Il Papa sta trattando della Fede, di come comunicarla e con quali modalità, nelle catechesi del mercoledì. Indicazioni importanti per l’apostolato dei nuovi evangelizzatori
Frequenti e importanti indicazioni sono contenute nelle ultime catechesi del Papa in occasione delle udienze generali del mercoledì, in San Pietro. Esse hanno come sfondo l’Anno della fede, nel senso che sono una serie di riflessioni proprio in funzione di aiutare i sacerdoti e i fedeli a vivere questo periodo convulso e drammatico della storia della Chiesa in modo da potere accrescere la loro fede e anche, e soprattutto da un certo punto di vista, di riuscire a comunicarla.
Tre modi per comunicare il cristianesimo
Nell’Udienza del 14 novembre 2012, per esempio, il Pontefice ha voluto come introdurci a un breve corso di apologetica, fondato su tre vie: il mondo, l’uomo e la fede. Ognuno di questi tre punti, ha sostenuto Benedetto XVI, può essere l’occasione affinché alcuni si lascino conquistare dalla Verità.
1. Il «mondo», perché la bellezza di tutta la creazione non può non farci riflettere sull’esistenza di un Essere che ha creato ogni cosa, che sia la Bellezza: «Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo…, interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un loro inno di lode. Ora queste creature così belle, ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è la bellezza in modo immutabile? (S. Agostino, Sermo 241, 2)».
2. L’«uomo», che se solo fosse capace di rientrare in se stesso, come raccomanda sant’Agostino, troverebbe la verità che ricerca, che sta dentro e non al di fuori dell’uomo: «Non andare fuori di te, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità» (S. Agostino, De vera r el igione , 39,72).
3. Quindi la «fede», che soprattutto nel mondo di oggi profondamente secolarizzato costituisce una via per mostrare l’esistenza di Dio, purché sia testimoniata nella vita quotidiana. Infatti, così scrive il Papa: «Oggi molti hanno una concezione limitata della fede cristiana, perché la identificano con un mero sistema di credenze e di valori e non tanto con la verità di un Dio rivelatosi nella storia, desideroso di comunicare con l’uomo a tu per tu, in un rapporto d’amore con lui. In realtà, a fondamento di ogni dottrina o valore c’è l’evento dell’incontro tra l’uomo e Dio in Cristo Gesù. Il Cristianesimo, prima che una morale o un’etica, è avvenimento dell’amore, è l’accogliere la persona di Gesù. Per questo, il cristiano e le comunità cristiane devono anzitutto guardare e far guardare a Cristo, vera Via che conduce a Dio».
La fine delle ideologie
Ma ancora più utili per l’apostolato sono forse le indicazioni che precedono queste riflessioni, sempre nella stessa Udienza. Intanto, bisogna ricordare che la prerogativa del cristianesimo consiste nel fatto che è Dio a prendere l’iniziativa di rivelarsi e quindi «è Lui per primo che ci illumina, ci orienta e ci guida, rispettando sempre la nostra libertà. Ed è sempre Lui che ci fa entrare nella sua intimità, rivelandosi e donandoci la grazia per poter accogliere questa rivelazione nella fede. Non dimentichiamo mai l’esperienza di sant’Agostino: non siamo noi a possedere la Verità dopo averla cercata, ma è la Verità che ci cerca e ci possiede».
Inoltre, è utile un inquadramento storico, al quale il Pontefice ci ha abituato con la sua attenzione agli anniversari e alle diverse fasi della storia. Oggi, scrive il Papa, a differenza di quanto accadeva nei “secoli della fede”, sono i cristiani che devono spiegare perché sono tali, quali sono le ragioni della loro fede, il motivo di certi comportamenti. Dall’Illuminismo in poi, scrive il Papa, «la critica alla religione si è intensificata; la storia è stata segnata anche dalla presenza di sistemi atei» per i quali Dio era una illusione. Dopo il Settecento e l’Ottocento, segnati dalla diffusione dell’Illuminismo, nel XX secolo si è verificato «un forte processo di secolarismo, all’insegna dell’autonomia assoluta dell’uomo» con le conseguenze drammatiche di due guerre mondiali, di decine di milioni di morti provocati dalle ideologie, soprattutto dal comunismo e dal nazionalsocialismo. Con la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, finisce un incubo ma non “finisce la storia” e l’umanità non entra in un “mondo migliore”. «Nei nostri tempi si è verificato un fenomeno particolarmente pericoloso per la fede» – scrive il Papa – «c’è infatti una forma di ateismo che definiamo, appunto, “pratico”, nel quale non si negano le verità della fede o i riti religiosi, ma semplicemente si ritengono irrilevanti per l’esistenza quotidiana, staccati dalla vita, inutili. Spesso, allora, si crede in Dio in modo superficiale, e si vive “come se Dio non esistesse” (etsi Deus non daretur)».
Perso il riferimento a Dio, «si è oscurato anche l’orizzonte etico», con la deriva del relativismo e con una «concezione ambigua della libertà, che invece di essere liberante finisce per legare l’uomo a degli idoli ». È questo il mondo post-moderno, successivo all’epoca delle ideologie, che hanno provocato dolore e ingiustizia, mentre oggi domina il cinismo e la disperazione.
Che cosa si può fare?
Che fare, dunque? La domanda fatale che si poneva Lenin all’inizio della rivoluzione comunista in Russia, accompagna da sempre le strategie dell’evangelizzazione. «Quali risposte, allora, è chiamata a dare la fede, con “dolcezza e rispetto”, all’ateismo, allo scetticismo, all’indifferenza verso la dimensione verticale, affinché l’uomo del nostro tempo possa continuare ad interrogarsi sull’esistenza di Dio e a percorrere le vie che conducono a Lui?».
Oltre alle tre risposte che ho ricordato all’inizio, Benedetto XVI ricorda anche un atteggiamento che il cattolico dovrebbe assumere nel proporre la fede all’uomo contemporaneo. Si tratta di un “modo di essere del cuore” che può apparire scontato, o semplicistico, ma il Papa lo ricorda troppo frequentemente perché non gli si debba prestare attenzione. È una brevissima parola, «gioia», e l’atteggiamento consiste nel «comunicare la gioia del Vangelo ad ogni creatura e condurre tutti all’incontro con Gesù, unico Salvatore del mondo ». Certo, nessuno può darsi la gioia, ma essa è una conseguenza della vita di preghiera che lentamente trasforma gli uomini a immagine di Dio. E tuttavia, se il cristiano non manifesta la gioia difficilmente riuscirà a convincere qualcuno, soprattutto in questi tempi dove l’approccio alle persone deve tenere conto che un’emozione “conta” più di un ragionamento.
Mi soffermo su questo aspetto perché non credo lo si possa liquidare come scontato. La funzione del Magistero della Chiesa, del Pontefice in particolare, non è soltanto di trasmettere la verità della dottrina, ma anche di indicare le principali modalità, mutevoli nelle diverse epoche storiche, con cui trasmettere la fede. Da questo punto di vista, pur senza cadere in eccessi esagerati, dobbiamo ascoltare l’insegnamento del Papa ma anche guardare lo stile con cui comunica, e soprattutto le indicazioni operative che ci fornisce. Se osserviamo le grandi stagioni della storia della Chiesa, vediamo come in occasione dei grandi mutamenti epocali il Magistero pontificio abbia preso per mano il corpo della Chiesa e lo abbia guidato attraverso nuovi atteggiamenti. Diversamente, avremmo bisogno di un semplice ripetitore, mentre il Pontefice ha il compito di guidare i fedeli, per condurli lungo la strada che porta alla salvezza, invitandoli ad assumere certi atteggiamenti invece di altri di fronte alle grandi svolte della storia. Così è stato dopo la svolta costantiniana nel 313, dopo la Riforma protestante, dopo l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, dopo la caduta del Muro nel 1989 che ha segnato la fine dell’epoca moderna.
IL TIMONE N. 119 – ANNO XV – Gennaio 2013 – pag. 58 – 59
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