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21.12.2024

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La Casa Bianca? Sono affari nostri
31 Gennaio 2014

La Casa Bianca? Sono affari nostri

 

 

 

 

Dalle prossime elezioni presidenziali negli USA dipenderanno anche le politiche internazionali in tema di bioetica e famiglia. Ecco perché è importante seguire le primarie. Vi proponiamo una mappa dei candidati per orientarsi.

Cosa ci interessa delle elezioni americane? Ormai da alcuni mesi giornali e tv ci informano sui candidati, sulle loro possibilità di vittoria (puntualmente smentite ogni volta che si vota davvero), su programmi e riposizionamenti. Ma alla fine, data la complessità della vicenda, l'attenzione si sofferma soprattutto su dettagli secondari (tipo la foto di Hillary Clinton con le rughe) o sulla proiezione nella politica USA delle attese dell'opinione pubblica europea. Così, ad esempio, prevale l'idea che i repubblicani siano per la guerra e i democratici per la pace (o perlomeno per il ritiro dall'Iraq e daIl'Afghanistan), che i repubblicani siano per un liberismo economico sfrenato e i democratici per una redistribuzione della ricchezza. Semplificazioni che ben poco hanno a che vedere con la realtà, ma che servono per la nostra polemica politica interna.
Sarebbe molto più utile notare invece che i temi centrali della campagna elettorale americana sono proprio quelli che da noi sono censurati, ovvero quelli sui valori che contano, dalla vita alla famiglia fino alla libertà religiosa. Basterebbe questo a rendere interessante il seguire la competizione statunitense, considerato anche che stiamo parlando del Paese più importante del mondo, nel senso dell'influenza politica, economica e culturale. Ma c'è un motivo ancora più importante e decisivo: proprio per l'importanza del Paese e dalla sua possibilità di dirigere i finanziamenti internazionali, dall'esito delle elezioni Usa dipenderanno anche le sorti delle politiche bioetiche e familiari a livello mondiale.
Non sembri un'esagerazione: la presidenza Clinton (1993-2000) è coincisa con una forte spinta internazionale a finanziare il movimento abortista mondiale e a una enorme espansione del potere delle agenzie dell'Onu a questo inclini. Le conferenze internazionali dell'ONU, tenutesi in quegli anni – basterebbe ricordare quella del Cairo su popolazione e sviluppo (1994) e quella di Pechino sulla donna (1995) sono servite soprattutto a creare quella cornice di diritto internazionale che sulla spinta dell'amministrazione americana ha dirottato sui programmi antinatalisti tante delle risorse destinate allo sviluppo dei Paesi poveri.
AI contrario, gli anni dalla presidenza Bush (iniziata nel 2001 e in scadenza alla fine di quest'anno) hanno posto un provvidenziale freno al processo che vorrebbe elevare l'aborto a diritto umano fondamentale (richiesta che Hillary Clinton aveva già fatto dalla tribuna della Conferenza internazionale dell'ONU sullo sviluppo sociale nel 1995); hanno impedito che l'ONU adottasse la Carta della Terra che, in contrasto con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, considera la dignità dell'uomo alla pari con quella di animali ed alberi; hanno decurtato (almeno da parte americana) i fondi disponibili alle organizzazioni internazionali che promuovono nel mondo l'aborto forzato, come il Fondo ONU per la Popolazione (UNFPA), e l'lnternational Planned Parenthood Federation (IPPF); hanno permesso il sostegno ai programmi di sviluppo di organizzazioni non governative di ispirazione religiosa, notoriamente le più efficaci nel promuovere le condizioni di vita delle popolazioni più povere; hanno tagliato i fondi statali alle ricerche sugli embrioni, hanno impedito che il movimento radicale gay raggiungesse i suoi obiettivi negli Usa e nel mondo.
Ecco perché le elezioni USA hanno per noi, per la nostra vita quotidiana e per le cose che ci stanno a cuore, una importanza decisiva. Da questo punto di vista, vedendo i candidati in campo e il dibattito elettorale, il ritorno di un'amministrazione democratica riprenderebbe certamente il lavoro lasciato in sospeso da Bill Clinton. Potrebbe cambiare soltanto la forza con cui il lavoro riprenderebbe, visto che nella campagna per le primarie Hillary Clinton ha attaccato il suo rivale diretto Barack Obama rinfacciandogli di non essere abbastanza deciso nel promuovere l'aborto. Tuttavia, da senatore, Obama ha sempre votato a favore dell'aborto, del finanziamento dei gruppi internazionali per il controllo delle nascite e per il finanziamento della ricerca sugli embrioni. Un'eventuale accoppiata Clinton-Obama o Obama-Clinton (presidente e vice-presidente), come a un certo punto della campagna si è ipotizzato, non lascerebbe certo margini di incertezza al proposito.
Meno scontata la situazione in campo repubblicano, dove la rosa dei possibili vincitori delle primarie è apparsa in partenza ben più ampia e la loro posizione molto più articolata. Dopo i turni elettorali di gennaio e inizio febbraio ha abbandonato la scena un candidato che solo pochi mesi fa sembrava avvantaggiato: Rudolph Giuliani, l'ex sindaco "forte" di New York. A rendergli difficile la strada verso la "nomination" è stato proprio il fatto di essere l'unico candidato repubblicano dichiaratosi "pro aborto". Le preferenze dei movimenti americani per la vita, d'altronde, fin dall'inizio non sono state univoche e cambiavano anche da Stato a Stato. Il National Right to Life, una delle sigle più importanti, ha inizialmente appoggiato ufficialmente la candidatura dell'ex attore Fred Thompson, che però si è ritirato abbastanza in fretta. Si dava per scontato un suo appoggio ufficiale al senatore dell'Arizona John McCain, ma Thompson sembra aver optato per la prudenza. McCain è tra le candidature più forti, intercetta una buona parte del voto cattolico, ma rispetto a Thompson la posizione di McCain è molto meno limpida: se è vero che in Senato ha sempre votato contro l'aborto, ha però votato ripetutamente a favore della ricerca sulle cellule staminali embrionali.
Se McCain vincesse la nomination, per poter davvero sperare di entrare alla Casa Bianca dovrebbe scegliere un vice in grado di raccogliere e soprattutto portare a votare l'elettorato più conservatore.
Il candidato forse più controverso è quello che appariva, prima del suo ritiro, il più temibile avversario di McCain, Mitt Romney, la cui conversione da abortista a "pro-life" è stata oggetto di molti dubbi. Nelle prime votazioni effettuate è invece emersa a sorpresa una figura alla vigilia poco considerata, l'ex governatore dell'Arkansas Mike Huckabee. Nella prima votazione nell'lowa ha vinto a mani basse e, sebbene questo piccolo Stato esprima pochi voti, in chiave "nomination", l'impatto psicologico ha già avuto l'effetto di dirottare su di lui molti consensi negli Stati dove si è votato successivamente. Così Huckabee è rimasto saldamente in corsa e alla fine, pur se non guadagnasse la nomination, i suoi delegati potrebbero risultare decisivi. Huckabee è un pastore battista e fra i candidati "per la vita" è certamente tra i più solidi, forse il più in sintonia con George Bush.
In lowa decisivo è stato il voto degli evangelici (voto che fu decisivo per l'elezione di Bush), ma la difficoltà di Huckabee sta nel fatto di avere pochi fondi a disposizione per la campagna elettorale rispetto ai suoi rivali. A meno che i risultati incoraggianti nelle primarie dei primi Stati a votare non convinca gli sponsor a inserirlo nella rosa dei possibili vincitori e a dirottare su di lui i fondi necessari per tenere il confronto li con i più forti avversari.

 

 

 


IL TIMONE  N. 71 – ANNO X – Marzo 2008 – pag. 18-19

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