Santi taumaturghi, sociali, riformatori, mistici, confessori… Ciascuno di essi è per noi un compagno di viaggio sicuro, affidabile, fedele. La meta è il Paradiso, dove i santi sono già arrivati.
Dicevamo della straordinaria ricchezza e delle diversità di carismi di cui testimonia la schiera dei santi riconosciuti ufficialmente. Proviamo a fare qualche esempio anche solo tra i più noti. La Chiesa aveva bisogno di una riforma spirituale che nascesse da un cuore totalmente distaccato dai beni terreni e capace di riconoscere in Dio solo le sue vere ricchezze? Ecco Francesco d’Assisi e i suoi frati. Una spiritualità capace di attraversare i secoli nella sua semplicità e solidità. È il carisma della povertà evangelica vissuto sine glossa.
L’eresia dei catari e degli albigesi rischiava di travolgere il popolo di Dio, portandolo lontano dal Vangelo? Ecco san Domenico, tempra eccezionale di apologeta che, con i suoi primi compagni, si sposta di villaggio in villaggio sforzandosi di portare a tutti la prima carità, che è quella della verità. È il carisma del saper rendere ragione della propria fede, di cui parla anche san Pietro, sostenuto, nutrito, illuminato da una grande spiritualità mariana. Non dimentichiamo, infatti, che da san Domenico e dai suoi frati nascerà il Rosario nella sua forma attuale.
Occorre saper stringere la Chiesa, che cerca di arginare la rivolta della Riforma, attorno al papato? Ecco s. Ignazio di Loyola e i suoi gesuiti, che si battono per conservare la prospettiva cattolica, istruendo in essa le classi più elevate, ma insegnando loro anche a pregare (i famosi “esercizi ignaziani”) in forme e modi an-cor oggi di grande validità.
La gente del popolo è povera, misera di istruzione e di mezzi? Ecco la periodica fioritura dei “santi sociali” da sempre presenti nella storia della Chiesa, ma letteralmente esplosi negli ultimi due secoli. Solo per fare un esempio tra i tanti, basterà pensare a quella contemporanea presenza nella Torino dell’Ottocento di Giovanni Bosco, del Murialdo, del Cafasso, del Cottolengo, di Francesco Faà dì Bruno, della Marchesa di Barolo. Giganti di santità, che si occupano dei diseredati di ogni tipo, che li sostengono, li accolgono, li istruiscono, dimostrando così che chi segue Gesù non può non ascoltare chi ha fame e sete di amore ma anche dì pane.
È necessario ricordare che Gesù sapeva e voleva guarire l’uomo in tutto il suo essere e dunque anche nel suo corpo, come testimonianza che poteva guarire il suo spirito? Ecco allora i santi taumaturghi: S. Antonio da Padova, S. Rita da Cascia, due tra i tanti, ancora oggi tra i più amati. Non dimenticando certo il nostro contemporaneo P. Pio da Pietrelcina.
C’è bisogno di un testimone della misericordia di Dio per i peccatori? Di qualcuno che ricordi l’attualità della parabola del Figliuol prodigo? Eccone uno: P. Leopoldo Mandic, un frate cappuccino piccolo piccolo, un nanetto nel fisico, grandissimo nello spirito, che trascorse la sua intera vita in confessionale ad accogliere, ascoltare, distribuire perdono.
Ma ci sono anche i santi capaci di consolare e dì istruire chi faccia esperienza quasi solo della propria impotenza, della propria debolezza, della malattia, del fallimento umano. Pensiamo per es. a S. Teresa di Lisieux che non riuscì a fare altro che la malata, fragile fisicamente e psicologicamente – in questo modernissima – che tuttavia, proprio su questa debolezza divenuta abbandono totale, costruì una “piccola via”, sentiero sicuro e consolazione per molti.
Non abbiamo citato che alcuni tra gli esempi possibili. Potremmo evidentemente continuare ancora a lungo e parlare, per esempio, di quei santi mistici cui è affidato il compito di farci almeno intravedere, con alcuni lampi di luce, il grande Mistero.
I doni che Dio elargisce sono infiniti, così come Egli è infinito. Per questo ciascuno di noi può trovare facilmente il “suo” santo che lo accompagni sul cammino, spesso faticoso, che conduce alla Vita. Compagno di viaggio sicuro, fedele, guida non cieca, perché conosce bene la meta e la strada per giungervi.
E può trovarlo per i propri figli, a cominciare dal nome. È un uso invalso da sempre tra i cristiani. Oggi, tuttavia, messo in pericolo dal fascino di mode spesso stravaganti. Perché non ripristinarlo e viverlo con pienezza? Un nome non è una formalità per distinguerci da altri. È un fatto importante, un suono evocatore. Pensiamo al nome di Gesù, il più eccelso che risuoni in Cielo, in Terra, in ogni luogo. Tanto che già il pronunciarlo diventa preghiera risanatrice. Ma anche il nome dei santi risuona come quello di un uomo o di una donna che hanno seguito Gesù Cristo fino alla gloria, dunque carico di memorie di bene. Non è un grosso dono da fare a un figlio fin dall’inizio della sua vita?
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