Un altro mito concerne l'iberico Al-andalus, mito nato più che altro per astio antispagnolo. «Si è cominciato con la "leggenda nera" sulla conquista del Nuovo Mondo. Diffusa dagli scrivani al soldo dei concorrenti commerciali di spagnoli e portoghesi, tra cui la Francia, consentiva loro di legittimare la pirateria di Stato (detta "guerra corsara")».
Per quanto riguarda la dominazione musulmana in terra iberica, il mitico Al-andalus, più che una coesistenza armoniosa, «era un sistema paragonabile all'apartheid sudafricano», a tutto danno di ebrei e cristiani.
La prima traduzione in latino del Corano la fece Pietro il Venerabile, abate di Cluny, nel XII secolo, ma si dovette attendere il XV e il cardinale Nicolò Cusano perché quel testo fosse studiato (e l'avvento della stampa, un secolo dopo, perché fosse conosciuto). Dunque, scarsa o nessuna "osmosi" tra le due culture.
Le arti visive (pittura e scultura) del mondo greco transitarono in Europa senza intermediazione araba, perché l'islam vietava le immagini (anzi, l'eresia iconoclasta nel mondo bizantino fu dovuta al "contagio" della fortissima pressione islamica). Dice Brague che «dell'eredità greca è passato attraverso l'arabo solo ciò che riguardava il sapere in matematica, medicina, farmacopea eccetera. In filosofia (…) solo Aristotele e i suoi commentatori».
Ma tutto il resto dovette attendere i «manoscritti importati dagli eruditi bizantini che fuggivano dalla conquista turca». E «tutto il resto è nientemeno che la letteratura greca»: Omero, Esiodo, Pindaro, Eschilo, Sofocle, Euripide, Erodoto, Tucidide, Poli bio, Epicuro, Platone, Plotino, Ermete Trismegisto, «arrivati da Costantinopoli alla Firenze dei Medici, dove Marsilio Ficino tradusse in latino tutte le loro opere». I passaggi precedenti non sono che «una goccia d'acqua in confronto all'inondazione rovesciatasi sull'Europa a partire dal XV secolo. Essa ha riguardato tutto ciò che era disponibile in greco. È sfociata in una vera ellenomania durata parecchi secoli, dal Rinascimento italiano agli umanesimi e classicismi di tutta Europa».
Ancora: «L'ellenismo in terra d'islam ha riguardato solo individui come i "filosofi" (falasifa), intellettualmente dei geni ma socialmente dei dilettanti privi di collegamenti istituzionali. Solamente in Europa ha assunto la forma di fenomeno». Di più: «Solo in Europa si è imparato il greco in maniera sistematica» e lo si è fatto diventare addirittura «materia obbligatoria nell' insegnamento secondario». Del resto, non ci si può appropriare del sapere senza prima esserne divenuti capaci, senza essersi resi ricettivi in tal senso, cosa che l'Europa fece (rinascita giuridica, sulla scia della Lotta per le Investiture; rinascita letteraria con s. Bernardo, filosofica con s. Anselmo, riscoperta del diritto romano grazie alla Chiesa): «lo dimostra la stessa ricezione di Averroè».
Infatti, «dopo la caduta degli Almohadi ai quali era stato legato, il suo ambiente d'origine lo dimenticò in fretta» ma «l'Occidente ha raccolto quel gioiello dalle "pattumiere" dell'islam».
Brague si chiede infine se, in ogni caso, sia davvero giusto parlare di "debito". L'Europa ha ricevuto dalla Cina la seta, il tè, la porcellana e la carta (quest'ultima attraverso il mondo arabo, come i numeri e lo zero, nati in India), e dalle Americhe il granturco, il tabacco, il cioccolato. Ma «nessuno si sognerebbe di dire che abbiamo un debito nei confronti degli aztechi, e tanto meno che dobbiamo parlare con infinito rispetto dei sacrifici umani che praticavano, per il solo fatto che mangiamo i pomodori».
Insomma, non è vero che la civiltà occidentale non deve nulla a quella islamica. È anche vero, tuttavia, che non le deve granché. Solo che, oggi come oggi, non è politicamente corretto dirlo.
IL TIMONE N. 82 – ANNO XI – Aprile 2009 – pag. 20 – 21
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