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21.12.2024

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Il buco nero dell’Europa
31 Gennaio 2014

Il buco nero dell’Europa

 

 

 


Ogni anno si effettuano nei Paesi della UE oltre un milione e 200mila aborti, numero equivalente al deficit demografico. Ecco perché combattere l’aborto, oltre che per il rispetto della vita, è conveniente anche dal punto di vista sociale. Il record negativo della Romania e il cattivo modello della Spagna, “laboratorio” per l’America Latina


 

Ogni anno gli aborti privano l’Unione Europea di tanti abitanti quanti ne risiedono a Milano, ovvero oltre un milione e 200mila. Se poi prendiamo l’Europa tutta intera i cittadini persi in un anno sono poco meno di tre milioni, praticamente quanti sono i residenti del comune di Roma. Sono numeri contenuti nel Rapporto “L’aborto in Europa e Spagna”, presentato il 2 marzo scorso all’Europarlamento dall’Istituto di Politica Familiare (IPF), una organizzazione non governativa spagnola molto attiva nella difesa della famiglia e della vita.
Si tratta di una strage silenziosa che, oltre a dare un’idea di cosa sia e che effetti provochi la cultura della morte, ha una serie di conseguenze sociali che vale la pena prendere in esame.
Vediamo però più in dettaglio alcuni numeri presenti nel rapporto, i cui dati si riferiscono al 2008. Anzitutto il rapporto con le gravidanze, che è di uno a 5: nel 2008 nell’Unione Europea il 18% delle gravidanze è infatti stato interrotto volontariamente. Inoltre degli aborti praticati, uno su 7 (il 14,2%) riguarda le ragazze minori di 20 anni, per un totale di 170.932, numero che raddoppia se si prende in considerazione l’Europa nel suo insieme. Il che vuol dire che il dramma dell’aborto tra le adolescenti è ancora peggiore al di fuori dei confini della UE, visto che l’Europa extra-comunitaria rappresenta il 32% dell’intera popolazione europea. Rimanendo nell’ambito dei 27, il problema è più grave per il Regno Unito, dove nel 2008 hanno abortito 46.897 adolescenti, contro le 31.779 della Francia, le 14.939 della Spagna, le 14.316 della Romania e le 13.775 della Germania.
La differenza tra le diverse regioni europee è evidente anche nella totalità degli aborti. In particolare, nell’Europa a 27 si nota una diversa tendenza tra i 15 Paesi che rappresentano il nucleo storico della UE e i 12 di recente ammissione. Infatti, mentre nei 12 Paesi dell’allargamento il decennio tra il 1998 e il 2008 ha visto un calo drastico nel numero degli aborti (-49%, da 550.587 a 281.060), nella Ue-15 si è registrato il fenomeno contrario: un aumento di circa 70mila aborti l’anno, da 855.645 a 926.586 (+8,3%). In entrambi i casi risultano decisivi due Paesi: tra i 15, è la Spagna che da sola rappresenta l’87% dell’aumento registrato negli ultimi dieci anni, mentre nei 12 di recente adesione il caso limite è quello della Romania, dove nel 1994 si praticavano 530.191 aborti, scesi nel 2008 a 127.907. In effetti, il caso della Romania è drammatico, se si considera che negli ultimi 15 anni è il Paese che ha registrato il più alto numero di aborti: 4.065.904, contro i 3.082.816 della Francia, i 2.988.009 del Regno Unito e 1.998.225 dell’Italia. E malgrado il nettissimo calo degli ultimi anni, essa rimane il terzo Paese europeo per numero di aborti, preceduta da Regno Unito (215.975) e Francia (209.913). L’Italia è invece quarta con 121.406. Rispetto agli altri tre Paesi (compresi tra i 60 e i 64 milioni di abitanti), la Romania però ha una popolazione complessiva nettamente inferiore (21,5 milioni).

Passando ad alcune considerazioni non si può non notare che il numero di aborti nella UE equivale al saldo negativo tra nascite e morti. Vale a dire che se si portassero a termine tutte le gravidanze, l’Europa vedrebbe già risolto l’attuale, drammatico problema del calo demografico. È vero, si tratta di un mero calcolo statistico, però è altrettanto vero che le politiche di prevenzione dell’aborto hanno dimostrato di non funzionare. E il motivo fondamentale è che, dalla cultura dominante, esso è visto come una conquista della donna, ovvero come un fatto positivo. E allora non si può ipocritamente sostenere di voler limitare un “fatto positivo”, è chiaramente un controsenso. Tanto è vero che in Europa a essere veramente ostacolato non è tanto il diritto all’aborto – soltanto Irlanda e Malta lo vietano – quanto il diritto alla maternità e, ovviamente, il diritto alla vita dei non nati.
Anche se non per amore della vita, almeno per istinto di sopravvivenza all’Unione Europea converrebbe promuovere il diritto alla maternità e la tutela dei non nati: finora il calo della popolazione è stato mascherato dalla forte immigrazione, ma ormai il fenomeno è così ampio che anche gli immigrati non riescono a pareggiare i conti.
Un approfondimento a parte merita la Spagna: l’impennata impressionante nel numero di aborti è soltanto la punta dell’iceberg di una realtà preoccupante, che riguarda il profondo cambiamento del Paese, come lo stesso primo ministro José Louis Rodriguez Zapatero ha spiegato nel libro-intervista a lui dedicato, nel 2007: «Se c’è una cosa che caratterizza questo governo è che ha un progetto (…) per ridefinire l’identità sociale e storica della Spagna moderna». E l’impegno a “trasformare la società” è stato più volte ribadito da Zapatero che rivendica «il diritto di creare nuovi diritti», dove è lo Stato a decidere cosa vada o meno tutelato e garantito. «L’idea – diceva sempre Zapatero nel libro-intervista – di una legge naturale che precede le leggi degli uomini è una reliquia ideologica». Parole pesanti che spiegano l’attacco continuo alla presenza e all’azione della Chiesa cattolica, ma che spiegano soprattutto la prospettiva di una serie di provvedimenti che Zapatero ha già realizzato o ha in programma  i prendere in questa legislatura (la cui scadenza naturale è nel 2012): primo pilastro è la ridefinizione (ma sarebbe meglio dire l’eliminazione) del diritto alla vita, dalla procreazione assistita alla liberalizzazione dell’aborto (legge approvata recentemente), dalla liberalizzazione della pillola del giorno dopo (disponibile in tutte le farmacie dall’1 settembre scorso) all’eutanasia, fino alla ricerca sugli embrioni. In questa prospettiva Zapatero persegue anche l’eliminazione del diritto all’obiezione di coscienza che – nelle sue parole – «non può essere una scusa permanente per disobbedire alla legge». Gli altri due pilastri sono il Piano nazionale dei diritti umani, tra cui la promozione dell’identità di genere, e la limitazione della libertà religiosa.
Ma la questione più interessante è che Zapatero vede la Spagna come un laboratorio che ha una missione che si allarga a tutto il mondo ispanico, ovvero a quell’America Latina dove l’influenza della cultura cattolica è ancora molto forte. Non a caso, dal momento in cui ha assunto la guida del governo (2004) si sono moltiplicati i viaggi del vice-premier per l’America Latina, con l’evidente scopo di rafforzare l’influenza di Madrid sulle vecchie colonie. Il governo Zapatero ha anche varato una «Alleanza della civilizzazione», attraverso la quale ha investito 528 milioni di euro per diffondere l’ideologia di genere. A questo scopo, ha anche creato un Ambasciatore speciale per la politica di genere, in seno al ministero degli Esteri. Ed esperti spagnoli lavorano ormai al fianco dei governi «amici». Come ha dovuto ammettere il presidente dell’Ecuador Rafael Correa, dopo la controversa approvazione nel 2008 di una Costituzione che apre la porta alla legalizzazione dell’aborto e alle unioni omosessuali.

 

 

 

RICORDA

 

«Infatti Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggere la vita: missione che deve essere adempiuta in modo degno dell’uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l’aborto e l’infanticidio sono delitti abominevoli».
(Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 51)

 

 

 

 

 

IL TIMONE  N. 92 – ANNO XII – Aprile 2010 – pag. 18 – 19

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