Il complesso movimento culturale, sociale e politico del ’68 è stata la rivoluzione che ha voluto cambiare il nostro modo di vivere e di pensare. Le attese di uguaglianza sociale si sono tradotte in uno sradicamento della persona che finisce per vivere in balia dei propri desideri e quindi schiava del potere di turno.
Sono gli stessi (ex) protagonisti di quella grande, ammaliatrice “magia” a prendere le distanze da utopie, da presagi di disfacimento e di morte. Così, se il filosofo Horkheimer nei suoi ultimi anni si lascia alle spalle la formazione marxista e giunge ad apprezzare l’Humanae Vitae di Paolo VI, scagliandosi contro la pillola anticoncezionale che uccide l’amore, Oriana Fallaci considera le contestazioni studentesche del 1968 fenomeno marginale, da borghesucci, punto di vista condiviso con Pier Paolo Pasolini.
La sociologa tedesca Gabriele Kuby, già attivista dei movimenti femministi nell’allora mondo giovanile tedesco, oggi sostiene che «quella generazione, la mia, ha fallito il tentativo di coinvolgere il proletariato, ha compiuto una vera e propria “marcia dentro le istituzioni”, tanto che quello che ieri era un movimento di opposizione, oggi rappresenta la politica ufficiale delle grandi organizzazioni internazionali, di molti governi nazionali, non solo di sinistra. E i media che determinano il mainstream seguono questa agenda».
Intanto qualcuno, inascoltato, anzi contestato, già allora gridava nel deserto.
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