdono di Dio. Ancora, sempre nella Reconciliatio et Paenitentia (4), Giovanni Paolo Il scriveva che «la riconciliazione […] per essere piena, esige necessariamente la liberazione dal peccato, rifiutato nelle sue più profonde radici». L’unico modo per allontanarsi dal peccato è la conversione, il pentimento, l’autentica contrizione: «La penitenza, pertanto, è la conversione che passa dal cuore alle opere e, quindi, all’intera vita del cristiano» (ibidem). La riconciliazione con Dio, con se stessi, con i fratelli e con tutto il creato non è possibile senza una conversione personale profonda del cuore, e questo è sempre un dono di Dio che deve incontrare la libera volontà dell’essere umano: «Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione» (2 Cor 5,18-19). Ecco il compito della Chiesa.
Purtroppo, in molta parte dell’opinione pubblica, la Chiesa è vista come nemica delle donne e sembra non desideri per loro una vera ed autentica liberazione. L’immagine di severità e di «integrismo» viene applicata ad arte alla Chiesa da alcuni media che, proiettando così un’immagine falsata della stessa nella mente e nel cuore delle persone, la presentano come causa di molti mali della nostra vita, quasi che senza di essa saremmo più liberi. Ma la Chiesa non si preoccupa soltanto di proteggere la vita di coloro che non sono ancora nati. Essa ha a cuore il destino di ogni uomo, soprattutto di coloro che sono i poveri tra i più poveri. La grande povertà di una donna che ha abortito, perdendo nel figlio una così grande ricchezza, spinge la Chiesa ad offrire il perdono, la misericordia, la cura costante per non abbandonare chi ha peccato magari solo per ignoranza o per diversi condizionamenti. Vari e importanti progetti di accompagnamento umano, spirituale e psicologico, sono stati realizzati e sono portati avanti nel corpo ecclesiale per iniziativa di sacerdoti e laici impegnati nella difesa della cultura della vita (pensiamo, ad esempio, al Movimento per la vita italiano o al Progetto Rachele in America).
Questi programmi di impegno per la guarigione delle donne che hanno abortito, per salvarle da un dolore autodistruttivo, questi progetti di orientamento verso un’autentica cultura della vita, sono presenti in varie parti del mondo grazie all’amore e all’entusiasmo di tante persone, uomini e donne. Tramite questi itinerari si giunge alla guarigione di ferite profonde, soprattutto a perdonare se stessi, che è la cosa più difficile in colei che ha praticato l’aborto.
Molte donne che avevano abortito, una volta recuperate con il perdono e vinto il senso di colpa, diventano attive sostenitrici del diritto alla vita, riscattandosi pienamente. Se solo pensiamo alla famosa sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America Roe contro Wade – del 1973, che ha sancito il diritto di aborto rovesciando così le leggi statali e federali che lo proibivano o restringevano – ci troviamo di fronte alla signora Norma Leah McCorvey che, con lo pseudonimo legale di Jane Roe, fu usata da abili avvocati per introdurre la libertà di ab0r:t0 negli Stati Uniti. Oggi, questa signora, è un’attivi, sta antiabortista convertita alla Chiesa Cattolica e dice che la Grazia di Dio può guarire il cuore delle donne vinte dall’amore.
Romano Guardini (1885-1968), nel lontano 1949, poneva il punto di vista decisivo sulla questione dell’aborto: «La vita dell’uomo non può essere violata perché l’uomo è persona. Persona significa capacità di autodominio e di responsabilità personale, capacità di vivere nella verità e nell’ordine morale.
La persona non è un che di natura psicologica, bensì esistenziale. Non dipende fondamentalmente da età o condizioni psicofisiche o doti naturali, bensì dall’anima spirituale che è in ogni uomo» (Il diritto alla vita prima della nascita, p. 17). L’anima spirituale immortale, creata da Dio, è posta nella madre che deve far crescere, tutelare e proteggere il bambino, corpo e anima. Egli ha diritto di amare, ha diritto di ricevere la vita, perché la donna dà la vita. Questo bambino, pur essendo «in immediato rapporto con la madre, (…) formandosi si sottrae a lei seguendo la propria destinazione interiore» (ibidem). La Chiesa sa e crede che tale destinazione, come per la madre, è Dio, la Vita eterna. A Lui la vita appartiene. E la madre deve lasciare che tale destinazione giunga a compimento. Per le donne che rifiutano questo c’è la misericordia, il perdono, la riconciliazione, se solo esse aprono il cuore, perché la Chiesa ha il dovere di annunciare che non esiste peccato che non possa essere perdonato da Colui che è morto per noi peccatori e il cui amore ci possiede (cfr. 2 Cor 5,14). Il perdono e la guarigione dopo l’aborto sono possibili. Condannare l’aborto non significa condannare le persone che l’hanno compiuto, ma occorre riconoscere la realtà e dare al dolore interiore una valida espressione. Dio amerà ancora la donna che ha praticato l’aborto e le dice: «lo ti amerò sempre, và e d’ora in poi non peccare più» (cfr. Gv 8,11).
RICORDA
«Il sacramento della riconciliazione con Dio opera una autentica “risurrezione spirituale”, restituisce la dignità e I beni della vita del figli di 010, di culli più prezioso è l’amicizia di Dio».
(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1468).
BIBLIOGRAFIA
Dossier: Il dramma del post-aborto
IL TIMONE N. 86 – ANNO XI – Settembre/Ottobre 2009 – pag. 39 – 41
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