«Per educare un bambino ci vuole un intero villaggio», ce lo dicono in tanti. Bisognerebbe poi specificare che tipo di villaggio. Perché a guardare in che cosa sono immersi bambini e adolescenti oggi, c’è solo da vigilare. Andiamo con ordine, da Capodanno si fa un gran parlare di Tony Effe e dell’annullamento del suo concerto. A un certo punto infatti lo stesso Pd che, nella persona di Elly Schlein, balla sulle note di “Sesso e samba” si è reso conto di quanto i testi del cantante siano «violenti, misogini e sessisti».
Non temete, in difesa di Tony si sono schierati molti colleghi ghigliottinando l’ignobile «censura» subita – tra le ultime parole più inflazionate insieme a “sole cuore e amore”. Elodie, per esempio, – la stessa che combatte il patriarcato mostrando le nudità o bacchettando il fidanzato quando non si accorge di misoginie varie ed eventuali – si è fatta subito paladina della causa: «Confrontiamoci sul linguaggio, ma è un racconto non la realtà». Verrebbe da chiederle, sicura che non sia la realtà? Noi sul Timone di questo mese l’abbiamo fotografata la realtà della violenza tra i nostri adolescenti e giovani, e le assicuriamo che non si tratta di racconti (qui per leggere e qui per abbonarsi).
Per non parlare della fidanzata influencer Giulia de Lellis. Alla giornalista de La Stampa che, proponendole qualche stralcio di testo, “Ti sputo in faccia. Ti piace solo quando sono violento. Lei la comando come un joystick” e via dicendo, le chiede: «Quindi secondo te queste parole sono tutto un gioco?», lei ammette che all’inizio la trap non era il suo genere, ma che che «uno, due o tre concerti e le ho dovute imparare inevitabilmente imparare a memoria». Lasciando di fatto la domanda senza risposta.
Al di là del gossip e della fidanzata che prende le parti del “cattivo ragazzo” – ma non dovevamo lottare contro il patriarcato? -, la domanda che ci interessa riprendere è poi questa: «Quindi secondo te non è una musica che condiziona la mentalità del ragazzi?», risponde Giulia: «No, sono i genitori, sono le persone che li crescono e li vivono nel quotidiano non i testi dei bambini o dei ragazzi che ascoltano la musica». E improvvisamente quel villaggio sparisce. Rimangono i genitori. E nello specifico, nella maggior parte dei casi, ci si ritrova con padri che Franco Nembrini chiama «padre amico» che vivono «all’inseguimento dei propri figli» e con mamme «spazzaneve che impediscono la fatica, […] tolgono gli ostacoli in anticipo».
La verità è che il villaggio esiste. E che il tempo che i ragazzi passano a scuola, sui social, spesso ipnotizzati da una virtualità alienante, li influenza, li educa. E la musica non è da meno. Per non limitarci a discorsi sulla presunta censura o sui gusti musicali, riprendiamo un solido intervento del professor Massimo Gandolfini, che in quanto esperto di neurobiologia, ha riflettuto sull’accertato impatto che ha l’ascolto della musica trap sul cervello umano.
Innanzitutto, bisogna chiarire ai più che cosa sia questa trap, che in slang americano significa “luogo dove avviene lo spaccio di droga”. «Il significato inglese di “trap” è “trappola”, volendo esplicitamente indicare il nefasto mondo della tossicodipendenza. È una musica composta e suonata più con il computer che con gli strumenti musicali usuali, ed è caratterizzata da un ritmo piuttosto lento, dilatato», spiega Gandolfini. Specificando poi che la trap è strettamente legata agli ambienti e alle tematiche di alcool e droga: «Basti pensare che fino ai primi anni 2000 “trap house” indicava gli appartamenti fatiscenti e abbandonati dei sobborghi di Atlanta, ove lo spaccio della droga è fiorente e quasi totalmente incontrollato». Sembrerebbe che l’ascesa di questo genere di musica sia legato a un’operazione di marketing operata da una organizzazione di spaccio della Black mafia family. E non stentiamo a crederlo.
I testi delle canzoni hanno tutte un filo conduttore: raccontano brutali scene di vita nei quartieri degradati con un linguaggio sempre aggressivo. I video riprendono scene trasgressive in cui non esistono limiti o tabù e il linguaggio utilizzato è sempre «demenziale, ossessivo e delirante, soprattutto in ordine alla “facile” ricchezza dello spaccio, alla “manipolazione” femminile. I temi ricorrenti sono i soldi, la ricchezza, la moda, le droghe e le donne, oggetto di piacere», continua Gandolfini.
Passando al funzionamento del cervello, Gandolfini spiega che «la corteccia cerebrale del lobo frontale è una vera e propria centrale di controllo cognitivo, che ci permette di non assumere condotte pericolose e dannose. Si tratta, dunque, di un delicatissimo meccanismo di “gate control”, che potremmo definire di supervisione “razionale” delle nostre condotte personali e sociali, ad alto contenuto “emozionale”». Ora, il suono e i testi delle canzoni trap presentano «caratteristiche di forte impatto emotivo, in grado di annullare il controllo cognitivo». In breve, il costante ascolto della trap porta alla riduzione della capacità di valutazione critica dei contenuti che «diventano così totalmente assorbenti l’attenzione emotiva, producendo rappresentazioni mentali finalizzate ad esasperare il senso di quegli stimoli». A ciò è doveroso aggiungere che il cervello di un adolescente – Gandolfini ci ricorda che la maturazione cerebrale si conclude a 21/22 anni – è sensibilmente vulnerabile a forti stimoli emotivi «la capacità di controllo è insufficiente a contrastare l’iperattività dei sistemi dopaminergico [che controlla l’impulso interiore volto a ricercare lo stimolo gratificante, n.d.R.] e oppioide endogeno [integra la sensazione di gratificazione una volta provato lo stimolo gratificante, n.d.R.]».
Insieme a tutto questo, la spiccata tendenza degli adolescenti a emulare i pari senza gran senso critico non fa altro che far girare le spalle ai genitori e seguire a pappagallo influencer e artisti da milioni di followers. Ancora sicuri che non bisogna vigilare su quel villaggio? L’ha detto bene papa Francesco, nell’udienza ai membri del consiglio nazionale dei giovani a novembre 2024: «Posso dire che serve un “villaggio dell’educazione” dove, nella diversità, si condivida l’impegno a generare una rete di relazioni umane e aperte. Serve un patto, un’alleanza, tra coloro che desiderano mettere al centro la persona e, allo stesso tempo, sono disposti a investire nuove energie per la formazione di chi sarà al servizio della comunità». Forse sarebbe ora che chi si prende i benefici di un importante seguito, si domandi anche che tipo di contributo dà a quel comune villaggio che è la società. (Fonte foto: Ansa)
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