Nel 2007 Benedetto XVI liberalizza l’uso dell’antico messale. Accogliendo le giuste richieste di tanti fedeli legati all’antica liturgia. Anche per favorire la riconciliazione nella Chiesa e il reciproco arricchimento delle “due forme” dello stesso rito
Cinque anni fa, nel luglio 2007 Benedetto XVI decideva di promulgare il motu proprio “Summorum Pontificum” con il quale decideva di liberalizzare l’uso dell’antica liturgia, precedente alla riforma post-conciliare. Il Papa, dopo aver spiegato come il rito del messale del 1962, l’ultima edizione tipica, promulgata dal beato Giovanni XXIII, non era da considerarsi abolito, stabiliva che quest’ultimo fosse ammesso come «forma extra-ordinaria» dell’unico rito romano. La liturgia attualmente un vigore, frutto della riforma seguita al Vaticano II, andava considerata la «forma ordinaria» di quello stesso rito. Papa Ratzinger dichiarava ammessa anche la possibilità di ricevere secondo l’uso antico anche tutti i sacramenti.
Fino al 2007, la possibilità di concedere celebrazioni seguendo l’antico messale era stabilita da un indulto deciso dal beato Giovanni Paolo II per cercare di sanare la ferita con i lefebvriani. Papa Wojtyla aveva chiesto ai vescovi di essere «generosi» nel venire incontro alle richieste dei fedeli rimasti legati all’antica liturgia: a decidere se ammettere o meno la messa preconciliare erano però gli stessi pastori diocesani. Con il motu proprio non c’era più la necessità del previo “placet” episcopale, in quanto il documento pontificio affermava che laddove esista un gruppo di fedeli legato all’antica liturgia, questi si possono rivolgere direttamente al parroco. Trattandosi di una forma straordinaria del rito romano, liberalizzata e autorizzata dal Pontefice, non ci sarebbe stato più bisogno, insomma, che ogni singolo vescovo desse il suo assenso.
Il motu proprio di Benedetto XVI è entrato in vigore il 14 settembre 2007. Il Papa lo aveva accompagnato da una sua lettera inviata a tutti i vescovi del mondo, nella quale spiegava le intenzioni che lo avevano mosso. Ratzinger ricordava che alcuni fedeli si sono riavvicinati all’antica liturgia «perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della liturgia al limite del sopportabile». La speranza di papa Ratzinger era quella di fare sentire nuovamente e pienamente accolti i fedeli legati all’antica liturgia, ma anche e soprattutto di far sì che il diffondersi delle messe antiche nelle parrocchie rappresentasse un arricchimento anche per le messe celebrate secondo il rito ordinario, affinché si recuperasse maggiormente il clima di sacralità e di incontro con il mistero (dimensione verticale) talvolta messa in secondo piano dalla dimensione comunitaria (orizzontale). Allo stesso tempo, Benedetto XVI sperava che nel contatto fra i gruppi di fedeli si potesse comprendere meglio la grande ricchezza rappresentata dalle Scritture introdotte nel nuovo rito post-conciliare entrato definitivamente in uso nel 1970 per decisione di Paolo VI. Insomma, una delle finalità esplicitamente citate dal Papa era quella di promuovere la «riconciliazione» in seno alla Chiesa.
Nel testo del motu proprio si legge che nelle parrocchie in cui «esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica», il parroco è invitato ad accogliere volentieri le loro richieste. Il messale del 1962 può ora essere usato «nei giorni feriali, nelle domeniche e nelle festività», ma anche per celebrare «esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi » e per i sacramenti, dal battesimo alla cresima, dal matrimonio all’unzione degli infermi. Le letture «possono» (non debbono) «essere proclamate anche nella lingua vernacola», una opzione che di fatto era già presente anche prima del Concilio, utilizzata soprattutto in Francia e in Germania. I sacerdoti possono usare il vecchio messale per le messe private (quelle fuori orario, alle quali però possono assistere fedeli) senza chiedere permesso a nessuno, così come recitare il breviario secondo le antiche formule. Il vescovo è comunque «vivamente invitato ad esaudire il desiderio » dei tradizionalisti e poteva istituire una «parrocchia personale» dedicata ai fedeli legati all’antica liturgia, vale a dire una sorta di parrocchia tradizionalista. L’ultima istanza, nel caso di contrasti, è la commissione “Ecclesia Dei”, incaricata di vigilare sull’osservanza delle nuove disposizioni.
Il documento papale aveva suscitato diverse reazioni, alcune delle quali di aperto dissenso. Alcuni vescovi avevano pubblicamente preso posizione ed erano sembrati ridimensionare la portata della decisione di Benedetto XVI. Altri avevano deciso di emanare norme attuative diocesane in senso restrittivo, nonostante la volontà del Papa fosse chiarissima ed esplicita.
Tre anni dopo l’entrata in vigore del motu proprio “Summorum Pontificum” è stata promossa un’inchiesta tra i vescovi di rito latino, quindi la Santa Sede, nel maggio 2011, ha diffuso l’Istruzione “Universae Ecclesiae”, un documento attuativo del motu proprio. L’istruzione, per smentire interpretazioni riduzionistiche della volontà papale, ricorda che «il motu proprio “Summorum Pontificum” costituisce una rilevante espressione del magistero del Romano Pontefice e del munus a lui proprio di regolare e ordinare la sacra liturgia della Chiesa e manifesta la sua sollecitudine di vicario di Cristo e pastore della Chiesa universale».
“Universae Ecclesiae” parla del ruolo dei vescovi, spiegando che essi sono chiamati ad «adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del rito romano», e che la vigilanza necessaria da parte dell’ordinario deve essere «sempre in accordo con la mens del romano Pontefice chiaramente espressa dal motu proprio “Summorum Pontificum”».
L’Istruzione precisa anche che «nel caso di un sacerdote che si presenti occasionalmente in una chiesa parrocchiale o in un oratorio con alcune persone e intenda celebrare nella forma extraordinaria,… il parroco o il rettore di chiesa o il sacerdote responsabile di una chiesa ammettano tale celebrazione, seppur nel rispetto delle esigenze di programmazione degli orari delle celebrazioni liturgiche della chiesa stessa». Nel documento attuativo si precisa anche: «I fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della santa messa o dei sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al romano Pontefice come pastore supremo della Chiesa universale». Dunque, chi contesta il Papa o contesta la validità o la legittimità della nuova messa viene escluso dai benefici del motu proprio e dell’Istruzione che ne precisa l’attuazione. Il «gruppo stabile» che richiede la celebrazione dell’antica liturgia può essere formato anche da fedeli che provengano da diverse parrocchie o diocesi; nei casi «di gruppi numericamente meno consistenti, ci si rivolgerà all’ordinario del luogo per individuare una chiesa in cui questi fedeli possano riunirsi… in modo tale da assicurare una più facile partecipazione».
Le difficoltà, certo, non sono mancate e molto cammino resta ancora da fare per dare pieno compimento al motu proprio. Oggi la messa tridentina è celebrata nel mondo in circa 1.500 luoghi, anche se soltanto in un terzo dei casi si tratta di messe regolari ogni domenica e in un orario adeguato per le famiglie. In generale, non hanno certo giovato alla «riconciliazione» voluta da Papa Ratzinger certe reazioni scomposte e pregiudizialmente avverse, come pure – dall’altra parte – un certo sentimento di rivincita.
Nel “Summorum Pontificum” Papa Ratzinger scriveva: «Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso». Un’affermazione impegnativa per tutti e in tutti i sensi, che invita a guardare alla ricchezza di ieri e a quella di oggi, senza che una escluda l’altra.
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«Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia ». (Benedetto XVI, Lettera ai vescovi di tutto il mondo per presentare il Motu proprio “Summorum pontificum”, 7 luglio 2007).
IL TIMONE N. 118 – ANNO XIV – Dicembre 2012 – pag. 14 – 15
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