Nel Vangelo della scorsa domenica Gesù ci ha invitato a tornare “al principio”, al sogno di Dio per l’uomo, alla santità: pienezza della comunione delle creature con Lui. È questo a dire il vero il desiderio che da sempre alberga nel cuore dell’uomo, una sete di eterno, dell’Eterno. È il sogno che si fa domanda nelle parole giovane che si avvicina a Gesù: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”.
Il Vangelo ci narra un incontro che sulle prime si annunciava promettente e che poi precipita ingloriosamente in un nulla di fatto, è la storia di un aborto. Un fallimento pastorale. Anche Gesù ha dovuto segnare il passo dinnanzi a quel santuario che si chiama libertà e dove si entra solo se accolti e se la persona chiamata abbassa la maniglia della porta che si apre solo dall’interno. La storia comincia con l’incursione del “tale” che corre incontro a Gesù e gli ostruisce il cammino. Ha maturato una domanda che gli ha tormentato il cuore e ora gli tormenta le mani mentre è davanti al maestro: cosa devo fare? Cosa fare della mia vita per essere felice? Qui si ha il coraggio di guardarsi, è di scena il volto e il petto che dice apertura e accoglienza. Dopo ci si difenderà con le spalle che sono uno scudo per non essere guardati e scomodati. La via dei comandamenti è già stata percorsa, li osserva con attenzione, non è un giovane alle prime armi, alla prima “cotta spirituale”.
Siamo portati a pensare alla vita spirituale come ad un accumulo di crediti e di meriti, ad una somma di titoli da vantare sul biglietto da visita. Ma l’amore non è mestiere da contabili, non si investe, ci si investe, non si gioca come in borsa, ci si gioca con tutto se stessi. È di tema l’amore, la vita stessa di Dio, e non le prestazioni spirituali e le contorsioni nella palestra delle virtù. “Allora Gesù fissatolo lo amò”. Se anche lontanamente ci si lascia interrogare e inchiodare da questo sguardo del Maestro, tutto il resto si scontorna fino a scomparire del tutto come pula che il vento disperde.
Il giovane ricco vuole raggiungere il Regno, cerca l’Eterno, vuole arrivare alla Vita, ma vuol farlo attraverso logiche e strumenti tutti suoi, senza affidarsi a Dio, senza sganciarsi dalle zavorre che lo tengono lontano dal “principio” senza restare nello sguardo di Dio. Stare nel suo sguardo amante e infuocato è la sfida che i santi hanno accettato fino a consumarsi per Lui come la lampada che fa compagnia alla Custodia del Santissimo nelle nostre chiese. Oltre il cono di luce del Suo sguardo ci sono cose che promettono e non danno, abbracci che attirano fino a strangolarci, luccichii di città belle viste da lontano, ma che avvicinate e percorse graffiano anche l’anima.
La posta in gioco è alta, Gesù non concede saldi di fine stagione, ma chiede tutto per darSi totalmente a chi è disposto a rischiare per Lui e per il Regno di Dio: “Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo, poi vieni e seguimi!”. Sembra alto il prezzo, ma è solo simbolico, quello che si versa all’iscrizione è solo un’ombra rispetto a quanto si riceve. È un modo per scoraggiare i pavidi e i calcolatori, Gesù non vuole con sé funzionari e narcisisti continuamente allo specchio. “Si fece scuro in volto e se ne andò rattristato perché aveva molti beni”. Si rabbuiò in volto e in cuore e voltò le spalle alla felicità. Intitolati a lui avremmo avuto strade e santuari, basiliche e sacrati, ma quel giorno scelse di restare attaccato ai beni perdendo il Bene.
Come tanti nostri giovani restò a sfogliare le margherite del dubbio e non si lanciò nell’avventura dell’Amore, nel sogno di Dio, restando per sempre e per tutti solo “un tale”.
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