II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Il Vangelo delle nozze di Cana di Galilea è un vangelo evidentemente più importante di quanto non lo sia il fatto specifico in sé, ossia il miracolo della trasformazione dell’acqua in vino che Gesù compie. Nella sua dinamica semplice – un’ordinaria grossolana vicenda familiare – è un vangelo potentissimo, con alcuni rimandi alla Passione di Cristo, soprattutto in quel riferimento all’ora – “Donna, non è ancora giunta la mia ora” – che evoca il momento della morte.
Mi limito, tuttavia, alla narrazione delle nozze i cui sposi sono un po’ ai margini, mentre per l’evangelista rivestono più importanza la presenza a quella festa di Gesù e i suoi discepoli, ma in special modo di Maria, la madre di Gesù. Il fatto increscioso è noto: viene a mancare il vino. “Non hanno vino” dice perentoriamente la madre. Chissà da quanto mancava il vino? Nessuno se ne è accorto. Non gli sposi, non altri invitati, neppure chi dirige il banchetto. Tutti continuano a fare festa con dell’acqua, accontentandosi. Forse qualcuno – quando i banchetti sono importanti può succedere – il vino non lo ha neanche visto passare davanti a sé. Recentemente ad una cena con tanti sacerdoti, qualcuno ha aperto una bottiglia di spumante, anche prestigioso, ma la bottiglia è rimasta lì. Nessuno ha avuto la premura di farla circolare. Ho trovato io, sparecchiando, la bottiglia ancora piena. Molti avranno pensato che, a quella festa, il vino nemmeno immaginavano ci fosse. Qualcuno invece potrà essersi accorto della mancanza del vino, ma avrà anche considerato che è un di più, non necessario, che la vita, la festa, le nozze, possano svolgersi anche senza vino. Anzi, che bisogna accontentarsi di quello che passa il convento. In fondo, il vino è inutile, basta l’acqua.
Incontro una coppia di fidanzati. Il discorso cade sul tema della sessualità. Parlo loro di castità, di amore, di purezza, di fedeltà, di fecondità. Mi ascoltano incuriositi, come fossi uno che parla una lingua straniera. Alla fine, prima di salutarci, lei mi dice: “Don, nemmeno sapevo che fosse possibile un amore così. Mentre parlavi mi dicevo: “È quello che
voglio. Come fa a sapere quello che desideravo?”. Posso tornare che mi parli ancora di queste cose? E poi, quasi rimproverandomi. “Ma perché non parlate mai di queste cose?”.
Molti vivono senza vino. Qualcuno pensa che nemmeno il vino esista. Molti vivono pensando che il vino – se c’è – finisce. È inevitabile. Della serie, prima o poi bisogna accontentarsi dell’acqua.
Qualcuno persino finisce per teorizzare che è meglio abituarsi, da subito, all’acqua piuttosto che rimanere delusi quando il vino inevitabilmente finirà. Quanti passano la vita accontentandosi di poco, dell’acqua? Quanti vivono senza il vino della verità accontentandosi di nozioni scientifiche? Quanti vivono senza un senso tanto – come cantava Vasco Rossi – un senso non ce l’ha. Quanti vivono senza amore consumando sesso, pornografia perché l’amore non esiste?
In fondo, come dice il cappellano del carcere minorile di Bologna, “i ragazzi sono ormai abituati a non importare”. Quanti fanno l’esperienza amara e dolorosa che di loro non gliene importa niente a nessuno. Si finisce per pensare che anche senza vino si può fare. Abituati a sopravvivere. L’acqua, basta e avanza. Si finisce per vivere facendo a meno di uno sguardo, di tenerezza, di amicizia, di senso, di eternità, di Dio. Per molti a quel banchetto, il vino poteva persino risultare superfluo perché ciò che conta sono le cose di cui realmente abbiamo bisogno.
Abbiamo bisogno del pane e dell’acqua, abbiamo bisogno dei soldi per tirare avanti e una giusta dose di divertimento. Per vivere basta poco, in fondo. Lo teorizziamo, persino. Di quanto possiamo fare a meno per sopravvivere? Anche nella Chiesa è subentrata l’idea di poter fare a meno delle cose inutili. Così, le nostre chiese sono diventate garage, spoglie, brutte. Il canto liturgico modesto e le liturgie stesse senza alcuna apertura all’Eterno e al Mistero. La socialità ha preso il posto di Dio.
Io ho bisogno più di cose inutili che di cose utili! Maria in questo senso, è una donna che in tutta la sua femminilità riconosce ciò che veramente conta, il vino. È l’unica che compie una diagnosi del reale. È vero, ci si può accontentare dell’acqua, ma la vita, piena di cose utili, non genera godimento ed è sterile. È una vita già necrotizzata. Abbiamo bisogno come il pane e come il vino, di profeti che ci ricordino che, in questo tempo, così funzionale e tecnologico, ciò di cui è fatto il cuore
dell’uomo è la verità, il senso, l’amore, Dio, l’eterno.
Senza, non posso vivere. Capita anche a te -canta Luca Carboni e Cesare Cremonini in una canzone dedicata alla Madonna di San Luca – di continuare ad aspettare i suoi miracoli? (.:.) È bellissimo sperare che non sia tutto qui. C’è bisogno di Maria, mediatrice di ogni Grazia, capace di far accendere la miccia del segno prodigioso. Maria è l’Odigitria – come l’icona della Madonna di San Luca a Bologna, appunto – colei che indica ai servitori, Gesù: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Lui è l’unico capace di trasformare una mancanza in pienezza, capace di rendere persino buona l’acqua – le circostanze più faticose – come fosse il vino migliore.
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