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I santi, maestri che vivono nel mondo ma che non gli appartengono
NEWS 1 Novembre 2024    di Francesco Agnoli

I santi, maestri che vivono nel mondo ma che non gli appartengono

Chi non crede unicamente in se stesso, chi non confida solo nella propria forza, sono i santi, creature che vivono nel mondo, ma non sono del mondo, nel senso che non appartengono definitivamente, ultimativamente, ad esso. Il loro amore è essenzialmente carità, non filantropia, né semplice solidarietà tra simili. Tutto è da loro vissuto in un’ottica soprannaturale: amano nel prossimo il suo eterno destino, vedono, in ogni persona, una creatura di Dio, un’anima immortale, degna quindi di un rispetto immenso. San Francesco di Sales era solito dire che “il mondo intero non vale un’anima“. Solo questa modalità di sguardo, permette ai santi di non appuntarsi sui difetti, sulle miserie, sulle mancanze presenti in ogni fratello, e in loro stessi: quello che conta è l’origine e il fine di ogni creatura, che sono divini, perché ogni uomo, benché non sembri, vale appunto ben più dell’intero universo.

Che siano educatori, come Giovanni Bosco, costruttori di ospedali, come Camillo de Lellis, o di scuole, missionari che percorrono migliaia e migliaia di chilometri, come Francesco Saverio, mistici come padre Pio, suore di clausura o eremiti, i santi cercano sempre l’obbedienza somma a Dio e alle sue leggi, per assaporare il suo amore e realizzare la propria umanità. Vedono, nella legge di Dio, l’unico modo per non essere schiavi del proprio capriccio, e nel suo amore, l’unica possibilità per trascendere la propria debolezza, e la propria fragilità. Di fronte al male del mondo e al loro male, combattono e lottano, senza la presunzione di annullarli definitivamente; amano la loro abiezione, ne fanno la certezza su cui costruire il proprio cammino di perfezione, la propria vita interiore.

Scriveva padre Pio ad un’anima tormentata, dalla tentazione e dalla sofferenza: “Ama la tua abiezione. Se sei umile, tranquilla, dolce, piena di fiducia tra queste oscurità e impotenze; se non t’impazienti, se non ti dai troppa sollecitudine, se non ti turbi per tutto ciò che andrai soffrendo, ma di buon animo, non dico allegramente, ma francamente e fermamente abbraccerai tutte le croci, e ti contenterai di restare tra le tenebre di spirito che il cielo ti manda, tu allora amerai la tua abiezione. Che cosa significa abiezione, se non che oscurità e impotenza? Amati in codesto modo, per amore di colui che così vuole, ed amerai la tua propria abiezione, che è il grado più alto dell’umiltà”.

Il cammino dei santi è sempre alla ricerca di una liberazione: dal proprio egoismo, dalla propria superbia, dalla tentazione di scandalizzarsi del proprio limite, attraverso la virtù fondamentale, quella che apre alla vera libertà: l’umiltà. Umiltà come rassegnazione di fronte al dolore; come sopportazione della propria impotenza; come affidamento totale delle proprie opere e desideri al volere di Dio. “Nulla ti turbi, scriveva Santa Teresa d’Avila, nulla ti sgomenti, a chi ha Dio non manca nulla….”.

Liberi dalle preoccupazioni mondane, spogliati di tutto, per rivestirsi soltanto di Dio, per confidare solamente in Lui, roccia che non si spezza, Padre che non dimentica, Amore che non ha confini: eppure le loro opere durano più di quelle dei re e dei potenti, lasciano dietro di sé tracce che permangono nei secoli. I santi non inseguono le folle ma vengono inseguiti; non cercano le masse, il loro amore tumultuoso e cangiante, la loro lode, il loro umore variabile, ma solo le singole anime, una per una, ognuna fino nella sua profondità, per la sua immensa preziosità; non vogliono ridisegnare il mondo, con le rivoluzioni, le ideologie, i loro progetti e le loro convinzioni personali, ma anzitutto se stessi; non si fanno innalzare, al potere, alla gloria, per non cadere poi, rumorosamente, a terra, come gli idoli. (Fonte Libertaepersonas foto: Wikipedia)