Da un’idea di don Samuele Pinna ha preso vita “Dietro le quinte”, una rubrica senza periodicità che vuole incontrare quei personaggi importanti che lavorano per il bene e non sempre appaiono in prima fila, ma appunto sono spesso “dietro le quinte”
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Don Gabriele Mangiarotti è milanese di nascita, ma a un certo punto decide di espatriare all’“estero”: «Sono venuto nella Diocesi di San Marino-Montefeltro perché chiamato da Luigi Negri, che conoscevo dal 1962 e con il quale ho frequentato il Seminario». Avendo contribuito con Nicola Incampo alla elaborazione dello status giuridico degli insegnanti di religione, monsignor Negri l’aveva chiamato a collaborare con lui, anche perché l’allora responsabile era prossimo al trasferimento: «La collaborazione con Negri è stata una bella avventura, e non solo per l’amicizia. La sua lettura della situazione della Chiesa e del momento storico nel quale eravamo inseriti ha segnato il suo lavoro e la mia presenza come un’esperienza avvincente, soprattutto avendo consapevolezza della nostra missione in una realtà statuale, seppure molto piccola come San Marino, in cui era possibile vivere quello che san Giovanni Paolo II aveva icasticamente affermato: “Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”».
Dopo l’insegnamento nelle scuole, don Gabriele si è occupato dell’IRC e a oggi è parroco in tre piccole parrocchie, oltre a essere vicario foraneo e responsabile della pastorale scolastica e della cultura: «Essere qui a San Marino sinceramente mi piace, e le occasioni di un lavoro e di una presenza sono notevoli. Qui c’è la Comunità delle monache dell’Adorazione eucaristica, dal carisma di “adorazione e bellezza” e mi occupo del sito CulturaCattolica.it di cui sono fondatore e responsabile».
In questi anni, una delle grandi preoccupazioni di don Mangiarotti è stata la battaglia per la difesa della vita, combattendo la piaga dell’aborto: «In Repubblica l’aborto era considerato un reato e, anche se nessuna donna era mai stata condannata, era un reato punibile con la reclusione. È vero, molte donne si rivolgevano agli ospedali limitrofi, in Italia, ma la pratica – che era pertanto a pagamento – non era molto diffusa. Da tempo le femministe chiedevano il superamento della legge, la sua abrogazione, considerando l’aborto stesso un diritto, e il fatto di non poterlo praticare sul territorio rendeva questo Stato il fanalino di coda dell’Europa». Davanti alle richieste di superare la legislazione, oramai diventate pressanti, don Gabriele ha preso carta e penna per redigere una “Lettera aperta ai cattolici sammarinesi”, invitandoli a porre attenzione alla questione e a mettere in atto interventi in difesa della vita. All’epoca s’interrogava, interrogando: «Può una lettera scritta ai cattolici interessare il mondo “laico”? Sinceramente penso di sì, a condizione che si abbia nel cuore il desiderio del bene comune e che si riconosca che il vero, da chiunque sia detto, può essere accettato da ogni uomo di buona volontà. A meno di volere mantenere alzati gli steccati e i muri tra le persone. Papa Francesco ci insegna a “costruire ponti, e non muri”… Crisi delle evidenze, società scristianizzata, fiaccola piuttosto che faro, pensiero incompleto: dite quello che volete, ma non è più chiaro affermare che abbiamo perso il senso del nostro compito, dimenticato la lezione della Dottrina Sociale Cristiana, il magistero luminoso e affascinante di Giovanni Paolo II? Il sale che perde sapore sarà calpestato dagli uomini… Possiamo ripensare insieme il nostro compito di cristiani nel mondo?».
Da allora di acqua ne è passata sotto i ponti, fino a quando sempre il mondo laico ha proposto un Referendum propositivo per avere in Repubblica una legge che consentisse l’aborto libero e gratuito: «Con amici abbiamo fatto una seria campagna per scongiurare l’approvazione del Referendum e impedire una legislazione abortista. Abbiamo avuto diversi alleati, ma nel complesso il mondo cattolico non si è particolarmente impegnato, quando non ha dato l’appoggio (alcune frange giovanili dell’associazionismo laicale) alla proposta abortista. L’esito è stato drammatico: 40% di astensioni, 77% di favorevoli. Così si è approvata una legge che è tra le peggiori. Se da un lato non fissa un termine entro il quale non si possa effettuare l’aborto, dall’altro esclude la partecipazione nella decisione da parte del padre, impedisce che nel consultorio possa lavorare personale obiettore (e tra l’altro anche la norma sull’obiezione è alquanto limitativa), ma soprattutto si impone nelle scuole l’educazione sessuale di Stato (e non favorendo quello che si chiama “consenso informato”, richiesto da molte parti ma non regolamentato con precisione)».
Tale situazione ha favorito almeno l’apertura di uno spazio di lavoro, costituendo due Associazioni in difesa della vita: «C’è la difficoltà – a livello comunicativo – a un impegno di mobilitazione. Da qualche tempo però abbiamo preso rapporti con realtà in difesa della vita europee (FAFCE: Federazione delle Associazioni Familiari Cattoliche in Europa) e internazionali (40 days for life – chi ha visto il film Unplanned capisce di che cosa si tratta) e questo impegno mi pare stia dando risultati significativi».
Nell’attuale pontificato non sono mai mancati giudizi fermi sul tema dell’aborto, nonostante le reazioni scomposte da parte di molti: «Le continue e insistenti parole di papa Francesco spero possano scuotere le coscienze a volte distratte, perché l’aborto è un assassinio. E qui il Santo Padre non si mette la maschera del politically correct come vorrebbero farci intendere i vari commentatori, i paladini della “cultura di morte”. Di fronte ai tanti che ci chiedono di smettere di parlare di aborto come crimine, visto che la legislazione oramai l’ha sdoganato e la mentalità lo considera un diritto inalienabile – con una forza infinitamente maggiore di quei “principi non negoziabili” di cui parla continuamente la Chiesa –, noi non possiamo tacere e dobbiamo riportare il grido del Pontefice: “L’aborto è un assassinio… E in queste cose dobbiamo parlare chiaro. ‘No, ma, però…’. Niente ‘però’…”. Come sarebbe bello se rinascesse la consapevolezza che ogni vita umana è un bene dal suo inizio e che solo l’amore può essere la sua ragione e diventare la sua difesa! Come fare perché la retorica dei diritti diventi difesa dei veri diritti, da quello del nascere e dall’essere amato, custodito e protetto? L’insistenza con cui i cristiani sottolineano il valore della vita non può essere messa tra quei doveri affermati per retorica, ma non concretizzati nella realtà. Bisogna, quindi, affiancare a quell’urlo di dolore (“è un assassinio”) la testimonianza dell’accoglienza, di tutte quelle vite che sono state accolte e che testimoniano una gratitudine e una gioia senza confini, insieme alle voci di quelle mamme che pur consigliate di ricorrere all’aborto hanno scelto di portare a termine la gravidanza».
Don Gabriele si fa meditabondo: «È nitido in me il ricordo del grido di san Giovanni Paolo II: “Ci alzeremo in piedi”. Ogni vita umana ha il diritto di essere accolta, e nessuno può arrogarsi il diritto di sopprimerla. Qui a San Marino abbiamo una tradizione di accoglienza veramente encomiabile, il cuore del popolo è amante della vita. Il chiasso mediatico non può continuare a invadere le coscienze. Il Vescovo Domenico Beneventi sembra avere a cuore il problema e l’energia per affrontarlo. La situazione drammatica del mondo, l’inverno demografico (anche qui da noi), i problemi familiari e dei giovani non possono lasciarci indifferenti»
Capisco che quello che stiamo vivendo è un tempo che chiede responsabilità, intelligenza e impegno: «La nostra tradizione sammarinese – prosegue il sacerdote – ci ricorda che avere un santo come fondatore e patrono è una chance assolutamente originale, e una responsabilità straordinaria. E l’essere un piccolo Stato, che tra l’altro ha un posto – e quindi un voto – all’ONU, non è un limite ma un di più come creatività e responsabilità sociale. Ai tempi del Referendum gli occhi del mondo (e non per modo di dire) erano puntati su di noi, con interesse e curiosità. Mantenere desta questa attenzione nel prossimo futuro sarà un compito importante. Le questioni del fine vita, dell’originalità della famiglia formata da un uomo e da una donna, la vexata quaestio dell’identità di genere (con la problematica della omosessualità e delle convivenze same sex) possono trovarsi in un contesto in cui si possono ricercare risposte corrispondenti alla verità sull’uomo, sulla famiglia, sulla educazione».
Domando infine, con forza, una parola di speranza e don Gabriele Mangiarotti mi risponde pronto: «Ci sono giovani impegnati anche in politica con cui si sta costruendo un cammino di risposte. Il tempo, ma soprattutto il cuore dell’uomo è nostro alleato».
(Foto Caravaggio, Cena di Emmaus, wikipedia public domain)
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