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22.12.2024

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Hanno scritto… hanno detto…
31 Gennaio 2014

Hanno scritto… hanno detto…

 

Il Timone n. 67 – anno 2007 –

 

«Si sa che per riconoscere di quale malattia è affetto un paziente occorrono, in lui, dei segni che la manifestino, e nel medico un occhio diagnostico per scoprirla. Presenza dei “segni” ed “occhio diagnostico” sono entrambi necessari per un sicuro riconoscimento. Questo metodo che viene usato nel vasto campo delle scienze sperimentali per cogliere le leggi della natura, è utile e necessario, con alcuni accorgimenti, anche in quel settore della scienza teologica che cerca di evidenziare l’origine divina del Messaggio Cristiano. Il Messaggio Cristiano porta con sé i suoi motivi di credibilità, perché, per volere positivo di Dio, porta marcata l’impronta della sua origine divina. Si tratta allora di saper cogliere quei segni che la manifestano. La prova dell’origine divina del Cristianesimo consisterà nel mettere in evidenza quei segni che la esprimono, nel metterli in relazione tra loro, così da indirizzare anche gli occhi di coloro che sono un po’ svagati a porvi attenzione, a riflettere, per trarne conclusioni positive».
(Aldo Locatelli, Il disegno di Dio per l’uomo, p. 75).

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«La parabola anticristiana che si è sviluppata in Occidente negli ultimi tre secoli riflette nei suoi tratti fondamentali l’antica tentazione dell’Eden.
La tentazione originaria infatti è la seduzione per eccellenza, non solo quella iniziale, ma anche quella permanente. Essa non sta soltanto alle spalle dell’umanità, ma è contemporanea a ogni generazione. La fine della storia ne vedrà l’apogeo, quando l’uomo della società anticristica indicherà se stesso come Dio, provocando la venuta del Figlio di Dio sulle nubi del cielo. Inoltre non si tratta di una tentazione particolare, ma della radice di ogni tentazione, che genera e alimenta tutte le altre. I peccati del genere umano proliferano sul terreno della superbia e della disubbidienza, la cui matrice è il malsano desiderio dell’uomo di fare a meno di Dio, rinnegando il suo status di creatura. Sotto il profilo di una visione di fede non si potrebbe comprendere il fenomeno dell’apostasia se non alla luce dalla promessa satanica: “Sarete come Dio” (Genesi 3,5».
(Livio Fanzaga, Non prrevalebunt. Manuale di resistenza cristiana, p.65).
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«Dietro a tutto ciò sta il problema ben noto della presunta opposizione “ragione o fede”, dando per scontato che per l’uomo contemporaneo non possano darsi “ragione e fede”. Eppure non dovrebbe essere difficile riconoscere che la ragione lasciata a se stessa non è capace di rispondere a tutto e alla fine si dissolve nei mille irrazionalismi che dominano la cultura diffusa. Non è pertanto strano che sia la Chiesa oggi ad apparire come l’ultimo vero difensore della ragione, proprio perché non la vede come nemica della fede, purché non la si voglia utilizzare in senso esclusivista. Il libro di Benedetto XVI su Gesù di Nazaret è la migliore risposta su come la ricerca storica possa stare nella compagnia della fede e, guardando a Gesù, sia capace di offrirne un volto assai più attendibile di quello mutilo e insignificante, appiattito sulla normalità del suo tempo, che certi uomini di cultura e storici del cristianesimo, mal guidati da stravolgimenti ideologici, sanno offrirei».
(Giuseppe Betori, La Parola nel tempo della missione. Bibbia, cultura, comunicazione, p. 97).
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«Nella visione di La Pira, come il pensiero greco ha offerto “la intelaiatura del pensiero umano ove sarebbe stata adagiata la rivelazione divina”, così la giurisprudenza romana ha fornito “l’organizzazione giuridica che avrebbe dato unità anche visibile alla unità interiore, invisibile, della nuova società cristiana”;
egli aggiunge: “la Chiesa, in quanto organismo giuridico, ripete indubbiamente da Roma la sua compattezza e unicità”. Nel diritto romano vi è dunque per il La Pira un disegno provvidenziale: preparare la venuta del cristianesimo e della Chiesa. Fra le varie civiltà era questo l’unico ordinamento, a causa del suo universalismo, in grado di consentire un tale disegno».
(Giuseppe Valditara, Saggi sulla libertà dei romani, dei cristiani e dei moderni, p. 86).
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«Possiamo misurare il valore di una teologia dall’importanza che attribuisce all’Eucarestia, dalla sua ossessione dell’Eucarestia. Basta verificare se una teoria accresce o diminuisce nei cristiani il desiderio di ritornare alla sorgente: “Dove sarà il cadavere, là si raduneranno gli avvoltoi” (Le 17,37). Non è facoltativo mettere o no in luce che l’Eucaristia è tutto. (…) Una dottrina non è pura se presenta l’Eucarestia come, secondo l’espressione odierna, adunata suprema della comunità cristiana, senza prima di tutto metterla in luce come Corpo e Sangue di Cristo, che si mangia e si beve. Per portare frutto non c’è altro da fare che essere saziati dalla vita divina».
(Marie-Dominique Molinié o.p., Il coraggio di avere paura, pp. 165-166).

IL TIMONE – N.67 – ANNO IX – Novembre 2007 pag. 34

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