Nella più grande democrazia del mondo i cristiani sono spesso fatti oggetto di angherie e soprusi. La Chiesa alza la voce, ma giudici, politici e forze dell’ordine non agiscono come dovrebbero. Alcuni fatti.
Si parla molto della persecuzione contro i cristiani in alcuni Paesi islamici, in Cina e in Vietnam. Da alcuni anni bisogna aggiungere anche l'India. Pare impossibile, ma è così, di vera persecuzione si tratta anche se non in tutto il paese e non voluta dal governo, ma nemmeno combattuta, se non a parole. L'India, la più grande democrazia del mondo, il paese di Gandhi e della non violenza, sta scivolando verso un'incredibile intolleranza religiosa, anche contro la minoranza musulmana (circa 130 milioni su un miliardo e più di indiani), ma soprattutto contro la minoranza cristiana, una cinquantina di milioni, metà cattolici e metà protestanti.
La denunzia fatta dai vescovi cattolici dell'Orissa (Stato del centro-est dell'India) dà un'idea della gravità della situazione in diverse parti del Paese. Nel Natale 2007, tre giorni di attacchi mirati e violenti contro le strutture cattoliche hanno provocato la distruzione di 8 parrocchie, 50 chiese di villaggio, 4 conventi, 5 canoniche, 4 ostelli, 2 seminari minori, un centro vocazionale e 3 centri sanitari. Nel distretto di Khandamal, due o trecento fanatici hanno distrutto i negozi dei cristiani: «Hanno sparato ai nostri ragazzi; due sono rimasti feriti… tutti i sedici negozi cristiani sono stati saccheggiati e dati alle fiamme». L'Arcivescovo Cheenath afferma che si è trattato di un'azione «molto intensa, violenta e pianificata. La rapidità con cui sono stati condotti gli attacchi mostra chiaramente che gli attacchi erano premeditati. In un'ora e mezza più di duecento persone si sono scagliate contro le proprietà della parrocchia di Bamunigam, 400 o 500 persone si sono scatenate a Balliguda, dove sono avvenute le devastazioni più gravi». Gli assalitori hanno raccolto tutto ciò che potevano e lo hanno portato al centro degli edifici (chiese, conventi, case dei sacerdoti), dandogli poi fuoco, gridando slogan come «Uccidi i cristiani» e «Cristiani andate via».
L'Arcivescovo Cheenath ha denunciato che «la maggior parte delle devastazioni ha avuto luogo alla presenza delle forze di polizia». La chiesa di Bamunigam, ad esempio, è stata distrutta e data alle fiamme «alla presenza di 20 poliziotti che si limitavano a guardare».
La devastazione si è protratta per più di 72 ore, fino al 27 dicembre. Più della metà delle 24 parrocchie del distretto di Kandhamal non ha potuto celebrare la Messa di mezzanotte per paura di subire attacchi. Qualcuno ha anche lanciato una bomba contro la residenza dell'Arcivescovo a Bhubaneswar.
I cristiani, afferma l'Arcivescovo «sono accusati di convertire gli indù al cristianesimo», ma è un pretesto: la vera ragione è la liberazione dei da/it, i cosiddetti intoccabili, i fuori casta, poiché la Chiesa è in prima fila per l'emancipazione di queste classi più povere con l'educazione, la sanità e lo sviluppo, grazie ai quali molti dalit hanno migliorato la propria posizione e il loro stile di vita. In Orissa, i cattolici sono 500.000 (i cristiani un milione) su 37 milioni di persone.
Un'altra grave notizia dell'inizio novembre 2007 è il rapporto pubblicato dall'ente che rappresenta tutti i cristiani (All India Christian Council) che nello Stato di Karnataka (sudovest dell'India) ha registrato 87 attacchi dichiarati contro le chiese cristiane dall'inizio del 2006 al settembre 2007. L'aumento degli attacchi anticristiani in Karnataka è legato all'arrivo del Bharatiya Janata Party (BJP) nella coalizione governativa. Il partito avrebbe fomentato «un clima di impunità rispetto alle violenze commesse in nome dell'hindutva. La polizia rifiuta, nella maggior parte dei casi, di registrare le denunce o di condurre un'indagine seria e quando una denuncia viene registrata, la giustizia si rivolta spesso contro le vittime»: molte aggressioni rimangono quindi sconosciute alle autorità.
L'accanimento anti-cristiano è dovuto soprattutto all'ideologia diffusa tra il popolo chiamata "hindutva", cioè il nazionalismo religioso: la religione tradizionale e nazionale dell'India è l'lnduismo e chi non è indù non è indiano. Di qui la strumentalizzazione di alcuni partiti che si ergono a difensori dell'lnduismo, usando violenze contro cristiani e musulmani, più contro i primi che i secondi, i quali rispondono colpo su colpo, a volte con decine di morti da ambedue le parti. Alla radice di questi eccessi del nazionalismo indiano c'è il problema che agita e disturba politicamente tutti i Paesi colonizzati e influenzati profondamente dall'Occidente cristiano: la ricerca dell'identità nazionale. In Europa, cancellando le radici cristiane dalla carta costituzionale della UE, non sappiamo più chi e cosa siamo: ci accontentiamo del nostro benessere e della nostra democrazia. Ma per i popoli colonizzati, specie in Asia, il problema è molto più sentito e consiste in questo: la cultura e i modi di vita moderni, importati o imitati dall'Occidente, contrastano profondamente con le loro religioni, culture, tradizioni, mentalità e rischiano di distruggerle. Questo è evidente nel mondo islamico.
Meno conosciuto ma non meno sentito nella grande India, che sta diventando una potenza economica mondiale, ma ha ancora un livello di analfabetismo del 39% nel 2003!
L'indiano Sebastian C. H. Kim, professore universitario che insegna teologia al "St John College" di York in Inghilterra, ha scritto In search of Identity – Debates on Religious Conversion in India (Oxford Univo Press, 2005, pagg. 250). Kim mette bene in risalto l'immensa importanza della fede religiosa in India, che dà senso a tutte le cose, poiché «la fede è una prospettiva vivente, una costruttiva lettura del mondo». I cristiani indiani sono alla ricerca di una nuova sintesi fra Cristo e l'lnduismo, cioè di come, mantenendo una forte e chiara fede in Cristo, la loro vita può essere arricchita e trasformata dal senso della vita indù. L'Autore, protestante, esamina il problema molto attuale delle conversioni a Cristo nel mondo indiano, a partire dall'inizio della colonizzazione.
Non offre soluzioni, ma una buona base di approfondimento e di comprensione del problema. Il tema fu molto dibattuto nella stampa indiana specie nel 1999, quando il primo ministro dell'India Vajpayee l'aveva proposto apertamente come un problema da discutere, in occasione della visita di Giovanni Paolo Il nel novembre 1999. Due gli interrogativi: "Perché le conversioni" e "perché le conversioni provocano una tale controversia in India". Gli studiosi più o meno concordano nella risposta alla prima domanda: le conversioni dall'lnduismo al cristianesimo sono causate dal colonialismo e dalla cultura occidentale ormai penetrata in profondità nella società indiana.
Perché le conversioni sono così problematiche e contrastate in India? Gli indù vedono la conversione in termini culturali, politici e sociali, i cristiani in termini teologici, spirituali e morali. I primi si pongono il problema della rottura con la cultura e la tradizione indiana soprattutto attraverso l'educazione dei fuori casta e delle basse caste, i secondi parlano di arricchimento che il cristianesimo porta all'India, anche se discutono del lavoro da compiere per "inculturare" il messaggio cristiano in India. Secondo i dati della Conferenza episcopale dell'India (gennaio 2006), la sola Chiesa cattolica dirige 20.000 istituti scolastici, il 66% dei quali si trova in zone rurali per l'educazione dei poveri e il restante nelle città, con una ventina di Università. Su oltre sei milioni di alunni che frequentano le scuole cattoliche, solo il 23% sono cattolici e il 55% è rappresentato da ragazze, altrimenti spesso destinate a non raggiungere nemmeno l'educazione elementare. Se a queste scuole si aggiungono quelle protestanti (non certo di meno) è facile capire che il peso di questa educazione cristiana si sente anche nelle alte classi della società, che difficilmente si convertono ma si avvicinano sempre più a modi di giudicare diciamo "cristiani", allontanandosi dalla cultura e religione indù, intese come basilari per l'identità dell'India. Il tema è solo accennato, ma già si comprendono le difficoltà della Chiesa in Asia (come nei paesi dell'lslam) ad annunziare Cristo, di fronte a culture e religioni antiche che oggi stanno ritrovando una nuova vitalità.
IL TIMONE N. 72 – ANNO X – Aprile 2008 – pag. 50-51