Un viaggio difficile, ma riuscito. Ha parlato a tutti, ebrei e musulmani, cristiani scismatici e protestanti, e anzitutto ai cattolici, i “suoi” figli, supplicandoli di non abbandonare la Terra Santa
Cercare la pace
I temi ricorrenti dei discorsi del Papa durante questo Pellegrinaggio, come lui ha voluto chiamarlo, sono stati invece altri, a cominciare dalla perorazione, quasi una supplica, della ricerca della pace, rivolta accoratamente alle tre comunità incontrate, ai cristiani, agli ebrei, ai musulmani. Ordinariamente la Chiesa non si occupa delle soluzioni politiche e giuridiche, attraverso le quali sancire la pace, eppure il Papa è sceso abbastanza nei particolari. Ha chiesto alle due comunità in conflitto, ebrei e palestinesi, di riconoscere le esigenze dell’altra comunità, affinché la trattativa possa avere esito felice. Ha chiesto alla comunità internazionale di usare la diplomazia per dare una soluzione politica, visibile e concreta, con la costituzione di uno Stato palestinese che riconosca Israele e non minacci la sua sicurezza. Una banalità dirà qualcuno, di cui si parla inutilmente da anni: ma una banalità che è forse l’unica possibile soluzione, o almeno attenuazione, del conflitto. Una soluzione che, 01tretutto, potrebbe finalmente togliere spazio e consenso agli estremisti guerrafondai dei due campi, Hamas e i partiti israeliani ultraortodossi, in quanto il movimento islamista non riconosce il diritto di esistere ad Israele, mentre i secondi sembrano poco propensi a un vero confronto. Una soluzione, peraltro, che per poter essere realizzata deve passare attraverso la sconfitta politico-militare di Hamas nella guerra interna al mondo palestinese.
L’obiettivo è difficilissimo da raggiungere.
Per innestare un processo di pace il Papa ha chiesto alle due parti, Israele e Autorità palestinese, di riconoscere anzitutto le ragioni (parziali) dell’altra, e di conciliarle con le proprie. Dunque ha chiesto a Israele di costruire ponti e non muri di separazione e all’Autorità palestinese di rinunciare alla violenza e di combattere il terrorismo. Poi, ai cristiani ha chiesto di rimanere in Terra Santa, per essere quel ponte attraverso cui il dialogo possa riprendere e favorire il persegui mento della pace, che è un dono di Dio, ma che gli uomini possono contribuire a rendere possibile. In pratica, il Papa ha richiesto a tutti uno sguardo non ideologico sulla realtà, una rinuncia all’odio nazionalistico che implica una conversione del cuore e la ricerca del bene di tutte le comunità, quel bene comune insegnato dal Magistero sociale della Chiesa che è anche il fine naturale della politica. Naturalmente non è stato soltanto, e forse neppure soprattutto questo, il pellegrinaggio del Papa, anche se la drammatica situazione di odio e di conflitto che imperversa in quella terra, da sessant’anni almeno, rende prioritario rispetto a qualsiasi altra cosa il tema della pace.
In Giordania
Intanto, nella prima parte del suo viaggio, il Papa è stato accolto in Giordania, dove ha cominciato il Pellegrinaggio partendo dal Monte Nebo, la montagna dalla quale Mosè contemplò la Terra Promessa senza potervi entrare. Il regno Hascemita è uno dei paesi musulmani dove vige la maggiore libertà religiosa, grazie a un monarca moderato, al punto che il Pontefice ha benedetto la prima pietra di due chiese cattoliche e di una Università cattolica, l’università di Madaba del Patriarcato latino. Incontrando i capi religiosi musulmani ha espresso un concetto importantissimo per il dialogo con l’islam, sull’universalità della ragione umana e sulla libertà religiosa, tenendo conto della diffusa diffidenza in molti islamici per l’uso della ragione umana nelle problematiche religiose: «… è la nostra dignità umana che dà origine ai diritti umani universali, essi valgono ugualmente per ogni uomo e donna, senza distinzione di gruppi religiosi, sociali o etnici ai quali appartengano. Sotto tale aspetto, dobbiamo notare che il diritto di libertà religiosa va oltre la questione del culto ed include il diritto – specie per le minoranze – di equo accesso al mercato dell’impiego e alle altre sfere della vita civile» (9 maggio).
In Israele
Nella seconda parte del pellegrinaggio, in Israele, il Papa ha affrontato anche altre tematiche, in particolare il dialogo fra le diverse religioni e quello fra i cristiani che vivono in Terra Santa. In questa prospettiva vanno letti sia la visita del Papa al Gran Muftì (12 maggio) e ai capi della comunità islamica di Gerusalemme, sia quella ai due Gran Rabbini di Gerusalemme (12 maggio), oltre che l’incontro con le organizzazioni impegnate nel dialogo inter-religioso (11 maggio) e poi con i capi religiosi della Galilea (14 maggio); a esse si deve almeno aggiungere la visita al memoriale di Yad vashem (11 maggio), il monumento eretto per ricordare le vittime della Shoah.
Il Papa non ha neppure voluto dimenticare la vocazione universale di Gerusalemme, «annunciata dai profeti», a essere una città in cui «il pregiudizio, l’ignoranza e la paura […] siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace» (12 maggio).
L’aiuto ai cristiani di Terra Santa
Ma papa Benedetto non ha certamente dimenticato i suoi fratelli in Cristo, le diverse comunità cattoliche presenti in Terra Santa e in perfetta comunione con la Santa Sede: latini, greco-cattolici, armeni, maroniti. A loro, del resto, il Pellegrinaggio era principalmente dedicato, perché sentissero fisicamente la vicinanza del Vicario di Cristo, ma anche perché sono loro ad essere «chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua a essere pluralistica, multietnica e multireligiosa» (12 maggio).
INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
IL TIMONE N. 84 – ANNO XI – Giugno 2009 – pag. 58 – 59
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