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22.12.2024

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Il Papa prigioniero di Napoleone
31 Gennaio 2014

Il Papa prigioniero di Napoleone

 

 

 

 

 

Benedetto XVI a Savona per commemorare la testimonianza di papa Pio VII contro l’arroganza di Napoleone. Un’occasione per portare luce su un frangente oscuro della storia europea e italiana.

Non rinuncerei mai alla mia “italianità”, ma è certo che siamo un popolo strano. Mi è capitato di sentir parlare bene di Napoleone addirittura da alcune suore. Indubbiamente il generale corso trova larghi consensi a sinistra (il “modernizzatore del Paese, anticipatore del Risorgimento”) come a destra (per il suo “caudillismo”), ma anche il mondo cattolico non ha fatto nulla per ricordare le persecuzioni inflitte alla Chiesa e il significato rivoluzionario e ostile alla Chiesa della sua opera legislativa e politica.
Le giunte comunali di diversa impostazione politica, in una città come Milano, hanno finanziato le ricorrenze del suo ingresso nel capoluogo lombardo, come ricordo avvenne anche nel 1995, invece di celebrare le insurrezioni del popolo italiano contro i francesi e la violenza del triennio giacobino in Italia (1796-1799).

 

Il viaggio apostolico a Savona
Meno male che c’è il Papa. Benedetto XVI ci aiuta a ricordare alcuni episodi della vita di Napoleone Bonaparte che non dovremmo dimenticare, insieme al significato più profondo e duraturo della sua politica e del suo operato di statista, tutt’altro che trascurabile. Lo ha fatto nell’omelia della messa celebrata a Savona, il 17 maggio di quest’anno, nella città ligure dove un Papa, Pio VII, all’inizio del XIX secolo, durante il ventennio di occupazione militare dell’Italia da parte di Napoleone, da quest’ultimo era stato tenuto prigioniero, al domicilio coatto, dal giugno 1809 all’inizio del 1812.
Un «pellegrinaggio», come lo ha definito lo stesso Benedetto XVI, «che è anche memoria e omaggio al mio venerato predecessore Pio VII, la cui drammatica vicenda è indissolubilmente legata a questa città e al suo santuario mariano».

 

Pio VII davanti all’impero napoleonico
Il Pontefice era un monaco benedettino, nato a Cesena nel 1742, Barnaba Niccolò Maria Luigi (in religione Gregorio) Chiaramonti ed era stato eletto al soglio di Pietro a Venezia, in un conclave svoltosi nel 1800 lontano da Roma, occupata dalle truppe francesi, mentre la laguna era protetta dalle armi austriache. Era in corso la guerra fra Napoleone e gli altri Paesi d’Europa e in questa guerra Napoleone voleva la Chiesa al suo fianco, oppure la voleva prigioniera.
Così avvenne anche con il predecessore Pio VI, morto prigioniero dell’Imperatore dei francesi nel 1799.
Eppure il nuovo Pontefice non aveva il passato di un insorgente controrivoluzionario; al contrario, aveva fatto il possibile per non urtare il regime di Napoleone e addirittura quando era stato arcivescovo di Imola, in una sua lettera pastorale del 1796, raccomandava gli imolesi di rispettare e obbedire alle nuove autorità politiche. Non vi era nulla di ideologico in ciò, la Chiesa ha sempre invitato al rispetto delle autorità, anche a quelle che non sono in sintonia con la Chiesa stessa, ma allora la cosa fece scalpore e continua ancora oggi a essere male interpretata.
Nonostante queste buone intenzioni, Pio VII dovette scontrarsi con l’imperatore e così perse la libertà. Fu condotto a Savona, nel 1809, e vi rimase quasi tre anni, in una città controllata dall’esercito francese e ormai diventata territorio della Francia. Soltanto grazie all’eroica e coraggiosa intelligenza di molti savonesi, guidati da un grande apostolo della lotta contro la Rivoluzione portata da Napoleone, il venerabile Pio Bruno Lanteri (1759-1830), il Papa poté continuare a far uscire dalla prigionia lettere, indicazioni e così a guidare la Chiesa. Saranno addirittura tremila le indicazioni che riusciranno a uscire dalla sua prigionia, grazie alla rete clandestina guidata da Lanteri e che a quest’ultimo costò “solo” il domicilio coatto, perché indagato senza che riuscissero a trovare le prove della “rete” papista.
Due Papi prigionieri, un’occupazione militare durata vent’anni, la gioventù italiana mandata a morire in Russia in una campagna militare insensata e incomprensibile, il furto delle migliori opere d’arte e una gravosa pressione fiscale, l’imposizione di un sistema politico basato sul centralismo da cui ci stiamo faticosamente liberando soltanto in questi ultimi anni, non sono bastati per far diventare Napoleone un invasore, un ladro e un assassino, o almeno un despota, per la maggioranza degli italiani e soprattutto per l’intellighentia della nostra nazione. Neppure Hitler avrebbe osato tanto contro il vertice della Chiesa. Debolezze nei suoi confronti ce ne furono anche da parte della Chiesa francese, che approvò (seppure sotto pressione e con riserve) un catechismo inaccettabile, contenente un passaggio che imponeva sotto pena di eterna dannazione “l’amore, il rispetto, l’obbedienza, la fedeltà a Napoleone nostro imperatore, il servizio militare e le imposte ordinate per la conservazione e la difesa dell’impero e del suo trono» (Storia della Chiesa diretta da Hubert Jedin, voI. VIII/1, Jaca Book, 2002, p. 76). Ma erano francesi, e se questo non li giustifica, rende però più amara la constatazione che noi italiani non abbiamo neppure questa attenuante.
Un Pontefice tedesco, e il vescovo di Savona-Noli, mons. Vittorio Lupi, hanno finalmente contribuito a portare l’attenzione dei cattolici, savonesi anzitutto, ma vale per tutti, su un’epoca giustamente definita «pagina oscura della storia d’Europa» e in particolare della nostra storia nazionale. Alla testimonianza di papa Pio VII, Benedetto XVI ha affiancato «il riconoscimento per l’eroismo dei savonesi», «per la fede, l’amore ed il coraggio» con cui hanno sostenuto il Papa nella sua residenza coatta, impostagli da Napoleone Bonaparte. «Sono vicende di cui i Savonesi oggi possono fare memoria con fierezza», ha aggiunto il Santo Padre, e chiedendo a Dio la stessa forza per le difficoltà di oggi, ossia «il coraggio nell’affrontare le sfide del mondo: materialismo, relativismo, laicismo, senza mai cedere a compromessi, disposti a pagare di persona pur di rimanere fedeli al Signore e alla sua Chiesa».

 

RICORDA

 

«La visita di Savona è stata bella anche e soprattutto per questo legame con la memoria di Pio VII. Memoria che è benedizione, perché ha lasciato una traccia, come il buon profumo di Cristo, tipico dei santi. L’umiltà, la mitezza, l’intelligenza e la santa furbizia di Pio VII, anche nell’evadere più di tremila pratiche della Chiesa universale in quei quasi tre anni, pur nel nascondimento della sua stanzetta, sono rimasti scolpiti nelle menti dei savonesi, e non solo. Di Pio VII è importante notare la sua fede incrollabile nel non praevalebunt. Questa certezza della vittoria di Cristo attraverso la croce di ogni giorno, credo abbia scavato nell’animo anche dei suoi stessi carcerieri almeno un punto interrogativo sui valori assoluti».
(Mauro Piacenza, arcivescovo genovese, segretario della Congregazione per il Clero, in L’Osservatore Romano, 28 maggio 2008).

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Oscar Sanguinetti, Memoria dell’esilio savonese di Pio VII, in Storia & identità. Annali Italiani on line, a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale, www.identitanazionale.iUstco_5024.php

 

 

 

IL TIMONE – N. 75 – ANNO X – Lug/Agosto 2008 – pag. 58-59

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