Ti arrampichi verso il Ghisallo con un rapporto comodo, ma la fatica è pur sempre da Golgota. Nella Brianza esempio sublime del cattolicesimo lombardo concreto e fattivo, il ciclismo non è uno sport, è un’iniziazione. E quando arrivi lassù al piccolo Santuario della Madonna, fra le maglie di Eddy Merckx, le bici di Fausto Coppi e il belvedere a tuffo su quel ramo del Lago di Como, niente è più manzoniano di ciò che vedi. In piena crisi alla ricerca di una fontanella, il devastato cicloamatore riuscirebbe a scorgere don Abbondio che tenta di scappare in mountain bike ai due bravi di don Rodrigo, con una molletta a tenere a bada la tonaca per impedire che si incasini nei raggi. Anche nell’era del laicismo globalista non c’è sport più del ciclismo ad avvicinarsi (perfino nel sacrificio fisico) al paradiso.
E il Giro d’Italia che comincia da Budapest e arriva a Verona – fra ascese ad antichi monasteri, fermate davanti a cappelle trasformate in spartitraffico e immaginette infilate dalla mamma nelle valigie in microfibra – evoca anche quest’anno una sottile e mai dichiarata caccia alla fede oltre che alla maglia rosa…
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