C’è una ragione che spiega il celibato dei sacerdoti? Sì, ed è Cristo stesso. Intervista a monsignor Stefan Heid, docente al Pontificio Istituto di Archeologia cristiana
Professore, di solito si dice che il celibato sacerdotale è una regola relativamente «moderna», nel senso che sarebbe nata solo nel Medioevo. Prima i preti potevano scegliere di sposarsi. Lei ha studiato appunto la Chiesa dei primi secoli: è davvero così?
«No, non è così. Al più tardi dal IV secolo in poi a nessun prete era permesso di sposarsi dopo l’ordinazione; un celibe o un vedovo, se già preti, non potevano più sposarsi. È vero che c’erano tanti sacerdoti sposati, però erano sempre già sposati prima dell’ordinazione.
Dopo, mai. Anzi, per tutti i preti sposati valeva la regola della perfetta astinenza, ovvero non potevano più avere rapporti con le mogli e generare figli! Ovviamente era un obbligo grave e proprio per questo un candidato al sacerdozio non poteva autonomamente chiedere l’ordinazione ma doveva ottenere il permesso della moglie; per questo i seminaristi sposati venivano ordinati in genere in età avanzata, per evitare conflitti con la famiglia. La perfetta astinenza era, almeno nella Chiesa antica, una regola universale, valida in Occidente come in Oriente. In questo senso si trattava di una disciplina ecumenica, fatto che i papi Siricio e Innocenzo (IV-V sec.) hanno giustamente messo in rilievo nei loro chiarimenti sul celibato».
Un’altra tesi corrente è che il celibato sia nato anche, o forse soprattutto, per motivi economici: ovvero per evitare che i beni della Chiesa finissero in eredità ai figli di preti o di vescovi…
«Questo aspetto fa sicuramente parte del processo che ha portato dalla continenza clericale nella Chiesa antica al celibato nella Chiesa medievale. Il controllo sulla castità dei chierici sposati era infatti piuttosto difficile, e anche quelli celibi non badavano sempre alla disciplina, vivevano nel concubinato e così via. Proprio per questi problemi la riforma gregoriana del medioevo preferì decisamente chierici celibi. Notiamo peraltro che all’epoca la Chiesa non aveva certo problemi a trovare candidati: ce n’erano infiniti e dunque non c’era bisogno di ammettere al presbiterato gli sposati, né di pretendere da loro e dalle mogli un’ascesi veramente dura. In questo senso il celibato fu sicuramente un gesto di misericordia, in quanto rendeva la vita clericale più facile: è molto più semplice rinunciare del tutto al rapporto sessuale che astenersene durante il matrimonio! L’aspetto finanziario aveva poi il suo peso: sarebbe ingenuo ignorare che una Chiesa povera, com’era in gran parte quella del Medioevo, non aveva i mezzi per mantenere tanti chierici con le loro famiglie».
E che cosa rispondere alla teoria che il celibato dipende da una pratica tutto sommato di «purezza» solo esteriore, come i sacerdoti ebraici che dovevano astenersi da contatti sessuali quando officiavano al Tempio: un formalismo che Gesù non avrebbe certo accettato?
«Appunto, il modello è Cristo stesso: non un formalismo, ma una persona. Tutto dipende da questa prospettiva, anzi da questa realtà. Cristo celibe ha scelto gli apostoli che erano disposti a seguirlo lasciando tutto quello che facevano prima: professione, famiglia, patria, semplicemente tutto. Vivevano un radicale addio alla vita “normale”, non per poter celebrare la messa né per astenersi meglio da contatti impuri, ma per l’amicizia con Cristo: che per loro era tutto. Dal momento del loro incontro con Gesù, tutto quello che facevano prima non aveva più il valore di prima. Per chi vuole essere uomo di Dio, consacrato a Dio, preso dal mondo e dato a Dio, il sesso con conta più. Proprio per questo il celibato come disciplina per chi celebra il martirio di Cristo sulla croce nell’eucaristia è sempre stato segno che possediamo ancora il dono dello Spirito Santo e il coraggio dei primi testimoni; che la Chiesa non può mai perdere il fervore del primo amore. Come la vocazione di Pietro che lascia tutto dietro di sé e promette di amare Gesù fino alla morte».
La teoria che giustifica il celibato con una maggior disponibilità di cuore per amare meglio la Chiesa e i fedeli sembra comunque piuttosto debole: sarebbe come dire che una madre «non può» amare i figli degli altri… Quali allora sono, secondo lei, i motivi più decisivi a favore del celibato sacerdotale, oggi?
«Ogni amore si divide: l’amore della madre, l’amore dello sposo, l’amore del celibe.
Colui che ha appena sposato il suo tesoro ed è in modo speciale e quasi esclusivamente fedele a lei, proprio per questo “primo amore” ama anche gli altri con nuovi occhi, nuovo fervore e nuova fedeltà. Lo stesso vale per i sacerdoti celibi: il loro “primo amore” è Cristo e proprio per quest’amore sono totalmente liberi per l’amore verso gli altri. Voglio dire che è sempre l’amore che ci rende liberi per gli altri: gli sposati e ugualmente i celibi; solo che i sacerdoti mettono Cristo al posto della moglie, invece di sposarsi donano la loro vita a lui. Ripeto: il motivo più decisivo a favore del celibato sacerdotale, oggi e sempre, è Cristo stesso. Sarebbe assurdo dire che Cristo, da sposato e padre di figli, sarebbe stato meno libero per la sua missione o avrebbe avuto meno efficacia: semplicemente non sarebbe mai stato il messia, il figlio del Dio vivo. I suoi figli avrebbero mai potuto chiamare Dio il loro “nonno”? Il celibato di Cristo non è casuale, è necessario! Questa è per me la massima giustificazione per il celibato sacerdotale: il sacerdote dona la sua vita a Cristo, celibe sacerdote eterno, vittima e altare, agnello intatto offerto per noi».
In ogni caso, che il celibato non sia un dogma bensì una norma canonica pare ormai accettato da tutti. Perché non dovrebbe dunque essere possibile, almeno in linea teorica, ammettere una «libera scelta» in questo campo, o magari una distinzione tra religiosi celibi e clero secolare sposato?
«Il celibato non è né un dogma, né semplicemente una norma canonica: è una necessità biblica. Se prendiamo sul serio il Nuovo Testamento non possiamo altro che seguire Cristo. Proprio per questo le decisioni dei papi Siricio e Innocenzo, a cavallo tra IV e V secolo, definiscono la continenza dei chierici una norma apostolica, biblica, irreversibile. Se oggi alcuni teologi considerano il celibato una mera disciplina ecclesiastica non conoscono la tradizione; la nostra norma è la Bibbia, non l’opinione pubblica. Certo, nel primo millennio c’erano anche i chierici sposati, benché casti; sta di fatto comunque che la disciplina della continenza (e così del celibato) sia molto antica. L’abbandono del celibato sarebbe senz’altro fattibile se un concilio ecumenico decidesse nel senso di una libera scelta. Ma sarebbe una rottura, una grave perdita, la rassegnazione completa nei confronti del fatto che noi tutti abbiamo perso il “primo amore”, il coraggio, la speranza. L’opinione pubblica celebrerebbe senz’altro questa capitolazione come una vittoria: finalmente la Chiesa si è modernizzata! Ma noi stessi sappiamo che, se il celibato cade, ci perdiamo tutti».
Dossier: Il celibato ecclesiastico
IL TIMONE N. 94 – ANNO X II – Giugno 2010 – pag. 42 – 43
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