Prima di ogni discussione, perché questa sia proficua, occorrerebbe intendersi sui termini della questione che si intende dibattere. Non è quello che accade quando si straparla di patriarcato, un’etichetta diventata un tatuaggio permanente che va inciso sulla pelle di chiunque si avventuri a parlare di violenza di genere e di questione educativa, soprattutto maschile. Questa colpevole confusione di termini e soprattutto l’uso improprio della definizione di patriarcato è insieme origine ed esito di un dibattito fortemente ideologizzato; lo si è visto con il polverone che si è alzato intorno alle parole del ministro Valditara nel videomessaggio trasmesso ieri nel corso della presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin alla Camera dei deputati.
Parole, quelle del ministro dell’Istruzione, misurate e precise nel tentare di individuare le reali cause della violenza contro le donne e dei comportamenti maschili deteriori. Spesso gli uomini o i ragazzi che si scagliano contro le donne più che dall’abuso della forza maschile sono mossi dall’immaturità, dall’assenza di una strutturazione adulta della virilità, considerata a torto sinonimo del maschilismo e della prepotenza, mentre ne sarebbe il naturale argine:
«Quanto al patriarcato, cioè ad una società fondata sul potere giuridicamente e gerarchicamente sovraordinato del padre, ribadisco che dalla riforma del 1975 non esiste più. Esiste il maschilismo contro cui si deve lottare mettendo al centro il valore di ogni persona. Quanto alla violenza sessuale, si combatte anche riducendo i fenomeni di marginalità e di devianza legati alla immigrazione clandestina. Questa è realtà, il resto sono strumentalizzazioni di chi non conosce il dialogo democratico. Mi viene il dubbio che più che lottare per la dignità della donna e contro la violenza sulle donne qualcuno a sinistra voglia solo condurre altre battaglie». Se prima, quando davvero il termine patriarcato poteva descrivere un sistema attivo nella nostra società, la violenza contro la donna nasceva da “una concezione proprietaria della moglie, oggi sembra più il frutto di una grave immaturità narcisista del maschio che non sa sopportare i no”, prosegue il ministro.
Ma forse, aggiungiamo, anche da una persona che non sa sostenere nemmeno i sì, quelli per sempre, quelli che significano impegno e stabilità anche quando tutto di noi, maschi e femmine che siamo, ci urla di fuggire via, di sottrarci alla fatica, di cercare un sollievo immediato al carico che le responsabilità di un adulto impegnato con la vita impone e che abbiamo liberamente deciso di accettare.
Incapacità di accettare la frustrazione, dunque, come fragilità tipica dei nostri tempi, dei giovani, dei bambini (che nascono fatti così, progettati per soddisfare al più presto le proprie esigenze, e se è così ci sarà un motivo: la sopravvivenza), ma soprattutto degli adulti. Forse anche quelli coinvolti in questo dibattito che, commenta sempre Valditara, la sinistra butta sempre in rissa, anziché ragionare in termini pacati, come ha fatto per esempio il più diretto interessato, Gino Cecchettin, promotore della fondazione che porta il nome della figlia e cerca di lenire il dolore spropositato che come padre sta vivendo. Il signor Cecchitin, pur non condividendo il discorso del ministro, centra il punto quando chiede di confrontarsi sui valori, in parte già condivisi.
IL PATRIARCATO NON ESISTE, PAROLA DI AVVOCATA DI FAMIGLIA
Per fortuna non tutti sono presi da incontrollabili crisi di nervi non appena si mette in discussione il dogma fresco di proclamazione per il quale abbondano i sedicenti veggenti: “il maschio soprattutto bianco è cattivo, è tutta colpa del patriarcato”. Che il patriarcato non esista più lo dicono con perentorietà anche voci femminili: l’avvocato Annamaria Bernardini de Pace, per esempio, titolare dello studio legale specializzato in diritto della persona e della famiglia più importante d’Italia, ha affermato testualmente: «Non c’è il patriarcato, ma il matriarcato», che spiega come una sorta di abuso di potere femminile, che chiama “insopportabile femminocrazia”, che nasce dall’estensione smisurata di caratteristiche in sé positive, come la maggiore intelligenza emotiva, la spiccata capacità di leggere e comprendere gli altri, che diventa tirannide relazionale a danno degli uomini, mariti e padri. Un grande potere, dunque, agito soprattutto in famiglia, e non sempre esercitato con la responsabilità che si chiede persino ai supereroi.
IL PROBLEMA NON È IL PATRIARCATO, MA L’ASSENZA DEI PADRI, PAROLA DI SOCIOLOGO
Che il vero problema non sia più il patriarcato da un bel pezzo lo dice anche un’altra voce non certamente schierata a destra. Secondo il sociologo Luca Ricolfi: «Siamo diventati una società senza padri né maestri, nella quale tutte le figure che incarnavano l’autorità e il comando, dal padre all’insegnante, dal poliziotto al giudice, dal prete al ministro, hanno perso ogni prestigio e autorevolezza. Che senso ha, allora, parlare di patriarcato? La risposta, verosimilmente, è che chi parla di patriarcato in realtà intende qualcos’altro, che trova comodo etichettare in quel modo». E poco sopra aveva affermato: «Se non ci fossero di mezzo la politica e l’ideologia, nessuno studioso serio si azzarderebbe mai a usare una categoria interpretativa così inappropriata e inattuale. È dal 1963, ossia da quando Alexander Mitscherlich pubblicò il suo profetico libro “Verso una società senza padre”, che sappiamo che le società occidentali sono caratterizzate dalla progressiva estinzione della figura paterna».
Per buttare via l’acqua sporca dell’autoritarismo, siamo finiti per gettare il bambino, sano e paffuto, dell’autorevolezza e dell’amore che sa guidare, contenere, dare limiti e proporre ideali e non ha bisogno di schiacciare l’altro per affermare sé. Non serve tanto guardare indietro, magari ammantando il passato di quella patina di nostalgia che tutto stempera e rende desiderabile, sognando senza speranza di vivere come vivevano i nostri nonni (una cosa che personalmente rifuggo con decisione). Serve, come ci insegna sempre la Chiesa, guardare a fondo e in alto, cioè alla verità delle cose, così come le ha pensate Dio. Che maschio e femmina ci creò e solo davanti a noi disse che era cosa molto buona.
LA PARITÀ NELLA VIOLENZA CONTRO L’ALTRO SESSO? RAGGIUNTA, PAROLA DI SAVE THE CHILDREN
Eccola la grande questione, che se non fosse tragica, sarebbe comica: l’astio tra i due sessi. Un generale e sempre più precoce maschi contro femmine, come all’asilo dove però ci si limitava a correre per prendersi o assestarsi uno spintone. Uno studio pubblicato nel gennaio del 2024 dalla Save the Children, la ong a difesa dei diritti dei minori, mostra come la violenza che gli adolescenti agiscono e subiscono sia a livelli pressoché uguali tra maschi e femmine. Nell’individuazione delle cause specifica che il patriarcato non c’entra, ciò che incide sempre più è l’odio tra i due sessi. (cfr pp. 40-42-44). Quanto al fatto che esista anche una violenza sui maschi, sulle pagine del Timone di novembre trovate ben illustrato – dallo stesso criminologo che l’ha realizzato -, il primo studio fatto in Italia su questo tema (qui per abbonarsi).
LA PIAGA DEI FEMMINICIDI È ANCHE NEL MODO DI RACCONTARLA
Non dovrebbe essere necessario dirlo ogni volta: ogni omicidio è un male enorme, ogni soppressione della vita altrui è un abominio inaccettabile che reclama giustamente tutto il nostro sdegno e l’impegno ad impedirli. Particolarmente odiosa è la violenza del più forte contro il più debole, spesso ma non sempre dell’uomo sulla donna, dell’adulto sul bambino, così come del sano sul malato o il fragile. Per quanto riguarda i cosiddetti femminicidi, sono fortunatamente in diminuzione (- 8%), dati del Governo italiano.
IMMIGRAZIONE E VIOLENZA
Per quanto riguarda la «maggiore violenza legata agli stranieri», nel triennio 2019-2022 i casi di violenza sessuale commessi da minorenni italiani sono aumentati del 3,9%: quelli commessi da minorenni stranieri del 59%. Cosa avrebbe detto di così inaccettabile il ministro dell’Istruzione? La realtà continua a procedere per la sua strada, non curandosi delle levate di scudi di chi si scandalizza perché è brutto dire che molti casi di violenza avvengono per mano di immigrati, soprattutto clandestini e non adeguatamente accolti e integrati. Si tratta di dati pubblici che lo stesso Ricolfi ha commentato sul sito Fondazionehume.
LA PRETESA DEL PACCHETTO DIRITTI
Di Ricolfi è anche una proposta di analisi delle cause della violenza sulle donne: «Una delle radici della violenza sulle donne nelle realtà più avanzate potrebbe essere proprio il loro essere avanzate. Quando si parla del grado di civiltà raggiunto da un sistema sociale, infatti, troppo sovente si dimentica che l’aspetto centrale delle società avanzate è la cultura dei diritti. E la cultura dei diritti è una cosa meravigliosa, ma ha anche effetti collaterali perversi. Ad esempio: l’educazione è permissiva, i genitori iper-proteggono i figli, gli insegnanti si colpevolizzano per gli insuccessi dei ragazzi. Sicché una parte di questi ultimi si convince di avere un fascio di diritti fondamentali, o quasi naturali: successo formativo, abitazione, consumi, status, divertimento, sesso. Naturalmente, succedeva anche prima che si desiderassero tutte queste cose. Ma non erano considerate diritti, bensì conquiste possibili, spesso costose in termini di sforzi, e sempre esposte al rischio di fallimento […] non mi sento di escludere che, sotto questi repentini cambiamenti, non vi sia solo un deficit di consapevolezza dei diritti e del valore delle donne (un guaio cui la scuola può tentare di porre rimedio), ma una degenerazione della cultura dei diritti, che ha reso tanti maschi del tutto incapaci di fare i conti con il rischio di fallire».
PIÙ FAMIGLIA, NON MENO
Di solito, la reazione automatica e approvata dal pensiero dominante dopo ogni caso di cronaca che riportasse alla nostra esausta attenzione violenze efferate di ex fidanzatini o mariti sulle donne a cui erano legati, era quella – oltre che di parlare di patriarcato – di aumentare l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, togliendo il più possibile titolarità alle famiglie, a detta dei più dimostratesi il vero ricettacolo della violenza di genere. Ancora una volta è praticamente vero il contrario: non meno famiglia, ma più famiglie che siano veramente tali, che esercitino con coraggio e magari sostenute dalle istituzioni il loro ruolo educativo che non si capisce per quale motivo dovrebbe venire loro sottratto proprio sulle materie più delicate e sensibili, come l’amore, la trasmissione della vita, la sessualità. Come il Timone di gennaio ha raccontato con uno speciale dedicato (qui per abbonarsi) le ingerenze della scuola non servono a niente e non toccano il vero interesse dei giovani, che sono stanchi di essere ridotti a soggetti da addestrare a suon di protocolli. (Fonte foto: Imagoeconomica)
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