Dai “principi non negoziabili” alla dottrina sociale della Chiesa, verso la regalità sociale del Signore. L’itinerario verso quella civiltà della verità e dell’amore auspicata dal Magistero della Chiesa
Quali non sono negoziabili?
Recentemente il Magistero ha indicato i principali principi non negoziabili attraverso la Nota dottrinale della Congregazione per la dottrina della fede sull’impegno politico dei cattolici del 24 novembre 2002 e il discorso di Benedetto XVI ai partecipanti a un convegno promosso dal Partito popolare europeo il 30 marzo 2006. In questa occasione, il Papa ha detto testualmente: «Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, l’interesse principale dei suoi interventi nell’arena pubblica è la tutela e la promozione della dignità della persona e quindi essa richiama consapevolmente una particolare attenzione su principi che non sono negoziabili. Fra questi ultimi, oggi emergono particolarmente i seguenti:
– tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale;
– riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e sua difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale;
– tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli». Anche l’episcopato dell’Emilia Romagna ha recentemente pubblicato un documento sui principi non negoziabili, il 22 febbraio 2010, in vista delle elezioni regionali che si sono tenute alla fine di marzo.
Ora, volendo approfondire e trovare le ragioni del perché i principi non negoziabili siano ritenuti tanto importanti, si risale alla dottrina sociale della Chiesa, di cui i principi non negoziabili sono appunto una sintesi, e poi da quest’ultima a quella che Giovanni Paolo II ha chiamato «una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio»: «La coerenza con i propri principi e la conseguente concordia nell’azione ad essi ispirata sono condizioni indispensabili per la incidenza dell’impegno dei cristiani nella costruzione di una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio» (31 ottobre 1981).
La paura della cristianità
Si arriva così a un punto molto delicato e poco conosciuto dagli stessi cattolici, cioè allo scopo della morale sociale della Chiesa: la cristianità, questa parola “incarnata” nel Millennio della fede che comincia con l’Editto di Milano voluto dall’imperatore Costantino nel 313 e concluso nel 1303 con lo “schiaffo di Anagni”, quando Sciarra Colonna (1270-1329), un delegato del re di Francia Filippo IV il Bello (1268-1314), percosse pubblicamente papa Bonifacio VIII (1294-1303), iniziando un conflitto fra i due poteri che non sarebbe più stato soltanto di potere, ma di principio.
85 anni fa, papa Pio XI (1922-1939) scriveva l’enciclica Quas primas con cui istituiva la festa liturgica di Cristo re e ricordava la regalità anche sociale del Signore. 25 anni prima, il predecessore Leone XIII (1878-1903) aveva consacrato il mondo al Sacro Cuore di Gesù, perché nulla di quanto è stato creato, e redento, si sottrae di principio alla sovranità di Dio. Il XX secolo, che cominciava con un tale gesto pubblico del Pontefice, sarebbe stato al contrario il secolo del trionfo del laicismo, cioè del distacco definitivo tra la fede cristiana e la vita pubblica delle nazioni europee, che portava a compimento quel processo cominciato all’alba della modernità, con il Rinascimento e la Riforma, continuato con la Rivoluzione del 1789 in Francia che Napoleone avrebbe esportato in Europa. Le forze avverse alla Chiesa avevano costantemente denunciato nell’epoca dell’assolutismo la mancanza di libertà delle istituzioni laiche dominate dall’invadenza del clero, sfruttando anche la mancanza di libertà religiosa del periodo delle “guerre di religione” del XVI e del XVII secolo, quando la religione venne sfruttata da Capi di Stato cattolici e protestanti come instrumentum regni in quasi tutti i Paesi d’Europa, dando vita a una sorta di confessionalismo nazionale e alle cosiddette Chiese di Stato, producendo errori come il gallicanesimo in Francia, il febronianesimo nei Paesi di lingua tedesca, il giuseppinismo nell’impero austriaco, che minavano l’autorità del Pontefice.
È comprensibile, in certi casi, la paura che molti non cattolici possono avere di fronte alla parola cristianità o civiltà cristiana, che rischia di apparire come una specie di società totalitaria governata da preti, una sorta di governo clericale.
Il punto è molto importante per la nuova evangelizzazione: si tratta di tenere insieme il fine della dottrina sociale, che non può non essere in prospettiva la civiltà cristiana, con la necessità di rivolgerci a una maggioranza di persone che non sono mai state o hanno smesso di essere cristiane. Qui possiamo constatare la difficoltà del Magistero, che appunto si rivolge sia ai cattolici (e a questi non può non ricordare la meta della civiltà cristiana), sia a tutti gli altri uomini, che anche in Italia sono la maggioranza, almeno da un punto di vista culturale. A questi ultimi si deve proporre la ragione con i suoi modi di ragionare, perché la meta della civiltà cristiana li lascia indifferenti o addirittura timorosi: ecco, allora, i principi non negoziabili sono come i valori di fondo per difendere e costruire il bene comune in questo momento storico, valori che anche la ragione può condividere perché in grado di coglierne la verità.
La regalità sociale
Ricapitolando, la regalità sociale del Signore Gesù rimane la meta, ma essa non può essere imposta e presuppone la conversione della società, della sua cultura e del costume. Così come avvenne per la prima evangelizzazione, è un’opera lunga e difficile, se vuole penetrare in profondità e lasciare un segno duraturo.
La conversione della società, a sua volta, comincia dalla conversione dei singoli, di ciascuno di noi, come ha ricordato papa Benedetto XVI all’Angelus della domenica 21 febbraio di quest’anno, in Quaresima: «Cristo è venuto nel mondo per liberarci dal peccato e dal fascino ambiguo di progettare la nostra vita a prescindere da Dio. Egli l’ha fatto non con proclami altisonanti, ma lottando in prima persona contro il Tentatore, fino alla Croce. Questo esempio vale per tutti: il mondo si migliora incominciando da se stessi, cambiando, con la grazia di Dio, ciò che non va nella propria vita».
BIBLIOGRAFIA
IL TIMONE N. 92 – ANNO XII – Aprile 2010 – pag. 58 – 59
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