Giovanni Paolo II fa di tutto per unificare i cristiani nell’unica Chiesa di Cristo, accettando anche umiliazioni. Con l’aiuto di Dio, la storia gli darà ragione.
Credo che uno dei compiti non secondari di questa rubrica sia quello di ricordare i principali interventi del Papa, anche quelli non riportati dalla grande stampa, cercando nella misura del possibile di coglierne le costanti, cioè quel “filo logico” presente nel Magistero.
E anzitutto ricordando che il lettore non deve confondere la “lettera” del magistero pontificio, con il mio sforzo di indicarne il “filo logico”, che rimane un mio tentativo del quale ciascuno potrà giudicare la riuscita e l’utilità.
Nel mese di maggio, il Santo Padre ha compiuto il pellegrinaggio giubilare in Grecia, in Siria e a Malta, sulle orme di san Paolo, che ha avuto caratteristiche straordinarie. Nel 1975, durante il pontificato di Paolo VI, la Chiesa di Roma e il Patriarcato ecumenico toglievano “dal mezzo della Chiesa” le reciproche scomuniche del 1054, quando cominciò lo scisma che separò la Chiesa latina da quelle orientali.
La Chiesa ortodossa greca, fra l’altro, al contrario della maggioranza delle altre chiese ortodosse, non aveva inviato propri osservatori al Concilio ecumenico Vaticano II, e così il gesto del 1975 e la visita del Papa in Grecia oltre venticinque anni dopo assumono un significato ancora più rilevante. Anche perché Giovanni Paolo II e Sua Beatitudine Christòdoulos, arcivescovo ortodosso di Atene e di Tutta la Grecia, hanno firmato una dichiarazione comune il 4 maggio, proprio nell’Areopago, dove san Paolo parlò agli ateniesi annunciando loro l’avvenuta Resurrezione di Cristo. Tale dichiarazione, che sottolinea le radici cristiane dell’Europa, i pericoli insiti nella globalizzazione, la separazione fra il progresso materiale e la dignità dell’essere umano e la difesa della vita innocente, è un ulteriore passo avanti verso la ricomposizione di una frattura che dura da un millennio (cfr. il testo in L’Osservatore Romano, 6 maggio 2001). E leggendo il durissimo discorso di omaggio al Papa pronunciato dall’arcivescovo ortodosso, si può cogliere quanto risentimento rimanga fra gli orientali verso i cattolici latini, quanto difficile sia questo dialogo ecumenico apparentemente più facile degli altri perché privo di grandi scogli di natura dottrinale, e quanta pazienza debba avere il Santo Padre, disposto a lasciarsi umiliare pur di arrivare allo scopo della riunificazione, una delle mete del suo pontificato.
Frequentemente, mi chiedono se sia giusto che un Papa che rappresenta l’unica Chiesa in cui continua da due millenni la presenza di Cristo attraverso i legittimi successori di san Pietro, si lasci umiliare da chi, a prescindere dalle responsabilità storiche, si è comunque staccato dalla sede di Pietro. Rispondo invitando a leggere il discorso che il Santo Padre ha rivolto ai vescovi cattolici di Grecia nella Nunziatura apostolica di Atene: “Voi siete a più stretto titolo la mia famiglia in Grecia ed è in questa dimensione di intimità che vorrei rivolgervi la mia parola dal profondo del cuore” (L’Osservatore Romano, 5 maggio 2001). Il Papa non ha dimenticato la comunione che lo lega ai vescovi cattolici “di frontiera” che guidano comunità “piccole e disperse”, ma sa che, se la ricomposizione della frattura con gli ortodossi è una meta doverosa da perseguire, è necessario superare qualsiasi ostacolo per puntare all’obiettivo finale. E il principale ostacolo da superare dopo una separazione plurisecolare è la purificazione della memoria.
Questo vale non soltanto con le Chiese orientali, ma anche con i protestanti e per il dialogo con le altre religioni, e poi naturalmente dovrebbe diventare un atteggiamento reciproco, per poter portare dei risultati. La purificazione della memoria dalle incrostazioni del passato è la condizione perché il dialogo non si riduca a furbizia diplomatica o a interesse momentaneo delle due parti o, peggio, a una forma di sincretismo relativista. La purificazione della memoria è la condizione che rende possibile il perdono, come sa chiunque ha sperimentato il litigio e i suoi strascichi nella memoria.
Come, se non purificando la memoria storica potrebbero riconciliarsi i popoli dei Balcani o i palestinesi con gli israeliani, riconoscendo che esistono una verità e un bene superiori ai quali sottomettere ogni pur comprensibile amor proprio e ogni ricordo delle ingiustizie subite? Analogamente, il dialogo con gli ortodossi presuppone la purificazione della memoria storica, per poter arrivare al cuore del problema, cioè al riconoscimento del primato di Pietro così come veniva vissuto nella comunione dalla Chiesa universale nel primo Millennio, prima dello scisma. Purificare la memoria, perdonare, ricominciare daccapo non è facile e comporta una violenza su se stessi proporzionata al torto subito o che si crede di aver subito.
Nel caso in questione, gli storici affermano che il saccheggio di Costantinopoli durante la IV crociata ad opera dei latini – gesto per il quale Giovanni Paolo II ha chiesto perdono e che peraltro fu condannato dall’allora Pontefice con la scomunica dei responsabili – avvenne anche in seguito a furbizie di alcuni ortodossi, che provocarono una reazione comunque ingiustificabile. Ma proprio su questo punto, Giovanni Paolo II, sempre parlando ai vescovi cattolici della Grecia, ha scritto parole che meritano di essere riportate per esteso: “Se in passato vicende storiche, legate a mentalità e costumi del tempo, hanno allontanato i cuori, la memoria è per il cristiano anzitutto il sacrario che custodisce la testimonianza viva del Risorto. È la memoria che rende possibile la Tradizione, alla quale tanto debbono le nostre Chiese; alla memoria è affidato il Sacramento, che è garanzia della grazia operante: “Fate questo in memoria di me”, ci esorta il Signore nell’ultima Cena.
La memoria è per il cristiano un sacrario troppo alto e nobile perché possa essere inquinato dal peccato degli uomini. Certo, questo può ferire dolorosamente il tessuto della memoria, ma non lacerarlo: tale tessuto è come la tunica inconsutile del Signore Gesù, che nessuno osò dividere.
Miei cari Fratelli, operiamo instancabilmente perché la memoria torni a far risplendere le cose grandi che Dio ha operato in noi; solleviamo lo sguardo dalle meschinità e dalle colpe, e contempliamo nel cielo il trono dell’Agnello, dove l’eterna liturgia di lode è cantata da uomini in bianche vesti di ogni popolo e razza. Là essi contemplano il volto di Dio, non più per “speculum et in aenigmate”, ma come è realmente.
La memoria lascia lassù spazio alla pienezza, nella quale non c’è più né lacrima, né morte, perché le cose vecchie sono passate”.
BIBLIOGRAFIA
Circa il saccheggio di Costantinopoli durante la IV Crociata, ancora uno dei maggiori motivi di polemica tra cattolici latini e ortodossi, ci si può accostare al tema leggendo Giorgio Fedalto. Le chiese d’Oriente da Giustiniano alla caduta di Costantinopoli, Jaca Book, Milano 1984, pp. 157-163.
La difficoltà nel reperire i discorsi del Santo Padre è certamente uno dei motivi che non favoriscono una corretta trasmissione delle intenzioni del Papa al corpo della Chiesa. L’unica strada per ovviare a questa difficoltà consiste nell’abbonarsi a L’Osservatore Romano (che si può anche acquistare nelle edicole dei centro delle grandi città) oppure a La Traccia, che raccoglie mensilmente gli interventi del Papa. Meglio di tutti sono i volumi Gli insegnamenti pontifici di Giovanni Paolo II pubblicati dalla Libreria Editrtce Vaticana, ma estremamente costosi. Alcuni interventi del Pontefice si trovano regolarmente sulla rivista bimestrale Cristianità oppure vengono letti nel corso della trasmissione La voce del Magistero da me condotta a Radio Maria ogni martedì alle 22,40.
IL TIMONE N. 14 – ANNO III – Luglio/Agosto 2001 – pag. 54-55