Nell’estate del 1216 Jacques de Vitry, un sacerdote francese di passaggio per Milano, definì la città lombarda “fovea hæreticorum” (fogna di eretici), rilevando con una cruda ma efficace espressione un fenomeno profondamente radicato in quel tessuto sociale.
In Milano, del resto, l’eresia aveva già impegnato duramente l’arcivescovo Galdino, colto dalla morte il 18 aprile 1176 proprio al termine di una predicazione volta a confutare i principali errori dei catari.
Nella diocesi ambrosiana, infatti, gli eretici avevano potuto approfittare della lotta che durante gli anni Sessanta e Settanta del XII secolo aveva opposto la Chiesa romana all’imperatore Federico I, dilagando pressoché indisturbati. Solo nel 1184, quando da qualche anno era stato raggiunto un accordo con l’imperatore, papa Lucio III con la decretale Ad abolendam era riuscito a condannare le sette eretiche, la più pericolosa delle quali era proprio quella catara.
Il fenomeno dell’eresia non era però circoscritto alla diocesi di Milano; costituiva anzi una delle componenti, apparentemente ineliminabile, della società del pieno medioevo europeo. Verso la metà del XII secolo erano apparsi in Renania i primi catari, che avevano efficacemente diffuso le loro dottrine, avevano attratto numerosi proseliti e nell’anno 1143 avevano affrontato con coraggio il processo intentato dal vescovo di Colonia. Avevano sopportato l’«agonia del fuoco» non solo con spirito di accettazione «ma anche con gioia», almeno secondo quanto riferiva la testimonianza di Evervino, preposito del monastero premostratense di Steinfeld. Evervino, indubbiamente colpito da quanto aveva osservato, ne aveva scritto a Bernardo di Clairvaux, l’abate cistercense che in quegli anni costituiva un punto di riferimento per l’intera cristianità, riportando le parole degli eretici: «Noi poveri del Cristo, senza una sede stabile, fuggendo di città in città, come agnelli in mezzo ai lupi, siamo perseguitati come lo furono gli apostoli e i martiri, conducendo una vita santa e durissima nel digiuno e nell’astinenza, perseverando giorno e notte in preghiera e lavori, e da questi ricerchiamo unicamente il necessario per vivere. Noi lo sopportiamo perché non siamo del mondo: voi invece che amate il mondo, avete pace con il mondo, perché siete del mondo». Bernardo nei suoi Sermones sul Cantico dei Cantici, aveva colto il suggerimento del canonico tedesco e, per indicare la perniciosità di questi gruppi eretici, aveva riproposto una tradizionale allegoria che li paragonava a volpi devastatrici: «Portateci le piccole volpi, le piccole volpi che distruggono le vigne, perché le nostre vigne hanno grappoli delicati» (Cantico II, 15).
Anche Ildelgarda di Bingen, monaca colta e nota per le sue visioni mistiche, pochi anni dopo aveva denunciato la presenza dell’eresia in Renania, interpretando il fenomeno come una conseguenza dell’opera del diavolo: «Per le opere malvagie di uomini vomitati dalla bocca della bestia nera, i quattro venti sono stati mossi dai quattro angeli agli angoli della terra, provocando terribili distruzioni».
Dottrine e conseguenze
I catari (i “puri”), a imitazione degli apostoli, praticavano l’obbedienza ai precetti biblici; moderati nel bere, non consumavano carne, uova, grassi animali; rinunciavano ai beni materiali e soprattutto al denaro. I perfecti (coloro che si astenevano dalle seduzioni del mondo e costituivano una sorta di ristretto gruppo di eletti) giravano a piedi scalzi, predicando instancabilmente e praticando una forma di battesimo spirituale (il consolamentum). Forte era tra questi eretici il vincolo di solidarietà e di reciproco sostegno; in caso di necessità, i perfecti garantivano un’efficace assistenza spirituale, che li rendeva agli occhi dei “credenti” più dignitosi e affidabili dei sacerdoti cattolici.
Le comunità catare si proponevano come l’unica vera Chiesa, creata dallo Spirito (e voluta da Dio), in opposizione a quella gerarchica, legata al mondo (e voluta da Satana). Le loro dottrine teologiche, derivate da influenze orientali, predicavano un Dio buono, padre di Cristo e di tutti i giusti, creatore delle cose buone ed eterne, mentre il “Dio” malvagio, autore della realtà visibile e caduca, era il Dio che Cristo aveva indicato come il principe del mondo (Gv XXIV, 30). Questo dualismo era affermato in modo più o meno rigido e talora subordinando direttamente il principio del male al Dio del bene: Diabolus de licentia Dei formavit omnia visibilia (il diavolo creò il mondo visibile su concessione di Dio). In ogni caso, la materia era considerata un male assoluto e i corpi degli uomini una sorta di prigioni in cui erano chiusi gli spiriti di angeli decaduti; per questo occorreva rifuggire ciò che perpetuava la materia, come il matrimonio (e infatti i perfecti se ne astenevano) o come le ragioni stesse della convivenza civile e politica. Nella Francia meridionale e nei paesi dell’Italia settentrionale, testimonianze diverse (ma non sempre verificabili) attestavano, con la diffusione dell’eresia nei diversi ceti, il tentativo di sovvertimento dell’ordine sociale, la diffusione di discordie familiari, la pratica di abbandono di fanciulle neonate a comunità di perfecte, la pratica del suicidio rituale offerto ai credenti per liberarsi della prigione del corpo, l’opera di facile corruzione di un clero cattolico spesso ignorante o impreparato.
La risposta della Chiesa
Nel 1167 a S. Félix de Caraman, presso Tolosa, gruppi di catari si riunirono in un grande concilio: erano presenti Roberto di Epernon, vescovo della Francia settentrionale, il vescovo di Albi in Linguadoca, delegati di città della Francia meridionale e dei villaggi dei Pirenei, il vescovo Marco, proveniente dalla Lombardia col proprio consiglio, e una gran moltitudine di uomini e di donne. Vi partecipò anche Nicheta, vescovo della Chiesa dei Balcani, di impostazione dualista radicale, il quale, nel viaggio attraverso la pianura lombarda, aveva convinto le comunità dei catari qui presenti a passare alla propria Chiesa (ordo Drugonthie), abbandonando posizioni di dualismo più moderate (ordo Bulgarie). Nicheta impartì il consolamentum e ordinò sette “episcopi” (in riferimento alla sette chiese d’Asia dell’Apocalisse); in questa assise le comunità catare si diedero quindi una struttura articolata e funzionale a porsi come alternativa alla Chiesa romana: in Italia si contarono così almeno sei diverse Chiese (tra cui Concorezzo, un piccolo centro in prossimità di Milano, e Desenzano del Garda), in Linguadoca tre; e numerose altre erano diffuse in Germania e in Spagna.
Il Papato ingaggiò una dura lotta contro questa eresia, che rifiutava di riconoscere la maggior parte dei sacramenti, la venerazione dei santi, il valore delle preghiere di suffragio. Particolarmente pericolosi apparivano inoltre il disconoscimento della Chiesa gerarchica (bollata come “sinagoga di Satana”) e la costituzione di una Chiesa di “buoni cristiani”, con una propria gerarchia, alternativa a quella cattolica; dannoso il diffondersi di cosmologie dualistiche, intrise di molti elementi di mitologia manichea, che finivano per snaturare completamente il messaggio evangelico. La scarsa efficacia dell’azione dei vescovi e dei monasteri e le strette relazioni tra eresia e realtà politiche locali convinsero papa Innocenzo III a bandire nel luglio 1209 una crociata contro le comunità catare in Linguadoca, dove più forte appariva l’egemonia religiosa da parte degli eretici: ne seguì una guerra ventennale, cruenta e a tratti spietata, in cui spesso prevalsero ragioni e opportunità politiche. Le “chiese” catare della regione ne uscirono distrutte.
Non fu questa l’unica iniziativa della Chiesa romana: lo stesso Papa riconobbe il nascente Ordine dei frati predicatori e diede un’approvazione orale alla fraternità di Francesco, individuando in queste realtà potenti alleati nella lotta contro l’eresia. In effetti, l’opera degli Ordini mendicanti, i cui frati si presentavano come testimoni credibili del Vangelo, risultò alla fine la più efficace.
Le paure di Evervino, Ildegarda e Bernardo erano fondate: una grave minaccia per la Chiesa era apparsa in Europa negli anni Quaranta del XII secolo; sarebbero stati necessari grande impegno e molto tempo per ridimensionarla e rendere meno devastanti i suoi effetti.
Per saperne di più…
.Grundmann, Movimenti religiosi nel medioevo, Il Mulino, 1974.
M. Lambert, I catari, Piemme, 2001.
IL TIMONE – Marzo 2014 (pag. 26-27)
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