A volte basta Google, un minimo di dimestichezza con l’inglese e la volontà di vederci chiaro. In rete si trovano interviste anche di dieci anni fa. Come la storia di Tnya Prashad, che per altro, è stata una “madre surrogata” nel 2004 quindi ben venti anni fa. Pensava di essere la candidata perfetta per questa pratica, lo spiega lei stessa, aveva dato alla luce già dei bambini, sani, aveva 33 anni ed era animata dal sincero desiderio di dare la gioia di esser genitore a chi naturalmente non lo poteva diventare, ossia due uomini. Il compenso? “Per me era sufficiente coprire l’assicurazione sanitaria, quella sulla vita e gli eventuali giorni di lavoro persi”, ha dichiarato. Praticamente una gravidanza solidale, una di quelle che molti nel nostro Paese vogliono legittimare, senza scopo di lucro.
Così inizia il suo percorso e dà alla luce una bambina. “Quando la ho avuta lì, tra le mie braccia, tutti quei documenti che avevamo firmato pieni di accordi commerciali, sono semplicemente svaniti“, ha detto. “Mi sono resa conto che non avevo pensato per un secondo a cosa fosse giusto per la bambina e cosa meritasse”. La donna è ricorsa al tribunale per far valere i suoi diritti di madre. “Mi sono sentita come se avessi venduto mia figlia”, ha detto.
E poi c’è la voce di Olivia Auriol, oggi poco più che trentenne, nata tramite utero in affitto a Louisville, Kentucky, e cresciuta tra la Francia e gli Stati Uniti. Sebbene i suoi genitori non le abbiano mai rivelato nulla sulle sue origini, Olivia ha sempre percepito che ci fosse qualcosa di strano, una sorta di disagio legato alla sua nascita. Tramite un test del Dna comprato on line, uno di quelli molto in voga oltreoceano, che ti consentono con un tampone casalingo di trovare i tuoi consanguinei in tutto il paese, arriva la doccia fredda. “Le persone pensano solo che sia un meraviglioso piccolo mondo di farfalle dove tutto va bene, che basta l’amore e che tutto andrà bene, ma, no, no. Non andrà tutto bene. Stiamo usando uteri, stiamo pagando per gli uteri delle donne, stiamo comprando bambini. Non c’è niente di giusto in tutto questo”.
Tra i pentiti ci sono anche dei nomi illustri, come Khloé Kardashian, sorella della più famosa Kim. 38 anni, la donna ha avuto il primo figlio naturalmente e il secondo con l’utero in affitto e nella terza stagione di The Kardashians, ha ammesso di sentirsi molto meno legata alla bimba nata con la maternità surrogata che al suo primogenito. “Penso che ci sia una differenza quando il tuo bambino è nella tua pancia, il bambino sente davvero il tuo vero cuore”, ammette. “Pensateci. Non c’è nessun altro su questo pianeta che vi sentirà dall’interno in quel modo, il vostro cuore”.
Una surrogata, un bimbo nato dall’utero in affitto, un “genitore di intenzione” che dicono no. E non sono gli unici, basta davvero cercare. Certo, in realtà, non servirebbero le testimonianze per dimostrare l’ovvio, ma nel caso qualcuno le chiedesse, ci sono anche quelle.
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