Che cos’è il terrorismo? C’è un legame fra terrorismo e religione? Un approccio al fenomeno attraverso il Magistero.
Parlando al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il 9 gennaio 2006, papa Benedetto XVI denuncia il «terrorismo organizzato, che si estende ormai a livello planetario». Certo, di questo terrorismo «numerose sono le cause», ma il Papa non dà credito a chi le riduce alle sole situazioni di disagio o di povertà: al contrario, cita cause «ideologico-politiche commiste ad aberranti concezioni religiose». E la condanna, ribadendo che i fini non giustificano mai i mezzi, è tra le più forti nella storia del magistero: «Nessuna circostanza vale a giustificare tale attività criminosa che copre di infamia chi la compie, e che è tanto più deprecabile quando si fa scudo di una religione, abbassando così la pura verità di Dio alla misura della propria cecità e perversione morale».
L'esempio delle Brigate Rosse – molti dei cui militanti erano, secondo ogni comune standard, persone intelligenti e di buona scolarizzazione e cultura smentisce anche lo stereotipo, che talora emerge in studi sul terrorismo di matrice islamica, secondo cui il terrorismo sarebbe un fenomeno di disagio sociale di cui sarebbero protagonisti "marginali" incolti e disperati. Non è così. Per quanto riguarda Hamas, per esempio, secondo uno studio del pakistano Nasra Hassan, «nessuno dei protagonisti dei suoi attentati suicidi era senza istruzione, disperatamente povero, semplice di mente o depresso. La maggioranza apparteneva alla classe media e – a meno che si trattasse di latitanti – aveva un buon lavoro. Più di metà veniva da quello che ora è Israele. Due erano figli di milionari. Tutti sembravano membri assolutamente normali delle loro famiglie. Erano bene educati e seri, e nelle loro comunità erano considerati giovani modello». Lo stesso discorso vale per AI Qaida e per l'11 settembre, i cui principali protagonisti avevano ricevuto un'educazione universitaria in Occidente.
Anche in Cecenia lo studio delle biografie delle terroriste (principalmente donne) smentisce lo stereotipo secondo cui si tratterebbe sempre di contadine ignoranti e disperate. Lo conferma l'esempio di Zarina Alikhanova (1976-2003), la terrorista suicida dell'attentato del 12 maggio 2003 a Znamenskoye, uno dei più sanguinosi (sessanta morti). Nata in Kazakhistan da padre ceceno, funzionario del ministero degli Interni, e madre dell'lnguscezia, proprietaria di magazzini commerciali, Zarina è una studentessa modello in una elitaria scuola tedesca. La sua passione è il balletto, e una rapida carriera al Teatro dell'Opera di Alma Ata culmina nell'interpretazione in una produzione del Romeo e Giulietta di Sergey Prokofiev. Tramite parenti di Grozny, entra in contatto con la guerriglia cecena, ne sposa un dirigente e – dopo la morte del marito nel 1999 – passa al terrorismo. Zarina Alikhanova assomiglia molto agli esponenti della borghesia palestinese o araba che troviamo in Hamas o in AI Qaida, e molto poco allo stereotipo della contadina disperata. Il terrorismo nasce raramente dalla miseria: quasi sempre nasce dall'ideologia.
Terrorismo e religione
Nasce dalla religione? Lo si è sostenuto dopo l'11 settembre, e il terrorismo è stato citato come prova del fatto che "la religione fa male". Molti studi del cosiddetto "estremismo religioso" perdono tuttavia di vista un elemento cruciale: questo estremismo porta molto raramente alla violenza. Migliaia di "sètte" e movimenti fondamentalisti fioriscono in ogni regione del globo e nelle più disparate tradizioni religiose. Credenze e comportamenti devianti coprono ogni concepibile aspetto della vita umana e spesso richiedono un livello sorprendentemente alto di sacrificio e di obbedienza. Eppure pochi gruppi religiosi estremisti commettono atti criminali, meno ancora ricorrono alla violenza, e i movimenti che incoraggiano il suicidio e l'omicidio si contano sulle dita di una mano. È inevitabile che le eccezioni siano seguite con enorme attenzione dai giornalisti, dagli studiosi e dall'opinione pubblica in generale: ma questo avviene precisamente perché si tratta di casi eccezionali.
Gli studi sull'estremismo religioso soffrono tipicamente di errori di campionamento, in quanto si concentrano sui pochi gruppi violenti e ignorano la grande maggioranza non violenta; e di pregiudizi interpretativi, perché mettono sullo stesso piano la retorica violenta di molti gruppi con le azioni violente di pochi. A riprova del fatto che "le religioni" in genere sarebbero inclini al terrorismo, molti citano gli attentati compiuti da militanti cristiani negli Stati Uniti contro le cliniche e i dottori che praticano l'aborto. Si tratta in effetti di azioni di privati contro obiettivi non militari, quindi di terrorismo. Ma i pochissimi che hanno compiuto questi attentati non hanno ricevuto nessun sostegno istituzionale da parte delle Chiese e comunità cristiane, e le loro azioni sono state condannate – come oggi si dice – "senza se e senza ma" praticamente da tutti i leader cattolici e protestanti conservatori degli Stati Uniti, compresi quelli che si oppongono con maggiore veemenza all'aborto.
Per quanto la conclusione possa essere poco "politicamente corretta", non si può non concludere che il problema del terrorismo non riguarda "le , religioni", ma una specifica religione: l'islam. Certamente non tutti i musulmani sono fondamentalisti e neppure tutti i musulmani fondamentalisti , sono terroristi. Tuttavia, ed è una differenza fondamentale rispetto a quanto avviene nel caso dell'anti-abortismo cristiano, nel mondo islamico – particolarmente (ma non esclusivamente) in Medio Oriente – esistono vere e proprie organizzazioni che godono del sostegno di vasti network all'interno della tradizione religiosa di cui fanno parte e che reclutano, addestrano e organizzano i terroristi. Una parte cospicua, forse maggioritaria, delle autorità islamiche ne giustifica gli attentati, almeno quando sono diretti contro obiettivi ricollegabili a Israele. Come Benedetto XVI – da Ratisbona al viaggio in Turchia e oltre – ha avuto occasione di ribadire più volte, c'è nell'islam un effettivo problema dottrinale quanto alla distinzione fra fini e mezzi. Solo la maturazione all'interno dell'islam di una riflessione che porti a condannare sempre e comunque il terrorismo come mezzo a prescindere da qualunque discussione sui fini potrà recare sollievo a una tesa situazione internazionale in cui – sono ancora parole di Benedetto XVI nel discorso del 9 gennaio 2006 al Corpo Diplomatico – «non a torto si è ravvisato il pericolo di uno scontro delle civiltà».
IL TIMONE N. 82 – ANNO XI – Aprile 2009 – pag. 22 – 24
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