Se per un momento le nuove tecnologie non ci sono a portata di mano, ci sentiamo persi e incapaci di orientarci, così abituati ad essere sempre connessi.
La “società incessante” è sempre attiva, sempre più incapace di staccare la spina, sempre pronta a condividere di tutto, a ritagliare la propria vita in fotogrammi da rilanciare, cercando di catturare le emozioni in immagini bidimensionali, a volte cercando di inventare emozioni e situazioni pur di condividere e iniziare a contare i like. Senza differenze tra giorno e notte, tra feriale e festivo, tra casa e ufficio.
La rivoluzione digitale e la virtualizzazione della realtà intercettano, esaltano e plasmano alcune caratteristiche dell’uomo liquido: il narcisismo, la velocità, l’ambiguità, la ricerca di emozioni e il bisogno di infinite relazioni ultraleggere.
Il dossier del Timone indaga un fenomeno ormai dilagante. Benedetta Frigerio racconta i casi fatti emergere da Jean m. Twenge, docente di psicologia alla San Diego University, che in “iGen”, libro uscito nel 2017 e già tradotto in diverse lingue (in italiano “Iperconnessi”) dettaglia le ragioni di un mutamento antropologico senza precedenti.
Il dottor Emiliano Lambiase, psicologo clinico, mette in fila tutti i numeri dei danni prodotti dal digitale, ricordando che «non sarà Facebook, né Twitter o neanche ogni altra forma di “socializzazione virtuale” a placare l’irriducibile bisogno di “incontro con l’altro”».
Claudio Risé ricorda che il problema non può essere eluso dalla politica e dall’educazione e noi ci troviamo di fronte a «una nuova forma di religione» senza Dio. Proprio al Creatore, scrive padre Vincent Nagle, occorre guardare per utilizzare queste tecnologie e non farsi usare da loro. Ci sono armi spirituali che occorre imbracciare, come spiega padre Serafino Tognetti…
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