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Politica e valori: «La verità non può essere ostaggio delle maggioranze»
NEWS 14 Ottobre 2024    di Samuele Pinna

Politica e valori: «La verità non può essere ostaggio delle maggioranze»

Da un’idea di don Samuele Pinna ha preso vita “Dietro le quinte”, una rubrica senza periodicità che vuole incontrare quei personaggi importanti che lavorano per il bene e non sempre appaiono in prima fila, ma appunto sono spesso “dietro le quinte”.

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Tra le persone dietro le quinte dell’umanità quelle che mi immagino tra le più indaffarate nella ricerca del meglio sono i politici, forse perché rimango ancorato a un insegnamento di san Paolo VI: «La politica è la più alta forma di carità». E quella cristiana la si fa non per il proprio ma per l’altrui interesse, quello collettivo. Nel nostro contesto, però, la politica pare non godere di buona salute: la sua spettacolarizzazione l’ha snaturata nella sua essenza di servizio al bene comune. Voglio incontrare un politico “doc” per fare il punto e m’imbatto in Piergiacomo Sibiano (foto in alto), soprannominato dagli amici “Piga”, riminese di nascita e bolognese d’adozione, che mi confida: «In una mostra allestita al Meeting di Rimini su Alcide De Gasperi mi ha colpito come i risultati politici importanti del suo mandato sono stati frutto di attività che non erano legate alla sua persona, ma a cui la sua persona ha lasciato spazio».

Per associazione d’idee, mi sovviene la frase del teologo statunitense James Freeman Clarke citata dall’allora Presidente del Consiglio: «Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione. Un politico pensa al successo del suo partito; lo statista a quello del suo paese». Piga prosegue su questa scia: «Se la politica è la forma più alta di carità, allora bisogna mettere in conto che il risultato non lo si vedrà nell’immediato, ma questo non vuol dire che non ci sia». È poi individuato il problema: «Siamo in una fase in cui ci si lascia molto ammaliare dai leader trascinatori. Noi elettori dobbiamo, invece, fare lo sforzo di non accontentarci degli slogan, e mettere noi ciò che manca in politica, come del resto già facciamo quotidianamente nelle nostre case. Faccio un esempio: sono i genitori a stabilire a che ora si torna a casa, quanto tempo si può guardare la tivù, a quanti anni consegnare il telefono al proprio figlio, etc. Nessuno in famiglia evita di esercitare quello che è a tutti gli effetti un potere di responsabilità. Ma quando ci troviamo nella società, tutto d’un tratto ci dimentichiamo che questa responsabilità, così come a casa propria, c’è anche al di fuori. Ciò capita perché si è privatizzato tutto con la conseguenza che la questione del bene comune non è più oggetto di una mossa personale. Ci si ritrova, di conseguenza, una politica spettacolarizzata e vuota, perché davanti a tante persone che sono disinteressate l’unico modo per attrarle è fare “fuochi d’artificio” che nel breve periodo possono muovere l’interesse, ma alla lunga non costruiscono qualcosa di duraturo. Penso sia necessario, invece, fare un passo in più d’interessamento e d’impegno verso la politica, smettendo di continuare a criticarla – pure a ragione –, senza però contribuire mai a un suo piccolo cambiamento».

D’altronde, è innegabile il disimpegno nei confronti della politica (anche in casa cattolica). Le persone si lamentano della classe dirigente, ma sempre di meno s’impegnano attivamente: «Da che mondo è mondo, le persone si muovono per due ragioni: quando c’è una convenienza economica o quando c’è un’attrattiva umana, qualcosa che incuriosisce e attrae. Dovendo escludere la convenienza economica, perché (a differenza della prima Repubblica) entrare oggi in politica non porta vantaggi non solo dal punto di vista economico, ma neanche da quello dell’immagine. La classe politica è ritenuta quasi come la feccia della società (e uno che si candida deve mettere in conto che nel migliore dei casi sarà guardato con sospetto). L’unica strada è, dunque, avere una proposta attrattiva, nella quale si intuisca che nell’impegnarsi c’è un’occasione di crescita per sé. Il bene comune passa da un bene per me, potremmo dire. Insieme, però, occorrono anche degli ambiti di comunione». Non a caso Piga ha fondato l’associazione Lab-Ora, di cui è attualmente Vice Presidente, che sostiene la maturazione in Italia di una cultura politica conservatrice ispirata e moderata dalla Dottrina Sociale della Chiesa e dall’umanesimo cristiano: «Sì, perché c’è bisogno di ambiti che sostengano chi ha la passione politica. Così come in famiglia la passione non basta per farla rimanere unita (perché ci sono momenti in cui viene a mancare, ed è un attimo mollare tutto), lo stesso vale in politica. Se da un lato ci vogliono persone genuine e autentiche, che veramente si spendono non per una realizzazione personale ma per mettersi a servizio del bene comune, dall’altra parte c’è anche bisogno di ambiti che sostengano chi s’impegna, correggendolo qualora incappi in qualche errore, perché capita a tutti di sbagliare». Certamente tutti possono mancare in qualcosa, eppure il sistema politico attuale pare risucchiare (e annientare) chi lo vuole migliorare: «Questo rischio del farsi risucchiare c’è tutto, ma credo si debba avere un pizzico di fede, nel senso che ciascuno di noi non deve tirarsi indietro nel fare, anche se può apparire poco. Da questo punto di vista, ripeto, avere un ambito di persone con le quali condividere la vita politica e la vita tutta è fondamentale».

Si è parlato di attrattiva, di aver fiducia, di comunione e il pensiero corre alla persona più attraente della storia: Gesù Cristo. Domando allora quanto sia importante la fede: «Ha un’importanza particolare su tutto ovviamente. Se dovessi dire in politica, direi che la fede probabilmente è l’ultimo baluardo che ti permette di guardare chiunque ricordandoti che gli altri non sono lì a caso, anche i tuoi rivali o i “traditori”, e che ciascuno è un’occasione di crescita reciproca. Soltanto la fede può dare tale visione. Al contrario, è molto più facile rimanere sulle proprie convinzioni e avere come obiettivo esclusivo quello di far valere le proprie idee. La fede ti consente, invece, di mantenere la mano tesa così da lasciare spazio a un rapporto che va anche al di là della questione politica, tanto da poter diventare occasione di testimonianza e di amicizia, da cui la politica ha solo da guadagnare. Poi è chiaro che la fede porta cultura, le cose prendono sempre un’ipotesi di significato, tutto ha un senso, se pur talvolta nascosto».

È innegabile che la società sia attraversata da profonde divisioni che si ripercuotono anche e soprattutto sulla politica: «Si parla tanto di dialogo e democrazia ma l’esperienza ci dice che in realtà c’è una continua delegittimazione. A tal proposito, posso raccontare un episodio “simpatico”. Durante la mia campagna elettorale, siccome non sono un personaggio mediatico famoso, mi sono fatto pubblicità con un camion a vela, dove c’era il mio faccione stampato sulle fiancate. Beh, dopo poco che girava, mi sono ritrovato scritto: “Fuori dai…”». Senza contare l’odio che si scatena sui social: «Esatto! Sono perciò convinto che chi fa politica non deve accontentarsi di fare propoganda. Se la propaganda ci sarà sempre, perché i messaggi non possono essere incomprensibili per via della tecnicità di alcune questioni, tuttavia bisogna sapere qual è la proposta puntuale che sta dietro a uno slogan e saperla motivare e – perché no? – arricchire».

Si ritorna al tema del bene comune: «Giussani ne Il senso religioso spiegava che la moralità è amare la verità più che se stessi. La politica è sicuramente quell’ambito nel quale questa dose di moralità è particolarmente richiesta, perché tu sei lì a servizio di altri e non di te stesso». Un po’ come tra famigliari, per cui domando quanto la famiglia sia importante nel lavoro: «Vorrei innanzi tutto mettere in ordine le parole “famiglia” e “lavoro”. Quest’ultimo mi serve in vista della famiglia, perché i miei figli possano nutrirsi, crescere, essere educati, andare a scuola (possibilmente in una che condivide le mie stesse idee sulla vita). Se poi hai la fortuna di avere una famiglia unita che ti stima – e io penso di avere questa fortuna –, allora puoi anche permetterti di fare politica. Per esempio, la prima persona con cui ho parlato della mia possibile candidatura è stata mia moglie (che ha dovuto accollarsi molti impegni famigliari da sola), e se lei non avesse accettato non avrei corso alle elezioni. Non solo, la famiglia è anche una palestra, nel senso che si impara tanta politica, ossia come esercitare il potere per il bene di tutti. È importante, anzi fondamentale perché aiuta a tenerti con i piedi per terra. Quando prima parlavo di ambiti che possono sostenere, la famiglia ne è sicuramente uno: è un sostegno e, al tempo stesso, una realtà da seguire e coltivare, fino a sacrificarsi se occorre».

Del resto, la famiglia rimane il caposaldo della società, perché se non ci fosse (con dei figli educati da dei genitori), la società finirebbe. Interrogo: perché questa istituzione è così avversata dal pensiero dominante? E come mai la politica pare fare così poco per aiutare questa istituzione? «La famiglia viene avversata in maniera molto subdola, mai in modo diretto, essendo più che altro snobbata: se ne parla, ma nessuno l’aiuta. Questo deriva da un’idea sbagliata di libertà che si è fatta strada negli ultimi decenni, dove la piena realizzazione è concepita come l’assenza di legami, a dire che uno è libero quando non dipende da nessuno. Da questo punto di vista, la famiglia è ritenuta un ostacolo alla libertà. Per di più, ora si ritiene l’apoteosi della libertà non solo l’assenza di legami ma pure d’identità. Ed è chiaro che questo è il frutto di una concezione individualistica della persona, dove la famiglia non trova spazio o perlomeno lo trova soltanto nella misura in cui nessuno pretende aiuti particolari». E qui si collega la questione educativa: «Sì, ma educativa in un senso profondo, dove ciascuno deve prendersi la responsabilità di indicare il vero che ha riscontrato, che ha incontrato nella propria vita, mettendo in conto che possa non piacere. La realtà ci viene incontro non sempre in modo accogliente, spesso anche in una forma spinosa, difficile da interpretare. Credo che sia importante – consapevole che si possa sbagliare – indicare e vivere quello che di più vero e di più importante si è incontrato».

Prima di congedarmi, butto lì una provocazione: c’è ancora spazio per i “valori non negoziabili”? «Non è un caso che in Europa non ci sia la pena di morte, perché nel Vecchio continente si è costruita una concezione della persona come sacra, intoccabile e inviolabile, un valore non negoziabile, appunto. Lo spazio per questa concezione della persona si sta evidentemente restringendo. Le recenti novità normative, come la delibera di Giunta emiliano-romagnola sul suicidio assistito ne è un tremendo segnale. Per ridare spazio a questi valori, oltre che viverli, credo occorra partire dal fatto che i “valori non negoziabili” non sono dei punti programmatici di una parte politica, ma sono i capisaldi. Porre il tema dei valori non negoziabili non significa imporre un’idea ma porre un tema: sulla base di cosa vogliamo costruire la nostra società? Quali valori vogliamo conservare affinché non si perda tutto il progresso che si è raggiunto fino adesso?». È la questione veritativa (ossia la verità è eterna e vale per tutti in ogni tempo) e non una reazione istintiva ed emozionale del momento: «La verità non può essere ostaggio della maggioranza! In politica si può – e forse si deve – cambiare chi governa, ma occorrono dei paletti attorno ai quali sia la maggioranza sia l’opposizione decidono di costruire il futuro della nazione. Paletti dai quali non si può uscire ed entro i quali ci si può sfidare, quasi in una sorta di ring all’interno del quale però bisogna rimanere. Altrimenti sarà inevitabile divenire una società incivile».

Mi accomiato provocando una parola di speranza: «Impegnarsi un pochino di più di quello che ci si è impegnati ieri porta sempre delle sorprese positive. Come diceva Peguy: “Non compie tutto il suo dovere chi pensa di aver fatto solo il suo dovere”».

(Foto Imagoeconomica)


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