Il caso è scoppiato a metà agosto, con giornali e tv che hanno riempito per giorni le loro cronache con la dura polemica tra Amnesty International e la Santa Sede. I fatti sono noti: "dopo due anni di riflessione" l'organizzazione più conosciuta al mondo per la difesa dei diritti " umani ha deciso di scendere in campo a favore dell'aborto, anche se limitato ai casi di stupro e di pericolo mortale per la madre. La reazione della Santa Sede è stata dura, con la condanna di posizioni che per rimediare a un male ne legittimano un altro.
Nei casi di violenze, «sarebbe molto meglio – ha detto ad esempio monsignor Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita – andare alla radice di queste violenze, denunciare ed annientare i veri colpevoli, anziché eliminare creature innocenti».
La delusione della Santa Sede è comprensibile perché con Amnesty aveva condiviso molte battaglie per i diritti umani, e tanti cattolici – persino vescovi – figuravano tra i membri dell'associazione o tra i sostenitori.
Non sorprendentemente, perché – ironia della sorte – Amnesty International è stata fondata nel 1961 dall'Inglese Peter Benenson, che aveva tratto la sua ispirazione dalla propria conversione dall'anglicanesimo al cattolicesimo. Il motivo della delusione lo aveva espresso chiaramente già in luglio il cardinale Renato Raffele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, visto che la decisione di Amnesty sull'aborto era già stata presa dal comitato direttivo in aprile e attendeva soltanto l'ufficializzazione: «In questo modo – ha detto – Amnesty International ha tradito i tantissimi cattolici che l'hanno sostenuta in tutti questi anni confidando nella sua missione integrale per la promozione e protezione dei diritti umani». E così lo stesso Martino invitava singoli e organizzazioni cattoliche a ritirare ogni sostegno – anche finanziario – ad Amnesty.
Fin qui i fatti. C'è però qualcosa in tutto questo che a prima vista risulta incomprensibile, ovvero la reazione di tanto mondo cattolico che davanti alla decisione di Amnesty è apparso colto di sorpresa, come se fino a metà agosto nulla avesse lasciato presagire la "svolta abortista". Eppure, come insegnano i bravi storici, nessun evento giunge improvviso – fosse anche una rivoluzione -, ma è sempre frutto di una lunga evoluzione. Ci si dovrebbe dunque chiedere come mai si è stati così ciechi nel non vedere quanto andava maturando: è meglio, infatti, far sentire la propria voce quando è ancora possibile intervenire piuttosto che stracciarsi le vesti a fatti ormai compiuti.
Eppure segnali e avvertimenti – dalla Santa Sede e da organizzazioni vicine – non sono mancati negli ultimi anni. È da tempo, infatti, che il Catholic Family and Human Rights Institute – una organizzazione cattolica che fa d "sentinella" all'ONU – denuncia che i rappresentanti di Amnesty International al Palazzo di Vetro sostengono le posizioni della lobby abortista. E nel marzo 20061 l'agenzia SVIPOP (
www.svipop.org) rivelava la presenza della sezione americana di Amnesty International in un consorzio di associazioni che ha lo scopo di propagare il controllo delle nascite.
Allora, come modesto contributo per evitare altre "sorprese" del genere, vogliamo raccontare che la vicenda Amnesty non è un fatto isolato; per quanto clamorosa, essa si inserisce in una più ampia ambiguità di tante organizzazioni umanitarie, a cominciare dalle agenzie dell'ONU che pure vantano una solida reputazione morale anche in molte parrocchie. Pur riconoscendo il bene che tante organizzazioni fanno, non possiamo nasconderei che soltanto nella Chiesa cattolica troviamo una visione e una esperienza che rispettano l'uomo nella sua integralità. E questo non bisognerebbe mai dimenticarlo.
Senza considerare che da decenni è all'opera una lobby internazionale contro la vita che ha preso il controllo di molte agenzie umanitarie.
Un esempio per tutti: l'Iniziativa per la Maternità Sicura. Lanciata nel 1987 da Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale della Sanità e Fondo ONU per la Popolazione (UNFPA), ha visto la creazione di un Gruppo Inter-Agenzie cui si sono uniti da subito l'UNICEF, il Programma ONU per lo Sviluppo (UNDP), l'IPPF (International Planned Parenthood Federation, multinazionale dell'aborto) e il Population Council (fondato dai Rockefeller per diffondere il controllo delle nascite). Il nome rassicurante dato all'iniziativa (maternità sicura) nascondeva in realtà un modo subdolo per legittimare "l'aborto sicuro" (laddove la maternità è a rischio o non è voluta, la donna deve avere la possibilità di praticare l'aborto in modo da non avere conseguenze sulla salute).
Nel corso degli anni l'iniziativa si è via via rafforzata in progetti, finanziamenti e ruolo di indirizzo politico. Con gli Obiettivi del Millennio lanciati nel 2000 dall'ONU per combattere la povertà, l'Iniziativa per la Maternità Sicura si è ulteriormente allargata e oggi ha preso il nome di Partnership far Maternal, Newborn & Child Healt (Alleanza per la salute della madre, del neonato e del bambino), una sigla sotto cui troviamo circa 150 organizzazioni umanitarie e agenzie governative di tutto il mondo. Oltre alle già citate agenzie dell'ONU figurano – per citare solo le più conosciute – Save the Children, Family Care International, Fondazione Bill & Melinda Gates, Marie Stopes International, l'Università dell'Aga Khan. In un altro campo è l'Alto Commissariato dell'ONU per i Rifugiati (ACNUR) ad aver promosso un Gruppo Inter-Agenzie (con UNFPA, Organizzazione Mondiale della Sanità, Croce Rossa Internazionale tra gli altri) che si preoccupa di garantire ai profughi i servizi di salute riproduttiva, che per queste agenzie includono aborto chimico e chirurgico.
Inoltre, l'attivismo su questo fronte ha conosciuto uno sviluppo inquietante che ci riporta al caso Amnesty da cui siamo partiti: un approccio alla salute riproduttiva e alla "maternità sicura" in nome dei diritti umani. In pratica viene sottolineato il diritto della donna a ricevere un'assistenza sanitaria integrale (inclusa quindi la salute riproduttiva) che viene fatto valere contro il diritto alla vita del concepito. La battaglia per legalizzare l'aborto viene così nascosta dietro il paravento dei diritti umani delle donne. In questo modo non si chiede ai governi di legalizzare l'aborto, ma di abolire le leggi che lo vietano in quanto limitano i diritti umani delle donne. Guarda caso è lo stesso approccio sposato da Amnesty International, che per bocca del suo vicesegretario generale Kate Gilmore ha affermato: «La posizione di Amnesty non è per l'aborto come diritto, ma per i diritti umani delle donne, che devono essere libere dalla paura, dalle minacce e dalle coercizioni». Perdonerà, il signor Gilmore, se i feti non saranno in grado di capire queste sottigliezze.