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21.12.2024

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I San Patricios
31 Gennaio 2014

I San Patricios

 

 

Dalla Turchia all’Iraq, dall’Egitto al conflitto israelo-palestinese, tutta la regione appare una polveriera pronta a esplodere da un momento all’altro. Ma la vera sfida che deciderà il futuro è la libertà religiosa

 

Spero prima o poi di catturarne il dvd: i San Patricios li ho intravisti un paio di volte in tarda serata sul canale 7 Gold, che ogni tanto trasmette fiction televisive western americane (una, interessante, sui Daniti, i vigilantes mormoni dello Utah ottocentesco, con Tom Berenger e Charlton Heston). Sempre Tom Berenger fa la parte di John Riley, l’irlandese comandante del Saint Patrick’s Battalion, in un film – forse – del 2006. Narra di una pagina della storia americana non troppo gloriosa (una delle tante) che da noi solo pochi conoscono ma che, a mio avviso, non può non interessare i kattolici.
La vicenda è presto detta. Nel 1846 gli Stati Uniti condussero l’ennesima guerra di aggressione (una delle tante) nei confronti del Messico per strappare a quest’ultimo il New Mexico e la California. Un adagio locale recita: «Povero Messico, così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti!». Infatti, già il cattolico Messico si era visto portare via l’immenso Texas, i cui abitanti di fede schiavista avevano chiamato in aiuto i “fratelli” americani quando il presidente messicano, generale Santa Ana, aveva abolito la schiavitù. Volontari americani (tra cui il celebre frontiersman Davy Crockett, massone e senatore del Tennessee, nonché il famoso scout Jim Bowie, poi morti – pare – eroicamente ad Alamo) guidati dal generale Houston avevano costretto il Messico a venire a patti. Quella del 1846 fu una guerra “ufficiale” (cioè, condotta non da volontari ma dall’esercito) dichiarata dal presidente Polk e terminata due anni dopo, nel 1848, con la solita sconfitta messicana.
Ebbene, in questa guerra tra gli americani militavano molti irlandesi, polacchi, italiani e francesi. I primi, molto più numerosi, erano emigrati per fame. Trattati a pesci in faccia perché poveri e, soprattutto, «papisti», come molti europei si erano arruolati per poter mangiare tutti i giorni, ma gli yankees li tenevano nella stessa considerazione dei negri. Li chiamavano potato heads, teste di patata, sia per il colore dei capelli che per la dieta cui erano abituati (era stata proprio una malattia delle patate, loro alimento principale, che aveva causato migliaia di morti per fame in Irlanda e provocato l’emigrazione di quasi un milione di irlandesi negli Usa). Quando si accorsero di star combattendo contro cattolici come loro, in 175 gettarono la divisa americana e passarono nel campo nemico. A quel punto il governo messicano comprese di poter sfruttare a proprio vantaggio la cosa e promise buona paga, appezzamenti di terreno e cittadinanza a tutti quei soldati Usa che li avessero imitati. Fu così che circa 700 cattolici (ma anche ex schiavi negri) saltarono il fosso e vennero inquadrati nel neo-costituito Battaglione di San Patrizio, provvisto di bandiera verde e agli ordini del luogotenente Riley. Gli irlandesi al servizio del Messico, che i messicani chiamavano San Patricios, esordirono nella battaglia di Monterrey, nel settembre del 1846. Il Messico perse quella battaglia, ma i San Patricios si coprirono di gloria sul campo. Per il Messico l’intera guerra non fu che una serie di sconfitte, a Vera Cruz, a Cerro Gordo, a Chapultepec, fino all’ultima e definitiva a Churubusco. Gli irlandesi, sapendo qual sorte li attendeva in caso di sconfitta, erano sempre gli ultimi a gettare le armi.
Antonio Lodetti, in un articolo su Il Giornale del 31 marzo 2010, è stato il solo in Italia a ricordare quell’epopea. Lodetti rammenta che a Chapultepec l’irlandese Patrick Dalton fece fuori il soldato messicano che per primo osò sventolare bandiera bianca. Dalton venne impiccato come disertore dagli americani il giorno stesso della resa.
La sua sorte fu seguita da quasi tutti quelli che, via via, cadevano nelle mani dei vincitori. Solo in venti sopravvissero dei San Patricios, anche perché, appena i giornali riportarono la loro storia, il governo americano fu bersagliato dalle proteste delle Potenze cattoliche, la cui opinione pubblica chiedeva che si tenesse conto delle motivazioni ideali: infatti, i San Patricios non erano gente che aveva disertato per viltà e si era data alla macchia, ma avevano combattuto, lealmente e a viso aperto, per la parte che consideravano giusta. Ma per l’esercito americano non erano che volgari traditori e la cosa fu liquidata così: dopo una buona dose di frustate, i venti che ancora non erano stati giustiziati vennero rilasciati, ma non prima di averli marchiati a fuoco su una guancia con la lettera «D»: Disertore. Il loro comandante, John Riley, di marchi del genere ne ebbe due, uno per guancia. Rimase in Messico col nome di Juan Reley e vi morì appena due anni dopo, nel 1850. Quei combattenti irlandesi, che il presidente americano Polk sprezzantemente definiva «senza patria né idee», nel 2002 sono stati invece considerati dal parlamento messicano «difensori della patria», una patria acquisita perché riconosciuta sorella di quella che avevano perduto: non è infatti un certificato a giustificare un’appartenenza, bensì la comune fede religiosa, fonte di un modo di pensare e vivere che rendeva un irlandese (ma anche un italiano, un francese e un polacco) più simile a un messicano che a uno statunitense. Non a caso, vent’anni dopo un altro Battaglione San Patrizio si sarebbe costituito spontaneamente per andare a combattere e morire per il papa Pio IX contro l’aggressione piemontese. Il Messico, dal canto suo, non ha dimenticato quei suoi fratelli d’oltreatlantico e ancora li festeggia il 12 marzo, nel giorno della loro esecuzione in massa.
Lodetti riporta anche i versi di una ballata popolare dedicata ai San Patricios, che a un certo punto recita: «Siamo spariti dalla storia come un’ombra dalla sabbia / ma se nel deserto alla luce della luna vedi un gruppo di fantasmi / sono quegli uomini che sono morti per la libertà lungo il Rio Grande».
Già, per la libertà. Hollywood ci ha abituati a pensare che la «libertà» sia sempre stata dalla parte degli yankees, ma ciò è vero solo dalla seconda guerra mondiale in poi. Prima, c’era il «destino manifesto», la Conquista del West a spese degli indiani, le guerre coloniali a danno della Spagna (Cuba e le Filippine), l’«America agli americani» (cioè, quella del Sud a quelli del Nord), la destabilizzazione del disgraziato Messico (fino alla guerra civile contro i cattolici «cristeros» del 1926-29). Ma gli irlandesi hanno la testa dura e oggi il 17 marzo, Saint Patricks’Day, li vede marciare fieri nei loro kilt al suono delle cornamuse per le strade americane, mentre i loro musicisti mantengono vivo il ricordo dei San Patricios con i dischi dei celebri Chieftains e dei Fenians (ma anche il mitico chitarrista e folksinger americano Ry Cooder).
Il sacrificio di quel Battaglione è stato celebrato in ben tre film nel 1962, nel 1999 e nel 2006. Forse non dei kolossal come il famoso «La battaglia di Alamo», l’unico diretto (oltreché interpretato) dal grande John Wayne. Ma forse c’è una sottile vendetta della sorte nel fatto che «The Duke» (soprannome di John Wayne) abbia sposato una messicana e abbia terminato la sua vita da cattolico.

 


 


IL TIMONE  N. 95 – ANNO XII – Luglio/Agosto 2010 – pag. 20 – 21

 

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