Che cosa avviene quando, anche solo in pochi casi, si aprono le porte all’eutanasia di Stato? Questo: se eutanasia e suicidio assistito sono legali, si diffondono. Inarrestabili. E l’eccezione diventa regola
Ha cominciato l’Olanda…
L’Olanda è stata la prima nazione europea a legalizzare l’eutanasia e il suicidio assistito nel 2002, seguita a ruota, nello stesso anno, dal Belgio. E, proprio dall’Olanda, giunge, a febbraio 2010, una notizia davvero incredibile: sono state raccolte 112.500 firme per costringere il Parlamento a discutere di una proposta che prevede il diritto di accedere all’assistenza al suicidio a tutti quegli anziani che, compiuti i 70 anni di età, si sentano «stanchi di vivere». Attualmente, nei Paesi Bassi, il suicidio assistito è possibile solo per soggetti per i quali si accerta una sofferenza insopportabile. È evidente quale tipo di salto in avanti costituisca questo tipo di iniziativa, partita dall’associazione Uit Vrije Wil (traducibile come «libera volontà», «autodeterminazione»).
Per i promotori, gli ultrasettantenni devono poter suicidarsi liberamente e con la garanzia di un’assistenza medica statale una volta che arrivino alla conclusione che «il valore e il significato della loro vita sono così diminuiti da preferire la morte». I primi firmatari della proposta sono storici attori della politica e dell’associazionismo olandese, da sempre impegnati a favore della “dolce morte”, a testimonianza del fatto che una volta ottenuto il via libera per eutanasia e suicidio assistito, per alcuni questo è solo un punto di partenza verso continui “aggiornamenti”. Hedy d’Ancona, già europarlamentare socialista e Ministro della salute, nonché militante femminista, fa del suo appoggio alla Uit Vrije Wil una bandiera al pari di quella per l’emancipazione della donna. Tra i sostenitori della proposta c’è anche Eugene Sutorius, presidente della Nvve, l’Associazione olandese per il diritto a morire, che ha dichiarato al quotidiano Volkskrant che i timori di abusi sono infondati. Dobbiamo credere alle rassicurazioni di Sotorius? Vediamo anzitutto le statistiche ufficiali: 1.815 casi di morte procurata nel 2003, 1.886 nel 2004, 1.933 nel 2005, per poi proseguire con un aumento costante ogni anno, fino a raggiungere i 2.331 casi del 2008. Per il 2009, secondo quanto riportato dal quotidiano Telegraaf, la cifra si aggirerebbe intorno ai 2.500 casi. Sono poi molte le controversie che riguardano l’eutanasia. Un esempio è quello del presidente dell’associazione SVL (acronimo olandese di «Società per la vita volontaria»), responsabile della somministrazione di una dose letale di pentobarbital ad una donna dopo che il medico si era rifiutato di concedere l’eutanasia non avendo riscontrato una sofferenza insopportabile. Il 3 giugno 2009, il quotidiano Volkskrant registrava una pericolosa tendenza, proprio in merito ai casi sempre più frequenti di mancato rispetto delle direttive dei medici (gli unici che in Olanda hanno potere decisionale in merito), scrivendo: «L’eutanasia in Olanda sembra diventare sempre più accettata». Tanto accettata e “normale”, che la Uit Vrije Wil chiede anche che non sia più necessario l’intervento diretto di medici, sostituendoli con personale certificato, qualificato ed abituato ad avere a che fare con malati prossimi alla morte (infermieri, psicologi e addirittura cappellani). Non solo dunque veri e propri abusi, ma anche diffusione sempre più capillare di una mentalità che riconosce la morte come un diritto per chi la desidera espressamente e come una liberazione per chi conduce una vita che da terzi viene giudicata non degna.
Non dimentichiamo poi che in Olanda si sono registrate altre due tappe della corsa alla “dolce morte”: nel 2005 è stato elaborato il Protocollo di Groningen, col quale il dottor Eduard Verhagen ha sistematizzato l’eutanasia sui neonati, mentre nel 2006 si è cominciato a discutere sull’opportunità di estendere, a discrezione dei medici, l’eutanasia ai malati di mente. Ricapitolando: si parte dalla legalizzazione dell’eutanasia in casi ben definiti e si arriva ad una sua estensione sia per quanto riguarda i soggetti interessati (neonati, anziani), sia relativamente ai requisiti necessari (dalla malattia terminale al semplice desiderio di morire perché “stanchi di vivere”).
… seguita dal Belgio
In Belgio, l’escalation è stata del tutto analoga. La legge sull’eutanasia fu approvata nel maggio 2002 e già tre anni dopo i medici di base potevano acquistare nelle farmacie il cosiddetto “kit per la dolce morte”: foglietto delle istruzioni, cinque fiale e siringhe usa e getta. Una facilitazione procedurale ottenuta grazie alla pressione di molti medici che, statistiche alla mano, mostrarono come il 41% delle eutanasie fosse praticato tra le mura domestiche. Perché, chiesero i medici, il paziente che sceglie di morire a casa deve essere costretto ad attese più lunghe di quello che va in ospedale? Nel 2008, poi, la Commissione Giustizia e Affari sociali del Parlamento belga ha discusso la proposta di concedere ai genitori di minorenni il diritto di scegliere la morte per i figli nel caso in cui questi ultimi non posseggano le capacità di discernimento necessarie. Oltre a questo, la stessa Commissione ha suggerito di ritenere valide le dichiarazioni anticipate di trattamento (il cosiddetto “testamento biologico”) anche per coloro che, per sopraggiunti danni cerebrali, siano impossibilitati a confermare le volontà espresse in precedenza. Anche nel caso del Belgio, come si nota, si parte da una legge con precisi paletti e si arriva all’estensione dei criteri e alla facilitazione dell’accesso all’eutanasia.
Una facilitazione estrema di cui ha potuto “beneficiare” Amelie Van Esbeen, una donna novantatreenne che, nel marzo 2009, ha ottenuto di poter morire con l’aiuto dei medici nonostante non fosse affetta da una malattia terminale o da una sofferenza insopportabile. Requisiti, questi, richiesti dalla legge belga, ma che sono stati aggirati per il semplice fatto che la donna era così determinata a morire da aver iniziato uno sciopero della fame. Nello stesso periodo il quotidiano belga Le Soir, basandosi sulle conclusioni di un articolo apparso sull’American Journal of Critical Care, parlava di eutanasia sui minori come di una realtà ormai ampiamente diffusa in Belgio.
Negli USA
Non mancano altri numerosi esempi, anche extraeuropei, che mostrano quanto pericoloso sia aprire le porte ad eutanasia e suicidio assistito. Tra questi, merita senza dubbio una citazione il caso dello Stato di Washington, negli Stati Uniti, dove l’approvazione della legge che consente di ottenere l’assistenza al suicidio è del 2008. Recente, dunque, ma dagli effetti già ben chiari: nel 2009, le persone suicidatesi con l’aiuto dei medici sono state 36. Il dato più impressionante è quello circa le motivazioni che hanno spinto le persone a richiedere l’assistenza al suicidio. Quasi uno su quattro tra coloro che hanno fatto tale richiesta è stato spinto, tra varie motivazioni, anche dalla preoccupazione di diventare un peso per i propri familiari.
Dunque, oltre al dimostrato innesco di una tendenza ad allargare indiscriminatamente il ventaglio di coloro che si vuole abbiano diritto ad eutanasia e suicidio assistito, la legalizzazione di queste pratiche produce un altro effetto devastante: i malati, gli anziani, i sofferenti, coloro che in misura maggiore dovrebbero veder garantito il diritto all’assistenza e alla fratellanza, sono portati a sentirsi un problema insopportabile per la «società dei sani» e a chiedere la morte.
È questa libertà? È questa autodeterminazione?
IL TIMONE N. 94 – ANNO XII – Giugno 2010 – pag. 16 – 17
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