Era una pratica del mondo antico: si esponevano i neonati indesiderati per condannarli a morte certa.
Solo Ebrei ed Etruschi erano contrari. Poi giunse la condanna dei Cristiani, quindi quella degli Stoici.
L'opera di Clemente Alessandrino.
Clemente Alessandrino, padre della Chiesa del Il secolo, dedicò una lunga trattazione al matrimonio cristiano nei suoi Stromati o Libri di Miscellanea, insistendo sulla castità che deve caratterizzare tale unione e al contempo sulla sua santità, negata invece all'epoca da eretici come gli encratiti e gli gnostici. In tale contesto, Clemente è uno degli autori cristiani antichi che affermano che i Cristiani, come i pagani, si sposano sì e generano bambini, ma, a differenza dei pagani, non li espongono, ossia non li abbandonano poco dopo la nascita in quanto indesiderati.
La piaga dell'esposizione era comune nel mondo antico, sia greco sia romano, e aveva le proporzioni di un eccidio, legalmente permesso in nome della potestà di vita e di morte del pater familias, che poteva decidere se riconoscere ed allevare un piccolo nato in casa sua oppure perfino in mancanza di malformazioni o di sospetta illegittimità – poteva insindacabilmente abbandonarlo ad un destino di morte o, prospettiva non migliore, di schiavitù e prostituzione.
Nel mondo antico, a parte ovviamente i Cristiani, a non esporre i loro bambini erano soltanto gli Ebrei, in nome del divieto divino di uccidere, e gli Etruschi, presso i quali le donne godevano di considerazione e rispetto notevolmente maggiori di quanto non accadesse nelle altre culture antiche.
Già qualcuno tra gli Stoici romani – che non a caso Clemente, Origene e altri Cristiani ammirarono profondamente e considerarono ispirati da quello stesso Logos che poi si manifestò pienamente nella venuta di Cristo – a partire dal I secolo d.C. incominciò a sollevare obiezioni di natura etica e/o religiosa riguardo all'esposizione (ci si può domandare se per caso ciò non possa essere avvenuto anche per un qualche influsso cristiano).
Il neostoico Epitteto (I-II secolo) sostenne che l'esposizione fosse contro natura, e il neostoico lerocle (appartenente ali o Il secolo e autore di Elementi di etica e di un'opera oggi frammentaria Sugli atti appropriati) esortava le famiglie ad allevare tutti «o almeno la maggior parte" dei bambini generati, denunciando che «la maggioranza delle persone» rifiutava di allevare i propri piccoli per ragioni ignobili come l'amore per le ricchezze.
Epitteto e lerocle non si basavano su un argomento propriamente religioso, come invece faceva Musonio Rufo.
Questi, stoico romano-etrusco maestro di Epitteto e cavaliere romano, di cui ci rimangono alcune Diatribe redatte dal suo discepolo Lucio e vari frammenti, era ancora più energico nel condannare l'esposizione di qualsiasi bambino come un'empietà contraria al diritto divino, tanto più se vi si fosse indotti non dalla miseria, ma dalla volontà di preservare intatto il patrimonio al primogenito, eliminando con l'esposizione i piccoli nati successivamente. Musonio, vissuto in età neroniana ed esiliato da Nerone stesso, era particolarmente apprezzato da Clemente, che lo considerava un martire della verità manifestatasi pienamente in Cristo e che lo cita ampiamente nelle sue opere (sia nel Pedagogo sia nei suoi Stramati), specialmente riguardo alla fedeltà reciproca ed alla continenza raccomandate ai coniugi e riguardo all'educazione dei figli. Circa la prima, Clemente concorda con Musonio che gli unici rapporti leciti siano quelli che avvengono all'interno del matrimonio e, anche tra questi, solo quelli finalizzati alla procreazione (idea non comune nel mondo antico, ma promossa da Stoici e Pitagorici). Circa i figli, Musonio esortava i genitori non solo ad allevare tutti i piccoli generati, ma anche ad educare allo stesso modo sia i bambini sia le bambine, in quanto il logos, cioè la ragione, è comune ad entrambi e il persegui mento della virtù – in cui Musonio vedeva lo scopo principale della filosofia, da lui concepita soprattutto come etica – è proprio di entrambi. E Clemente riprende tutti questi pensieri in dettaglio. Non è un caso che sia proprio lui a citare ripetutamente l'Apocalisse di Pietra (è un testo giudeo-cristiano dei primi decenni del Il secolo d.C. attribuito a s. Pietro, ma probabilmente di autore ignoto, in cui s. Pietro narra a Clemente Romano una rivelazione avuta da Gesù) riguardo alla salvezza dei piccoli esposti o soppressi prima o dopo la nascita, o comunque rifiutati dai loro genitori: egli deriva da questo testo l'idea che tali bambini, avendo patito offesa, saranno affidati ad un angelo che si prenderà cura di loro nell'al di là e li condurrà alla maturazione spirituale. Proprio per scoraggiare l'esposizione e ogni forma di infanticidio, l'Apocalisse di Pietra minacciava gravi punizioni ultramondane ai genitori responsabili di simili atti.
Clemente non è certo l'unico dei Padri dei primi due-tre secoli a condannare l'esposizione:
Giustino e Tertulliano parimenti denunciano tale usanza, contrapponendovi l'opposto comportamento dei Cristiani. E Atenagora mostra che i Cristiani consideravano l'esposizione come equivalente all'infanticidio. Lattanzio la definisce falsa pietas e consiglia espressamente ai padri l'astensione pur di evitare questo delitto. E gli esempi potrebbero continuare.
L'opposizione radicale dei Cristiani all'esposizione dei neonati, tuttavia, non si tradusse immediatamente in un divieto giuridico una volta che il Cristianesimo, con Costantino, passò da una condizione di illegalità e persecuzione al riconoscimento come religio licita (religione lecita) nell'Impero, ben presto anzi destinata a divenire religione di Stato. Alcune notizie del Digesto, considerate però sospette, farebbero ipotizzare un primo tentativo di vietare l'esposizione in età severiana, attorno al 200 d.C. (un periodo di non-persecuzione del Cristianesimo, che in quel tempo godette di una tolleranza di fatto). In ogni caso, Costantino fece un passo avanti nel sottrarre al paterfamilias la vitae ac necis potestas (il potere di vita e di morte) nel 318: non per nulla erano dedicate a lui le Institutiones di Lattanzio, che equiparava ad infanticidi i padri che esponevano i figli. Ma la prima attestazione sicura del divieto di esporre qualsiasi bambino si ha nel 374, quando Valentiniano, Valente e Graziano vietarono legalmente l'esposizione dei piccoli, considerandola un delitto capitale.
«Guardatevi dal disprezzare uno solo questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli», (Matteo 18,10).
BIBLIOGRAFIA
Ilaria Ramelli, Musonio Rufo, Milano 2001.
IlIaria Ramelli, Il matrimonio cristiano Clemente: un confronto con la legislazione romana e gli Stoici romani, in Il matrimonio dei Cristiani: esegesi biblica ritto romano, XXXVII Incontro di Studiosi dell'Antichità Cristiana, Augustiniam 8-10.V.2008, in corso di pubblicazione collana Studia Ephemeridis Augustinianum, Augustinianum, 2009.
IL TIMONE N. 74 – ANNO X – Giugno 2008 – pag. 28-29