Tra i sacramentali, da noi ricordati nello scorso numero, abbiamo elencato gli esorcismi. Cosa sono esattamente? Si tratta di particolari preghiere di liberazione dalla presenza del demonio o dagli effetti della sua azione. In senso ampio ogni atto di fede, di carità, di preghiera è per sua natura esorcistico, ossia allontana da noi il male. Per cui già un segno di croce o un Pater noster (“Liberaci dal male”) rappresentano una vittoria dello Spirito. In particolare i sacramenti conferiscono al cristiano una grazia speciale per vincere sul male. Il Battesimo, per esempio, significa liberazione dal peccato, esplicita rinunzia a Satana, tanto che durante la sua celebrazione vengono pronunziati uno o più esorcismi sul candidato (CCC 1237). Cristo vuole infatti la guarigione di tutto l’uomo, e in tutti i sensi.
L’esorcismo, nella sua configurazione di sacramentale, può essere praticato solo dagli esorcisti; per esorcisti non s’intendono naturalmente tutti quei personaggi, talora ambigui, che compaiono nelle pubblicità offerte dal mondo della magia, magari con la qualifica aggiuntiva di cartomanti o guaritori: in questi casi l”’esorcismo” è semplicemente una pratica di lucro, del tutto inefficace o addirittura dannosa. Il Codice di Diritto Canonico è ben chiaro riguardo ai requisiti dell’esorcista: “Nessuno può proferire legittimamente esorcismi sugli ossessi, se non ha ottenuto dall’Ordinario del luogo peculiare ed espressa licenza” (Can 1172,1). E il vescovo concede tale licenza” solo al sacerdote che sia ornato di pietà, di scienza, di prudenza e d’integrità di vita” (Can 1172,2). In questo caso, come ribadisce il Catechismo, “la Chiesa domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l’influenza del Maligno e sottratto al suo dominio” (CCC 1673).
Il primo grande esorcista fu Gesù: i Vangeli, specie quello di Marco, narrano con frequenza episodi di liberazione. Poi Cristo conferì questo potere agli apostoli (Mt 10,1) e da allora la Chiesa lo conserva e lo amministra” mediante l’autorità spirituale che Gesù ha affidato alla sua Chiesa” (CCC 1673; cfr anche 550). Naturalmente i presbiteri che assumono questo delicato incarico sono invitati a grande prudenza, perché vi sono anche alcune patologie mentali che si presentano, come riportato negli stessi manuali di psichiatria, con “sindrome da possessione”.
Tuttavia è innegabile che un gran numero di casi non rientrano, per la loro particolare sintomatologia, all’interno dei consueti quadri clinici. In particolare si sospetta la reale possessione nei casi in cui i soggetti manifestino, oltre allo sdoppiamento improvviso di personalità, un’inspiegabile avversione verso il sacro (finanche quando essi ne ignorano la presenza).
La continua ed accurata osservazione ha inoltre messo in luce l’occasionale comparsa di fenomeni ritenuti paranormali (Ievitazioni, poliglossia, ecchimosi figurate, materializzazioni ectoplasmatiche,.. .).
Anche riguardo alla questione delle cause delle possessioni, lo studio della casistica ha portato ad individuare almeno tre comportamenti come possibile origine di queste: 1) la frequentazione, da parte del soggetto, di rituali satanistici o di magia nera; 2) la partecipazione a sedute spiritiche o ad altre attività medianiche; 3) rituali malefici operati da terzi nei riguardi del soggetto coinvolto, anche a sua insaputa. In quest’ultimo caso permangono però dubbi sulla reale efficacia di questi malefici in persone protette spiritualmente dalla loro fede e che vivono in costante stato di grazia.
Come dice San Paolo la nostra lotta è “contro i dominatori di questo mondo tenebroso e contro gli spiriti maligni” ma noi “indossiamo l’armatura di Dio per potere star saldi contro il potere del diavolo” (Ef 6, 11-13; Lumen Gentium 48,d).
È pertanto errato ogni atteggiamento di timore davanti a questi fenomeni. Il vero cristiano è consapevole, come insegna la Chiesa, che Cristo è vincitore sulla potenza del Male e, se a Lui unito, nulla deve temere da “scorpioni e serpenti”.
IL TIMONE N. 25 – ANNO V – Maggio/Giugno 2003 – pag. 61