I casi di abusi sessuali nella chiesa altoatesina tra il 1963 e il 2023 sarebbero 67 e riguarderebbero 24 sacerdoti e 59 vittime. L’età media dei preti coinvolti in questi fatti è tra i 28 e 35 anni, mentre quella delle vittime tra gli 8 e i 14 anni. Sono i principali dati emersi dal rapporto sugli abusi nella chiesa altoatesina, elaborato dallo studio legale Westpfahl-Spilker-Wastl di Monaco di Baviera, su incarico della Diocesi di Bolzano e Bressanone. Il rapporto rientra nel progetto triennale Il coraggio di guardare, presentato ieri in una conferenza stampa alla presenza del vescovo Ivo Muser.
Bene che se ne parli, benissimo che sia stata la stessa Chiesa – sconfessando certi luoghi comuni – a richiedere di approfondire la triste questione. Il punto è che tra l’indagare e il raccontare ci sono di mezzo i media, nella loro accezione più sommaria, tanto che anche l’autorevole Ansa non lascia spazio a dubbi e titola: «Sono 67 i casi di abusi accertati nella chiesa altoatesina». Però quando poi si legge il documento pubblicato (prontamente definito «report choc» da alcuni media) si scopre che «dai documenti esaminati sono emersi complessivamente 67 quadri di possibili aggressioni sessuali» (p.13).
Posto il fatto che questi casi potrebbero rimanere presunti o rappresentare solo la punta dell’iceberg – e pure un solo caso sarebbe, evidentemente, di troppo ed inaccettabile –, un condizionale sarebbe stato senza dubbio più cauto. Noi, come Timone, preferiamo “addirittura” attenerci alla realtà e proseguire (cosa che forse troppi giornalisti non hanno fatto) con la lettura del documento. L’esame di questi 67 casi «non consente, in un gran numero di casi di individuare lo specifico tipo di abuso in questione né di quantificarne la frequenza relativa di accadimento con riguardo a singoli individui» (p. 222). Di 15 di questi casi non si sa neppure, di fatto, quando sarebbero avvenuti: «In 15 dei fatti individuati non è stato possibile determinare chiaramente l’epoca in cui furono commessi» (p. 233).
A queste informazioni ancora da accertare, si aggiunge un’anomalia con altre ricerche sugli abusi nella Chiesa, anomalia che a pagina 13 viene chiamata «differenza eclatante». In questa indagine infatti, tra le parti offese, la maggioranza – superiore al 51% – sarebbe rappresentata da persone di «sesso femminile», un dato anomalo non solo se confrontato con le indagini condotte in Germania, ma anche con quelle ben più ampie condotte negli Stati Uniti dal prestigioso John Jay Institute statunitense.
Va aggiunto che 67 è comunque il numero di «possibili aggressioni sessuali», non quello dei sacerdoti che sono in realtà 41 – lo ribadiamo riprendendo il rapporto, «accusati» e non colpevoli accertati. «Il numero corrisponde al 4,1% dei chierici esistenti nel periodo in esame e di cui i relatori abbiano visionato i fascicoli personali» (p. 223), sarebbe a dire che il 96% dei sacerdoti è totalmente escluso anche da accuse di abusi. Oltre la metà dei 41 sacerdoti accusati (24) sono «accusati da un’unica persona offesa», una ragione in più per mantenersi prudenti.
Il caso che i media hanno subito rilanciato – quello di un sacerdote che avrebbe celebrato i funerali di una persona di cui aveva abusato e che Repubblica ha prontamente inserito nel titolo «Accertati 67 abusi su minori nella chiesa altoatesina. Prete celebrò esequie di una sua vittima», nel quale ha anche aggiunto un indistinto “su minori” -, sarebbe il caso numero 15 (su 29) raccontato dettagliatamente nelle pagine 392-402 del rapporto. Quel “dettagliatamente” non è una minuzia da tralasciare, ma è essenziale, non per sminuire la gravità dell’accaduto, bensì per chiarire il contesto.
Innanzitutto, si parla di un sacerdote che il rapporto presenta come omosessuale: «Secondo testimoni dell’epoca, il sacerdote aveva presto attirato l’attenzione per via delle sue tendenze omosessuali e le sue relazioni con uomini (maggiorenni) […] della sua inclinazione alla pedofilia» (p.393). E, in secondo luogo, parliamo di un sacerdote entrato in seminario molti anni fa, dato che le sue condotte particolari erano descritte come tali già «alla metà degli anni Sessanta» (p.392). Il rapporto riporta inoltre un documento secondo cui «la Procura della Repubblica competente per territorio aveva avviato un procedimento di indagine nei confronti del sacerdote. L’esito delle indagini non è noto» (p. 401).
Il rapporto segue il filo conduttore dell’operazione che la Chiesa cattolica ha iniziato in Germania quando era Papa Benedetto XVI, nel 2010. A tal proposito è interessante leggere le pagine 14 e 15 del rapporto: «Almeno a partire dal 2010 si è verificata tra i responsabili ecclesiastici un’inversione di tendenza, almeno per quanto riguarda l’approccio verso le persone offese. […] A partire da questo momento si osserva cioè, a livello dei responsabili della dirigenza, una prima, o quantomeno maggiore disponibilità ad ammettere i propri errori, seppure questo processo, per dirlo con un eufemismo, non abbia interessato davvero tutti. Tutto questo vale anche per la Diocesi di Bolzano-Bressanone. Al più tardi a partire dal 2010, si possono infatti riconoscere i primi sforzi sinceri volti a far luce su quello che, in modo chiaro e netto, è possibile definire come “scandalo degli abusi” e, soprattutto, la volontà ad offrire aiuto alle persone coinvolte».
A conclusione, riteniamo debba emergere un dato che non ha trovato spazio tra i tanti titoli allarmistici. I casi di abusi sessuali nella Chiesa sono un orrore che non solo ferisce i corpi ma reca danno alla salvezza delle anime, anche di quelle che si allontanano quando scandalizzate. Ma la Chiesa non ha paura di scoprire e neppure cercare la verità, anche laddove sia più difficile ricostruirla o svelarla. Basti ricordare che su richiesta di papa Francesco – dall’aprile 2022 – viene redatto ogni anno il Rapporto sulle politiche e le procedure della Chiesa per la tutela, testo che raccoglie dati dai cinque Continenti, da diversi Istituti e Congregazioni e dalla stessa Curia romana sul tema degli abusi. Certo, “inchiesta choc” e “casi accertati” rendono più click, ma stare ancorati alla realtà è un impagabile servizio alla verità. O perlomeno un tentativo di avvicinarcisi.(Foto: Pexels.com)
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