Ingiustamente dimenticato, questo scrittore fiorentino è ancora tutto da scoprire. Nella sua breve e sofferta vita, Attilio Mordini aveva capito che il divorzio moderno dal Creatore prelude a una morte atroce. Unica via di salvezza: il cattolicesimo.
Alcuni uomini rappresentano, per ogni generazione, una temporanea vittoria del bene contro l'avanzare della violenza: è la stirpe dei "miti" che Gesù chiama beati "perché erediteranno la Terra". Così anche Attilio Mordini, per il suo essere studioso, uomo spirituale e cristiano pronto alle richieste della carità, si può a buon diritto ascrivere a quella compagnia di Prabi Viri, la cui giustizia non va cercata in chissà quale coerenza morale o in gesti eclatanti; il giusto vive di fede, ossia di "fiducia in Dio".
Infatti, gli scritti di Mordini pensatore cattolico consistevano in un ingenuo e coltissimo gesto: fidarsi della Parola del Signore. Se sembra poco, ci si guardi intorno oggi per verificare quanto rancore di insulti gli intellettuali si scambino gli uni gli altri quando sentono rimorso per la negazione più grave, l'avere ucciso razionalmente la fede naturale nel Creatore.
Dove stava quella fiducia di fondo? Addentrandosi nella lettura dei libri mordiniani non si tarderà a trovarla come una sorgente di monte: qualità più unica che rara, visto che Mordini fu teologo e metafisico «contento d'esser cristiano» in un'epoca (1956-1966) nella quale la maggioranza dei teologi s'accingeva a smettere di credere: interpretavano "lo spirito del Concilio Vaticano II'' a proprio arbitrio, ritenendo che l'epoca della Chiesa militante fosse tramontata. Le conseguenze di quelle scelte sbagliate ci condizionano ancora adesso, dopo mezzo secolo; rileggere i fascicoli della rivista su cui Mordini più profuse le proprie energie, L'Ultima (fondata da Papini), e scorrerne anche solo l'indice dei collaboratori offrirebbe la rassegna dei nomi dei protagonisti dell'estrema stagione nel cattolicesimo politico precedente il crollo della postmodernità: Mario Zozzini, padre Ernesto Balducci, Giorgio La Pira, padre David Maria Turoldo.
«Il segno della carne»
Fiorentino di nascita (1923) da famiglia onesta, modesta ed estrosa, Attilio Mordini di Selva fu educato dai Padri Scolopi e in seguito dai Salesiani presso i quali alimentò il nativo fervore religioso. Non fu uno studente brillante, ma la prima sua grande scelta di vita fu coraggiosa: volontario per il fronte a diciotto anni, benché zoppicasse. L'8 settembre s'arruolò nella Repubblica Sociale Italiana e fu mandato in Ucraina. Naturale che, dopo il '45, finì agli arresti e venne fortunosamente salvato dalle rappresaglie; poi, segretario del gesuita padre Tondi, studiò alla Gregoriana (per laurearsi a pieni voti con una tesi in letteratura tedesca) e praticò il noviziato del Terz'Ordine francescano.
Iniziava così, la breve ma fecondissima stagione mordiniana. In poco meno di un decennio, non si contano i vari contributi su pubblicazioni di indirizzo cattolico come L'Alfiere, Il Ghibellino, Carattere e Adveniat Regnum: sono, le sue, quasi sempre intuizioni che precorrono i tempi. Gravi motivi di salute gli impedirono di proseguire nella carriera accademica quand'era lettore di italiano all'Università di Kiel in Germania, dove collaborava anche alla rivista di teologia dei Benedettini di Salisburgo. Intanto, a fine anni Cinquanta, attorno a Mordini cominciava a formarsi un cenacolo di sodali di studio: a Torino, Cattabiani e Marcolla (i cui libri ora tengo tra le mani per scrivere questo articolo); a Firenze, lo attorniano Primo Siena, Franco Cardini, Paolo Caucci, Giovanni Cantoni. Ritrovare il vero e il bello e il bene è opera febbrile a cui tutto dedicarsi, tanto che il nostro, racconta l'amico illustre don Divo Barsotti, se ne andava in giro con un cappotto pieno… di macchie di piccioni in volo: "Mi sembri un monumento!» gli diceva canzonandolo. E le conversazioni, frutto di appassionato studio, fruttavano anche le prime pubblicazioni: Il segno della carne (scritto con lo pseudonimo di Ermanno Landi, 1956) e Dal Mito al materialismo (1966); poi, tutta una serie di straordinarie opere postume: da Verità del linguaggio (Volpe, 1974) a Il Mito primordiale del Cristianesimo quale fonte perenne di metafisica (Scheiwiller, 1976), sino alla riscoperta in tempi più recenti: Francesco e Maria (Cantagalli, 1986) e Il Tempio del Cristianesimo (Il Cerchio, Rimini, 2006: editore che ha in progetto di ripubblicare l'opera omnia).
Verità della Storia Sacra
Essendo un "novecentesco" ammiratore di Dante e s. Tommaso e s. Bernardo, di Francesco e s. Bonaventura (e non si sorrida a tanto paragone!), Mordini sapeva che il sapere cristiano è sequela: seguire Cristo, e i suoi Santi. Ciò fu per lui un ostacolo perché uno studioso, in tempi di laicismo e secolarizzazione, è invitato a imitare i mediocri o gli opportunisti. Malgrado tutto, però, andò formalizzando alcune intuizioni che permisero di introdurre in Italia le tesi di giganti dell'antropologia come Eliade, Dumézil, Kerény, Bastide e Ries.
Ma che cosa aveva scoperto, risalendo controcorrente alle sorgenti perenni? Che l'uomo è intimamente legato a Dio, è Homo Religiosus, e che il divorzio moderno dal Creatore prelude a una morte atroce: prima dell'anima poi del corpo. In Verità della cultura (Il Cerchio, 1996), Mordini illustrava una realtà antipatica ai contemporanei: che la triade al centro della vita umana sin dai primordi e dalle civiltà arcaiche è "Culto-Cultura-Coltivazione" e togliendo un Iato del triangolo la compagine della società cade. Senza il Rito che riconosce la sacralità del Creato non è neppure possibile l'agricoltura, né una vera cultura come fatto collettivo di valori giusti condivisi: così, parlando del passato remoto, Mordini illuminava il senso del presente, poiché "dalla fondazione della Chiesa in poi distruggere la religione divenne impossibile (…) da allora Satana tende con tutte le sue forze a distruggere l'uomo naturale».
Sostanza delle argomentazioni mordiniane era, si è detto, la fiducia nella presenza di Dio nel mondo: per questo, le vicende di Noè e Melchisedek, Gesù e Maria Vergine sulla sua pagina si registrano come cose veritiere, veridiche, credibili, cioè Storia Sacra. Persino le fiabe, in quest'ottica, svelano il loro segreto cristiano, che ne spiega la lunga trasmissione, da bocca ad orecchio, per generazioni (Il segreto cristiano delle fiabe, Il Cerchio, 2007): contraria alla psicanalisi, l'indagine di Mordini si basa sull'antica sapienza dei Padri della Chiesa, per illuminare le saghe simboliche, da quelle dei fratelli Grimm a Pinocchio o ai capolavori cinematografici di Bergman.
Mordini morì il 4 ottobre 1966 nel giorno di S. Francesco, consolato da una povertà che lo salvò dalla miseria morale di tanti contemporanei; proprio dieci anni prima, di ritorno da un pellegrinaggio a Lourdes, aveva scritto: "Ora il lavoro è comporsi ordinato di ogni elemento in una vera e propria tessitura di Sindone. È abbandono a un sì che io sono sempre pronto a pronunciare ove occorra la mia mano, tutto dimenticandomi finché il corpo non cederà».
IL TIMONE N. 80 – ANNO XI – Febbraio 2009 – pag. 48-49