Barbuto scandinavo dalla penna formidabile che segue e alle volte, forse, precede un altrettanto formidabile pensiero, Jon Fosse è uno scrittore e drammaturgo norvegese tradotto e letto in tutto il mondo. Considerato uno dei 100 geni viventi dal Telegraph Daily, nel 2023 è stato insignito del premio Nobel per la Letteratura «per le sue opere innovative e la sua prosa che danno voce all’indicibile» ed è ritenuto uno dei più importanti scrittori contemporanei. Nato nel 1959 a Strandebarm, una piccola città della Norvegia, vive nella residenza onoraria di Grotten, a Oslo, concessagli dal Re per i suoi meriti letterari.
L’eccezionalità della sua scrittura, paradossalmente, sta proprio nella sua consapevole balbuzie, o meglio nella sistematica ricerca dell’essenziale, del nucleo di senso che pensiero e parola rincorrono senza mai poterli possedere né esprimere pienamente. Il suo stile, che procede per sottrazione come si trattasse di scolpire, ha meritato la definizione di «minimalismo di Fosse»; più che stile o maniera, la cifra dell’autore norvegese pare essere segno di ciò che come uomo sperimenta nel rapporto con tutto il reale, compreso anche lo spirituale e il divino, indicibili per natura. Un’altra caratteristica distintiva di Jon Fosse è la scelta di scrivere in lingua nynorsk, o neonorvegese o ancora, «lingua del territorio» – landsmal, contrapposta alla «lingua del libro» (bokmal).
Il suo percorso esistenziale è infine approdato, anche grazie alla sofferenza e alla depressione seguita o intrecciatasi all’alcolismo, alla fede cattolica: la Chiesa lo ha accolto come figlio con l’amministrazione della Cresima – il suo battesimo come cristiano luterano è sacramento valido – all’età di 53 anni, nel 2013. Entrava così nella piccola comunità dei cattolici di Norvegia. Intervistato da un altro convertito, il teologo Skjedal, Fosse decise che oltre all’intervista per la rivista Segl, dovesse uscire in forma di libro il contenuto integrale delle loro conversazioni. L’opera fu pubblicata nel 2015, ma ora è finalmente uscita anche in Italia per gli editori Baldini+Castoldi. Ed è proprio la conversione il tema della piccola opera, 176 pagine, e come questa si irradi su ciò che l’autore pensa della letteratura, narrativa, ma anche teatro e poesia, sull’arte tutta e sulla filosofia.
In quella che lo stesso Fosse chiama «lunga storia» del suo cammino verso la Chiesa cattolica – commenta Marco Ventura su La lettura, inserto domenicale del Corriere della Sera – ci sono alcuni momenti critici perché decisivi: uno di questi è il collasso dovuto all’eccesso di alcol che lo porterà al ricovero ospedaliero: «Non ero mai ubriaco, ma per settimane il mio corpo aveva bisogno di grandi quantità di alcol solo per funzionare normalmente». Dopo il ricovero e la riabilitazione seguiti alla fase autodistruttiva dell’alcolismo e alla sofferenza intensa della depressione, la fede di Fosse si rafforza anche per mezzo dello studio delle opere di un mistico tedesco medievale, Meister Eckhart. Altri passi verso la fede sono favoriti dal confronto con la moglie slovacca che è cattolica.
Nella Chiesa si sente sempre più sé stesso, lontano dalle vecchie identità di «radicale di sinistra», di ex luterano in polemica con la confessione in cui era stato educato, di ex simpatizzante del movimento quacchero, dal quale però è grato di aver imparato il silenzio come spazio vivo di ascolto di Dio. La letteratura stessa, ora, si fa simile alla preghiera perché il suo sforzo tende a creare «un varco tra creato e increato», tra il contingente della creazione e l’assoluto di Dio. Si trova a suo agio nella natura paradossale del cristianesimo cattolico, perché assomiglia alla vita, ne contiene le contraddizioni, rende sperimentabile l’incomprensibile.
Nel volume, che in italiano ha il titolo di Il mistero della fede, Fosse racconta anche le due esperienze mistiche che hanno segnato una svolta nella sua lunga marcia verso casa: la prima avvenuta in un momento drammatico perché all’età di sette anni stava rischiando di morire dissanguato. Trasportato d’urgenza in ospedale vede distintamente una nuvola dorata e sperimenta qualcosa sul suo corpo e la sua anima che lo segneranno per sempre. La seconda avviene invece quando ha già trent’anni e lo raggiunge la visione di una colonna di luce verticale insieme alla netta percezione dell’unità e della pace di tutte le cose.
«Dove la disperazione raggiunge il limite, lì c’è Dio», è la citazione del libro che scriverebbe tutta maiuscola. Ora che è stato raccolto da Dio che, incarnandosi, si è proprio inabissato fino alle più cupe disperazioni umane, alimenta la propria vita di credente con i sacramenti e la preghiera, su tutte quella del rosario. Sua è la traduzione dell’Ave Maria in lingua nynorsk. Continua dunque ad essere un ribelle, ma nella forma che finalmente gli corrisponde, quella della Chiesa che nonostante le macchie e le cadute ha conservato integro il mistero e lo ha potuto rendere accessibile anche a lui, credente dell’ultimo banco. (Fonte foto: Ansa)
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