«Direi che avendo cacciato Dio, i demoni scorrazzano, e le anime dei giovani – che sono più vulnerabili – sono il terreno di caccia privilegiato». Così Antonio Socci sui fatti di Paderno Dugnano, dove un diciassettenne ha barbaramente ucciso madre, padre (nel giorno del suo compleanno) e fratello minore. Nella terrorizzante emergenza educativa che a Piacenza vede un ragazzo buttare dal balcone la fidanzatina tredicenne, a Parma una ventiduenne seppellire i suoi neonati nel giardino (per poi, a sera, andare a ballare), e che ogni mattina si manifesta tristemente negli occhi spenti di milioni di studenti italiani, chi conserva il sacro fuoco dell’educazione non può darsi pace. Per nulla al mondo.
Ecco allora che Franco Nembrini, professore, educatore e preside, risponde al disastro in essere con Dante, pietra angolare della sua esistenza. L’incontro – che metterà a tema la Speranza e che sarà rivolto principalmente a ragazzi, genitori e insegnanti – avrà luogo lunedì 11 novembre a Bologna, nella splendida cornice della Biblioteca dei Domenicani, alle ore 17,45. Introdotto da Giorgio Spallone, avvocato, e con il contrappunto di Stefano Versari, già direttore generale del Ministero dell’Istruzione, Nembrini animerà un incontro che si preannuncia importante per non poche ragioni, non ultima quella di lanciare uno spunto educativo concreto a migliaia di insegnanti italiani: “la via di Dante per la felicità”.
«Rispetto ai loro figli, vedo serpeggiare nelle famiglie paura, a volte terrore. Genitori scoraggiati mi subissano di domande, non sanno come rispondere a questa ondata di male che va spegnendo i loro ragazzi». Questa la dolorosa fotografia riportata da Nembrini, che però risponde con la potenza del messaggio del poeta fiorentino, cioè con quella “via” la cui bontà il professore bergamasco ha sperimentato sulla sua pelle fin dalla più giovane età. A dimostrarlo bastano queste poche parole: «A 12 anni, lontano da casa, mentre per dare una mano alla mia famiglia numerosa trasportavo casse di bottiglie salendo i gradini di una cantina, venni folgorato da un verso che avevo letto a scuola e che parlava di me in quel preciso momento: “E proverai […] come è duro calle / lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”».
Il metodo educativo caro al professore bergamasco, che nella speciale serata bolognese di lunedì non mancherà di essere declinato in un’aneddotica come sempre affascinante e coloratissima, è quello mutuato dal fenomeno della fotosintesi clorofilliana. Nembrini lo spiega da par suo nell’introduzione al primo volume di Uscimmo a riveder le stelle (Edizioni Ares). «Alle piante non interessa chi passa nel bosco, fanno semplicemente il loro lavoro: assimilano anidride carbonica e restituiscono ossigeno. Così, chi cammina in un bosco respira a pieni polmoni. Quante volte, ahinoi, noi adulti facciamo il contrario? Quante volte riversiamo sui ragazzi l’anidride carbonica, cioè il male, i veleni del mondo? Quante volte la nostra educazione è tutta incentrata sulla paura, la paura che i nostri figli siano feriti da questo male, e per evitare questo rischio non sappiamo far altro che dipingerglielo a tinte sempre più fosche? E magari ci arrabbiamo perché i ragazzi, su cui riversiamo i nostri veleni, sono a loro volta arrabbiati con la vita e col mondo…».
Per Nembrini il compito degli adulti è quello di fare come le piante, cioè «prendere su di noi il male e restituire il bene, portare il peso della fatica e del dolore restituendo letizia e speranza, vivere certi che la vita è buona, così che chiunque passi dalle nostre parti possa respirare, come fa uno che cammina nel bosco». Esattamente quello che con Dante fa Virgilio, il quale lungi dal tenerlo lontano dal male, fa in modo che l’amico lo attraversi tutto. Non da solo però, ma in sua compagnia, invitandolo continuamente ad alzare lo sguardo: «Altro è da veder che tu non vedi».
É questo ed altro che i ragazzi di Bologna, curvi sui loro smartphone come tutti gli adolescenti italiani (recentemente Susanna Tamaro ha azzardato che il boom di studenti con DSA «può essere causato da troppo cellulare»), ascolteranno lunedì nel Salone Bolognini del Convento di San Domenico. Non è l’insistenza sui pericoli del male che può tenerli lontani dalle sue seduzioni, ma l’affermazione certa, certissima, scritta col sangue, di un bene immensamente più grande. Dalle crisi, dalla disperazione, dall’inferno si può sempre uscire (Dante lo ha fatto), è una possibilità per tutti, a patto – scrive Nembrini – «che siano semplici di cuore. Cioè che prendano sul serio, a dodici anni o a sessanta, il desiderio di bene di cui il loro cuore è fatto».
L’occasione dell’evento organizzato presso i domenicani – che molto significatamente il Provveditorato agli Studi di Bologna ha pubblicizzato «caldamente» (sic) presso tutte le scuole della città – è la pubblicazione del già citato Uscimmo a riveder le stelle, opera in tre volumi (uno per ogni cantica) coordinata da Nembrini e realizzata insieme a Gianluca Recalcati, preside, e Samuele Gaudio, illustratore. Lo spirito dell’opera ricalca (e precede) quello della serata: provocare i ragazzi, “maranza” compresi, sulla spregiudicata attualità dell’Alighieri nel saper superare ogni tipo di smarrimento, prevenendo crolli e depressioni ormai all’ordine del giorno. Non a caso Nembrini – che da sempre si strugge di passione per una generazione a cui nessuno più fa alzare lo sguardo verso Cristo – ha fortemente voluto per tutti e tre i volumi un titolo unico, che fin dall’Inferno aprisse alla dimensione del Cielo.
Starà agli studenti bolognesi, ai genitori e agli insegnanti disposti a ripetere in classe l’esperimento “nembriniano”, aprirsi, credere e puntare davvero sulla sapiente via della felicità divinamente tracciata dal Sommo Poeta nella sua opera immortale. Virile, sfidante, agostinianamente «tanto antica e tanto nuova».
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