Ogni anno si effettuano nei Paesi della UE oltre un milione e 200mila aborti, numero equivalente al deficit demografico. Ecco perché combattere l’aborto, oltre che per il rispetto della vita, è conveniente anche dal punto di vista sociale. Il record negativo della Romania e il cattivo modello della Spagna, “laboratorio” per l’America Latina
Passando ad alcune considerazioni non si può non notare che il numero di aborti nella UE equivale al saldo negativo tra nascite e morti. Vale a dire che se si portassero a termine tutte le gravidanze, l’Europa vedrebbe già risolto l’attuale, drammatico problema del calo demografico. È vero, si tratta di un mero calcolo statistico, però è altrettanto vero che le politiche di prevenzione dell’aborto hanno dimostrato di non funzionare. E il motivo fondamentale è che, dalla cultura dominante, esso è visto come una conquista della donna, ovvero come un fatto positivo. E allora non si può ipocritamente sostenere di voler limitare un “fatto positivo”, è chiaramente un controsenso. Tanto è vero che in Europa a essere veramente ostacolato non è tanto il diritto all’aborto – soltanto Irlanda e Malta lo vietano – quanto il diritto alla maternità e, ovviamente, il diritto alla vita dei non nati.
Anche se non per amore della vita, almeno per istinto di sopravvivenza all’Unione Europea converrebbe promuovere il diritto alla maternità e la tutela dei non nati: finora il calo della popolazione è stato mascherato dalla forte immigrazione, ma ormai il fenomeno è così ampio che anche gli immigrati non riescono a pareggiare i conti.
Un approfondimento a parte merita la Spagna: l’impennata impressionante nel numero di aborti è soltanto la punta dell’iceberg di una realtà preoccupante, che riguarda il profondo cambiamento del Paese, come lo stesso primo ministro José Louis Rodriguez Zapatero ha spiegato nel libro-intervista a lui dedicato, nel 2007: «Se c’è una cosa che caratterizza questo governo è che ha un progetto (…) per ridefinire l’identità sociale e storica della Spagna moderna». E l’impegno a “trasformare la società” è stato più volte ribadito da Zapatero che rivendica «il diritto di creare nuovi diritti», dove è lo Stato a decidere cosa vada o meno tutelato e garantito. «L’idea – diceva sempre Zapatero nel libro-intervista – di una legge naturale che precede le leggi degli uomini è una reliquia ideologica». Parole pesanti che spiegano l’attacco continuo alla presenza e all’azione della Chiesa cattolica, ma che spiegano soprattutto la prospettiva di una serie di provvedimenti che Zapatero ha già realizzato o ha in programma i prendere in questa legislatura (la cui scadenza naturale è nel 2012): primo pilastro è la ridefinizione (ma sarebbe meglio dire l’eliminazione) del diritto alla vita, dalla procreazione assistita alla liberalizzazione dell’aborto (legge approvata recentemente), dalla liberalizzazione della pillola del giorno dopo (disponibile in tutte le farmacie dall’1 settembre scorso) all’eutanasia, fino alla ricerca sugli embrioni. In questa prospettiva Zapatero persegue anche l’eliminazione del diritto all’obiezione di coscienza che – nelle sue parole – «non può essere una scusa permanente per disobbedire alla legge». Gli altri due pilastri sono il Piano nazionale dei diritti umani, tra cui la promozione dell’identità di genere, e la limitazione della libertà religiosa.
Ma la questione più interessante è che Zapatero vede la Spagna come un laboratorio che ha una missione che si allarga a tutto il mondo ispanico, ovvero a quell’America Latina dove l’influenza della cultura cattolica è ancora molto forte. Non a caso, dal momento in cui ha assunto la guida del governo (2004) si sono moltiplicati i viaggi del vice-premier per l’America Latina, con l’evidente scopo di rafforzare l’influenza di Madrid sulle vecchie colonie. Il governo Zapatero ha anche varato una «Alleanza della civilizzazione», attraverso la quale ha investito 528 milioni di euro per diffondere l’ideologia di genere. A questo scopo, ha anche creato un Ambasciatore speciale per la politica di genere, in seno al ministero degli Esteri. Ed esperti spagnoli lavorano ormai al fianco dei governi «amici». Come ha dovuto ammettere il presidente dell’Ecuador Rafael Correa, dopo la controversa approvazione nel 2008 di una Costituzione che apre la porta alla legalizzazione dell’aborto e alle unioni omosessuali.
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IL TIMONE N. 92 – ANNO XII – Aprile 2010 – pag. 18 – 19
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