Chi ha il dovere di evangelizzare? Se il soggetto vero, anzi unico, dell’evangelizzazione è Gesù Cristo, qual è il compito della Chiesa, della parrocchia e della famiglia?
Premessa
Chi sono i protagonisti dell’impresa di annunciare e poi di tener viva (e sempre risonante) la Rivelazione divina, che tutta si compendia nella persona di Gesù di Nazaret crocifisso e risorto, Unigenito del Padre e redentore universale? A chi tocca evangelizzare? Potremmo rispondere: tocca a ogni cristiano. E sarebbe una risposta giusta: chi è stato evangelizzato deve – per coerenza e naturale dinamismo della sua fede – farsi evangelizzatore. La risposta è giusta, ma va arricchita, alla luce del disegno eterno di Dio e della sua concreta “strategia salvifica”, con l’indicazione di quali siano i diversi soggetti chiamati in modo speciale a diffondere la “buona notizia”. Essi sono la Chiesa, la parrocchia, la famiglia.
Il soggetto vero, anzi unico, dell’evangelizzazione è il Signore Gesù, l’inviato dal Padre, l’«apostolo e il sommo sacerdote della fede che professiamo» (Eb 3,1). Egli, che è il contenuto riassuntivo e totale del Vangelo di salvezza, è anche il protagonista del suo annuncio. Questo è il primo e fondamentale concetto, che non può mai essere dimenticato e anzi deve essere richiamato continuamente. Il secondo concetto è che dal giorno di Pentecoste il Cristo rivelatore del Padre e annunciatore del Regno, che si accompagna alla vicenda umana per rischiararla di verità, è il «Christus totus»; cioè il Cristo che non può essere più separato dalla realtà ecclesiale originata da lui; la quale è sempre intrinsecamente connessa al Capo che le dà sussistenza e vita, ed è perciò intimamente associata a lui anche nella sua azione di unico e insostituibile Redentore.
La sposa che si fa madre
La Chiesa è la «sposa» del Signore, e non può essere neppur pensata come disgiunta da lui, perché vale soprattutto e originalmente per lei l’affermazione: «Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi» (Mt 19,7). Credere nella sponsalità della Chiesa significa implicitamente credere nella sua essenziale santità, perché la Chiesa è l’umanità in quanto santificata dalla sua organica connessione con la fonte di ogni «sapienza, giustizia, santificazione e redenzione» (cf. 1 Cor 1,30). Cristo, che dà alla sua Chiesa tutto ciò che la rende «Chiesa», le dà anche di partecipare alla sua fecondità, e dunque di partecipare alla sua opera di riscatto del mondo mediante la verità e la grazia. Così la sposa diventa la Madre; anzi è madre a misura che è sposa, proprio perché ogni fertilità e ogni efficacia non è «sua», non è autonoma in lei, ma è integralmente un dono del suo innamorato Signore. E poiché è l’unica sposa, e Cristo non ne ha altre da associare a sé nell’essere comprincipio della vita nuova, nessuno genera niente nell’ordine della grazia all’infuori di lei. Nessuno dunque, se non nella Chiesa e in quanto appartiene per qualche aspetto alla Chiesa, può diventare strumento d’irradiazione soprannaturale. D’altra parte, non si dà realtà ecclesiale che non debba farsi comprincipio effusivo della calda luce dello Spirito nella storia e nei cuori. «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare» (Paolo VI, Evangelii nuntiandi,14).
Evangelizzare atto ecclesiale
In questo contesto si deve apprezzare il valore di due convinzioni offerteci da Paolo VI:
– «evangelizzare non è mai per nessuno un atto individuale e isolato, ma profondamente ecclesiale»;
– «se ciascuno evangelizza in nome della Chiesa, nessun evangelizzatore è padrone assoluto della propria azione evangelizzatrice con potere discrezionale di svolgerla secondo criteri e prospettive individualistiche, ma deve farlo in comunione con tutta la Chiesa e con i suoi pastori» (Evangelii nuntiandi, 60). E poiché la Chiesa evangelizzante è una realtà organica, caratterizzata dalla compresenza della diversità delle vocazioni, delle condizioni di vita, dei ministeri, dei carismi, delle responsabilità nell’unica comunione, si rende necessaria l’applicazione del principio di complementarità e di reciprocità per cui ogni membro del corpo ecclesiale può vivere e operare solo nell’armonia e nella collaborazione di tutte le altre membra.
Chiesa universale e Chiesa particolare
La Chiesa, che è soggetto dell’evangelizzazione in virtù della sua intrinseca connessione con Cristo, è la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Non va lasciata nell’ombra questa essenziale cattolicità, anche nella prospettiva evangelizzatrice. Chi è stato affascinato dal mistero di comunione universale, nel quale siamo chiamati a vivere, non può isolarsi o credere nell’autosufficienza della propria specifica aggregazione. Di qui scaturisce, per esempio, la nostra necessaria partecipazione a tutta l’azione missionaria, sicché la cura pastorale dei fedeli, il recupero alla fede viva della cristianità illanguidita e la passione di portare il Vangelo a tutte le genti non sono tra loro compiti alternativi o separabili. L’inserimento attivo nella Chiesa universale non si vive in astratto, bensì nella concretezza delle autentiche realtà ecclesiali particolari, nelle quali è presente e agisce l’intera Chiesa di Cristo. Il termine «particolare» non deve indurci in errore: non si tratta di una parte, quasi che l’unica ricchezza sia distribuita in porzioni incomplete. Si tratta di un’attualizzazione – entro i limiti della categoria spaziale ma con una sua relativa pienezza – dell’intero mistero ecclesiale. Perciò tutte le diverse componenti ecclesiali, che so-no chiamate a evangelizzare entro l’ambito diocesano, devono riscoprire la coscienza e la gioia di essere voce della Chiesa cattolica che vive tutta in ciascuna Chiesa particolare e in ciascuna legittima aggregazione ecclesiale. In questa visione teologica trova la sua premessa il principio operativo per cui nessun singolo e nessuna aggregazione può operare separatamente nel campo apostolico: tutti devono mantenersi connessi (nelle forme legittimamente previste e con mentalità di sincera comunione) con la realtà della diocesi e armonizzati con la sua azione.
«La comunione ecclesiale, pur avendo sempre una dimensione universale, trova la sua espressione più immediata e visibile nella parrocchia: essa è l’ultima localizzazione della Chiesa, è in certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie» (Esortazione ap. post sinodale Christifideles laici, 26). La parrocchia si configura come la cellula fondamentale della diocesi e la struttura di base secondo la quale si attua e si articola, raggiungendo tutti i raggruppamenti umani del territorio, la vita della Chiesa. Essa ha nella realtà ecclesiale una funzione primaria e irrinunciabile, e dalla sua rinnovata vitalità dipende per larga parte l’efficacia della presenza cristiana nel tessuto sociale. È importante che la parrocchia riscopra la sua natura di centro propulsivo dell’azione evangelizzatrice nella specifica umanità in cui viene a trovarsi. Tutti i suoi appartenenti devono essere sempre più convinti del particolare significato che assume l’impegno apostolico nella loro parrocchia, e devono collaborare a «ridestare lo slancio missionario verso i non credenti e verso gli stessi credenti che hanno abbandonato o affievolito la pratica della vita cristiana» (Christifideles laici, 27)
Varie azioni di evangelizzazione
Vanno ripensate in prospettiva evangelizzatrice tutte le azioni ecclesiali che già sono svolte nella comunità cristiana. Ne vogliamo ricordare qualcuna in particolare.
a) L’ascolto e l’annuncio della parola di Dio, che deve ritrovare freschezza, passione, autenticità, soprattutto nel momento liturgicamente eminente dell’omelia.
b) La catechesi degli adulti, svolta in modo organico e sistematico, con metodi che rendano attivi i partecipanti e con inventività nelle forme di proposta.
c) La catechesi di iniziazione cristiana e di formazione degli adolescenti e dei giovani.
d) La preparazione al matrimonio e la sua celebrazione sono un’occasione particolarmente favorevole per richiamare la concezione cristiana della vita.
e) La preparazione e la celebrazione del battesimo dei bambini, con il contatto diretto e personale dei genitori.
f) La celebrazione dei funerali e le azioni di suffragio, che sono sempre occasioni preziose per un chiaro e convinto annuncio pasquale.
g) Le varie attenzioni alle persone in necessità.
h) L’urgenza di favorire il sorgere di vocazioni ai ministeri ordinati (presbiterato e diaconato) e alla vita di speciale consacrazione nelle sue diverse forme. A queste cose, che già normalmente si fanno, andranno aggiunte le iniziative che la fantasia dello Spirito suggerirà perché da ogni Eucaristia celebrata dalla comunità parrocchiale si sviluppi davvero una rinnovata ed efficace azione evangelizzatrice.
Parrocchia aperta e collaborante
In riferimento all’evangelizzazione, «è immane il compito della Chiesa ai nostri giorni e ad assolverlo non può certo bastare la parrocchia, da sola» (Christifideles laici, 26). Come tutti i cristiani devono riconoscere il ruolo primario ed essenziale della parrocchia, così tutti i cristiani devono rendersi conto che non tutto può essere ridotto entro gli ambiti dell’attività strettamente parrocchiale. Di qui la necessità che si affermi una struttura come quella del vicariato, non solo con funzione di sussidio e di coordinamento intercomunitario, ma anche per un’azione missionaria più incisiva sul territorio. In particolare, la sollecitudine del vicariato si eserciterà su quelle realtà che di loro natura hanno una dimensione più ampia, quali sono le aziende, gli istituti sanitari, i plessi scolastici, ecc. Allo stesso modo la parrocchia favorirà la partecipazione alle varie iniziative che fioriscono a livello vicariale o diocesano per le varie scuole di formazione, per la preparazione all’impegno socio-politico, per la valorizzazione del turismo religioso, ecc. Sempre in prospettiva missionaria, va detto che la «molteplicità e varietà di associazioni, movimenti e gruppi, che caratterizza oggi il laicato organizzato, costituisce un grande dono dello Spirito» (CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, 29). Pertanto «le Chiese particolari e le parrocchie, riconoscendo il valore di queste esperienze, ne promuoveranno la crescita in spirito di vera comunione. Per parte loro è necessario che le nuove realtà ecclesiali si mettano sempre più a servizio della comunità, se ne sentano parte viva e ricerchino in ogni modo l’unità anche pastorale con la Chiesa particolare e con la parrocchia» (Evangelizzazione e testimonianza della carità, 29).
Resa dal sacramento, da cui nasce, realtà costitutivamente ecclesiale, la famiglia da un lato affonda come la Chiesa le sue radici nella stessa vita di Dio, che in Cristo si è sorprendentemente rivelato come Trinità, come vita ineffabile di relazione, come realtà trascendente di donazioni interiori, come sinfonia di comunione e amore; dall’altro lato vive e sussiste nella Chiesa, dalla Chiesa desume la sua vitalità, alla Chiesa è in definitiva orientata la sua azione. Si capisce allora come riceva anche la missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore di Dio per il suo popolo e di Cristo per la sua Chiesa, e ha dunque in sé la vocazione propria di annunciare e testimoniare il Vangelo della carità. La famiglia dovrà essere chiamata ad assumere il suo compito attivo nel campo dell’evangelizzazione (e in particolare del suo proseguimento catechistico), della vita liturgica (e in particolare dei sacramenti dell’iniziazione), della carità (nelle sue varie espressioni). Questa operosità ecclesiale della famiglia deve dispiegarsi anche socialmente, in tutti gli ambiti di aggregazione, assumendo in tal modo una dimensione apostolica e missionaria».
L’ideale e la realtà
Che la famiglia diventi principio attivo di evangelizzazione e di pastorale, questo è l’ideale che deve essere costantemente e pazientemente perseguito; un ideale che bisogna avere il coraggio di proporre al popolo cristiano, nella consapevolezza che esso appartiene al disegno salvifico di Dio. Va però rimandato, a questo proposito, anche un giusto realismo, che non dimentichi né le cose come dovrebbero essere né le co-se come di fatto stanno. Di fatto, molti coniugi sono lontani da questa prospettiva. Nella concretezza della vita pastorale bisogna perciò guardarsi dall’assegnare effettivamente a tutte le famiglie senza distinzione compiti e responsabilità, cui la maggior parte di esse è purtroppo impreparata.
TIMONE – N.67 – ANNO IX – Novembre 2007 pag. 48-49