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Il Kattolico. Il regno perduto di Himyar
7 Febbraio 2015

Il Kattolico. Il regno perduto di Himyar

Il regno perduto di HIMYAR

Il 24 ottobre il calendario cristiano ricorda sant’Àreta (o Aretha) e 340 compagni, martiri di Nagran. Scrutando l’Enciclopedia Treccani, internet e uno studio dello storico Glen W. Bowersock, dell’Institute for Advanced Study di Princeton, emerge che la storia di questi martiri è legata a un pochissimo conosciuto regno ebraico sito nella parte sud-occidentale dell’Arabia, nell’attuale Yemen:
Himyar, sorto poco prima che sorgesse nella penisola arabica l’astro di Maometto. I suoi abitanti dicevano di discendere dalla mitica regina di Saba, che aveva diffuso tra loro il giudaismo al ritorno dalla sua visita al re d’Israele, Salomone.
Sia come sia, verso il 425 un regno giudaico in Himyar aveva davvero preso forma compiuta e si caratterizzava per il suo intransigentismo religioso. Il giudaismo vi era religione di Stato e non ammetteva concorrenti. Il fatto è che non si trattava di ebrei veri e propri, magari fuggiti da quelle parti dopo il fallimento dell’ultima rivolta antiromana nel II secolo.
No, erano di etnia araba. Nel 523 il loro re Masruq, detto Dhu Nawas o Nuwas («il signore dai boccoli », così chiamato perché portava i capelli come prescritto agli osservanti), dopo avere assunto il nome ebraico di Yussuf (Giuseppe) scatenò una persecuzione contro i cristiani, numerosi nel suo regno, allo scopo di farli passare con la forza al giudaismo.
Complesse questioni politiche ed economiche si intrecciavano, tuttavia, in questa curiosa storia, perché il regno Omerita (Homeritae: così i romani scrivevano il nome di Himyar) era in rapporti cordiali con l’impero persiano, di religione mazdeista e rivale di quello bizantino, cristiano (i bizantini trattavano piuttosto duramente gli ebrei); poi, pare che fosse fortemente indebitato con i locali mercanti cristiani, una classe molto facoltosa. Può darsi che Dhu Nawas abbia deciso di giocare la carta dell’unità religiosa sia per non pagare i debiti sia per puntellare il suo piccolo regno, stretto tra le due superpotenze dell’epoca e insidiato, al di là del Mar Rosso, dal potente Negus etiope, cristiano.
La simpatia persiana per gli himyariti e gli ebrei (in chiave antibizantina) non venne mai meno, tant’è che, quando i persiani invasero la penisola arabica e la Palestina, nella Gerusalemme assediata (e conquistata nel 616) gli ebrei locali fecero loro da quinta colonna, dando anche volentieri una mano (armata) nella repressione dei bizantini che ne seguì. I persiani, in quell’occasione, distrussero tutte le chiese, compreso il Santo Sepolcro, e lasciarono in piedi solo quella della Natività perché nei fregi vi avevano visto i Magi vestiti come loro. Ma trascinarono come preda di guerra nella loro capitale Ctesifonte la Vera Croce, che venne poi recuperata con una grandiosa spedizione dall’imperatore bizantino Eraclio e riportata a Gerusalemme il 14 settembre 628 (giorno che la Chiesa ancora festeggia come Esaltazione della Croce).
Ma torniamo a quel bizzarro regno ebraico incuneato tra le tribù ancora pagane dell’antica Arabia. Alla notizia delle persecuzioni contro i cristiani da parte di Dhu Nawas, il Negus etiope Kaleb Ella Asbeha dalla sua capitale Aksum organizzò una spedizione di soccorso ai cui preparativi assistette lo storico bizantino Cosma Indicopleuste, che li descrisse in una sua opera. La campagna ebbe successo e il Negus, battuti gli himyariti, stabilì guarnigioni etiopi in diversi centri del regno e soprattutto sulla costa. Ma verso il 523 il re Dhu Nawas riuscì a riprendere in pugno la situazione, distrusse le guarnigioni etiopi e scatenò tutta la sua vendetta contro i cristiani, alla cui difesa gli etiopi erano accorsi. La rappresaglia culminò con l’assedio e la presa di Nagran, città totalmente cristiana, e il massacro della sua popolazione. Il racconto delle efferatezze compiute in Nagran fece il giro dell’Oriente e, solo due anni dopo, il Negus approntò una seconda spedizione, questa volta sostenuto da contingenti bizantini inviati dall’imperatore Giustino I (che regnò dal 518 al 527). La guerra lo vide definitivamente vincitore e fu la fine del regno di Himyar.
Si dice che Dhu Nawas, braccato e alla disperazione, pur di non cadere vivo nelle mani del nemico si lanciò col suo cavallo da una roccia a picco sul mare e morì annegato.
Sul suo trono fu messo un arabo, vassallo del Negus, Sum Yafa, e gli etiopi controllarono la regione fino al 570 circa, dopoché dovettero cedere agli invasori persiani.
Il nostro sant’Areta o Aretha si chiamava per l’esattezza Harit ibn Kaleb ed era il governatore di Nagran (o Najran) al tempo dell’assedio da parte di Dhu Nawas. Quest’ultimo,  non riuscendo a prendere la città, aveva promesso salva la vita ai suoi abitanti se si fossero arresi. Poiché il cibo cominciava a scarseggiare e non essendoci altra possibilità di salvezza, a Nagran fu deciso di aprire
le porte. Ma il re himyarita non mantenne la promessa. Per prima cosa fece disseppellire il cadavere del vescovo Paolo, morto da poco e molto venerato dai nagraniti, e ordinò che venisse dato alle fiamme. Poi comandò la decapitazione di tutti quelli che non accettavano di passare al giudaismo. Il primo a rifiutarsi e a essere giustiziato fu Areta («Banu» Harit, cioè maggiorente o, appunto, governatore).
Dhu Nawas mise gli occhi sulla moglie dell’ucciso, Ruma, e la volle come concubina. Ma quest’ultima oppose una resistenza disperata. Per piegarla, Dhu Nawas fece ammazzare, una ad una, le sue quattro figlie davanti a lei; poi, non venendone a capo, fece tagliare la testa anche a Ruma. I sacerdoti, i diaconi e le vergini consacrate di Nagran vennero arsi vivi. La stessa cosa aveva fatto Dhu Nawas con la città di Zafar prima di rivolgere le sue attenzioni a Nagran: la guarnigione e il clero erano stati massacrati e l’unica chiesa trasformata in sinagoga.
Quanti furono i trucidati a Nagran? Il calendario cristiano considera martiri solo i 340 che abbiamo indicato all’inizio come compagni di sant’Areta, ma le fonti – che però non sono unanimi – parlano di migliaia di persone. Il bello è che fu lo stesso Dhu Nawas a vantarsene per lettera con uno sceicco arabo con il quale era in rapporti. Ora, poiché la lettura «con gli occhi» è stata introdotta dal monachesimo occidentale solo nell’Alto Medioevo e gli antichi leggevano ad alta voce, la declamazione di quella lettera fu ascoltata da due cristiani che erano presenti. E furono questi a divulgarne il contenuto, provocando la reazione del Negus. L’eco dell’eccidio di Nagran risuonò a lungo da quelle parti, tanto che se ne fa menzione addirittura nel Corano alla Sura 85. La lettera di Dhu Nawas era molto dettagliata, e per questo i particolari, passando di bocca in bocca, ne risultarono amplificati. Non si sa se sia vero, ma si disse che la perfidia del re himyarita era premeditata: quando i nagraniti accettarono le sue condizioni di resa, per mostrare la sua magnanimità fece imbandire un enorme banchetto all’aperto nel quale sedere insieme alle personalità più in vista della città. Ma, quando quelli si furono accomodati, il terreno sprofondò.
Gli assedianti avevano preventivamente scavato un tunnel sotterraneo e l’avevano riempito di materiale infiammabile, rami secchi cosparsi di olio da lampada.
Quando i convitati vi precipitarono dentro furono gettate su di loro delle torce e tutti perirono arsi.
Nagran e il suo territorio, che formavano una specie di libera repubblica di mercanti, non se ne dimenticarono mai e, quando l’islam si diffuse nella penisola arabica, strinsero con lo stesso Maometto un accordo in base al quale si obbligavano a pagare ogni anno una pesante tassa di “protezione” ai seguaci del Profeta e consistente in duemila ricchi abiti.
Non fu sufficiente, però, quando il califfo Omar ibn al-Khattab (uno dei suoceri di Maometto e suo secondo successore) decise di espellere dall’Arabia tutti i non musulmani.
Omar, che aveva sconfitto i persiani, cadde ucciso nel 644 proprio da uno schiavo persiano. Ma ormai i nagraniti se ne erano andati quasi tutti nell’attuale Iraq, dove vissero, sempre pagando la “protezione”, sotto i califfi Omayyadi. La loro città, ormai spopolata, decadde rapidamente e finì con lo sparire. Solo in tempi recenti le sue rovine sono state ritrovate presso la località di Madinat al-Khudud. Pensate che Indiana Jones abbia voglia di recarsi in quel sito per ambientarvi una sua avventura alla ricerca del regno perduto di Himyar? Secondo il vostro Kattolico non ci pensa nemmeno. â–

 
Il Timone – Febbraio 2015

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