Padre Andrawos El Tabchi, parroco della chiesa cattolica maronita di St. Maron a Filadelfia, ha parlato dell’attacco subito il 2 ottobre scorso, nella sua canonica di Filadelfia, definendolo un “punto di svolta” che lo ha costretto «a riflettere profondamente sulla vita, sulla fede e le forze del male, così come sul perdono». L’aggressione è avvenuta alle 9.30 del mattino, quando un uomo dai tratti somatici mediorientali ha preso a pugni e a calci la porta della canonica, per poi introdurvisi e aggredire padre El-Tabchi prendendolo a pugni e schiaffeggiandolo e per poi darsi alla fuga. Questa esperienza, come racconta il sacerdote in una lettera indirizzata ai suoi parrocchiani, lo avrebbe spinto ad importanti riflessioni che avrebbe collocato nel contesto della Parola e che, di seguito, condividiamo.
In primis l’aggressione gli avrebbe ricordato «quanto sia breve la vita e quanto il male possa essere in agguato proprio dietro l’angolo, pronto a colpire in qualsiasi momento». E proprio per questo, l’attacco lo ha portato a rafforzare la sua determinazione a proteggere la parrocchia e a difendere la sicurezza di ognuno dei suoi parrocchiani. Padre El-Tabchi ha ricordato la parabola del servo buono e fedele (Mt 24,45-51) a cui il Signore ha affidato tutti i suoi beni e i suoi domestici, sottolineando che «come sacerdoti, siamo chiamati ad essere quel servitore fedele e saggio, sempre vigile, pronto a proteggere e servire il popolo di Dio».
Sarebbe stata proprio l’aggressione subita ad avergli fatto vivere questo, «perché ho sentito il peso della mia responsabilità di prendermi cura di questa famiglia parrocchiale», ha detto. «Come il servo deve restare vigilante e diligente, anche noi dobbiamo restare saldi nel nostro dovere, custodendo la fede e le anime che ci sono affidate». Inoltre, citando la Prima Lettera di san Paolo ai Tessalonicesi, nella quale l’apostolo avverte che il giorno del Signore verrà di notte, come un ladro, ha aggiunto: «Non sappiamo quando si presenteranno le sfide, ma come figli della luce dobbiamo essere sempre preparati». E, continuando a fare riferimento alle parole dell’apostolo ha aggiunto «rivestendoci [a questo scopo N.d.R.] della corazza della fede e dell’amore, e dell’ elmo della speranza e della salvezza».
Ha inoltre riflettuto sul rapporto tra misericordia e giustizia che questo episodio gli ha posto decisamente davanti: «Molti mi hanno chiesto: “Tu sei un prete, come puoi denunciare l’uomo che è entrato in casa e ti ha aggredito?”. La mia risposta è fondata sulla verità che Dio è misericordioso e giusto. La Sua misericordia si estende a tutti, offrendo perdono e compassione a coloro che lo cercano, mentre la Sua giustizia assicura che la verità e la rettitudine prevalgano». Ciò, sostiene, implicherebbe un atteggiamento, di fronte alle ingiustizie, di grande equilibrio, in cui giustizia e misericordia devono operare in armonia, come sottolinea: «Non restare fermi di fronte al male, ma anche mostrare misericordia e compassione in risposta agli errori».
Ha osservato, inoltre, «che la misericordia senza giustizia è morta, e la giustizia senza misericordia è spietata». Questo, afferma, è un rapporto che troviamo in perfetto equilibrio in Dio, che ci insegna a vivere con compassione ma anche perseguendo ciò che è giusto. «Siamo invitati, come ci insegna Gesù, a essere come il nostro Padre Celeste, misericordioso e giusto, riflettendo il Suo amore sia nelle nostre azioni che nelle nostre decisioni. La ricerca della giustizia non nega la misericordia; ci consente di agire con integrità confidando nel Piano Divino di Dio sia per la guarigione che per il senso di responsabilità». Ha concluso la sua lettera chiedendo ai suoi parrocchiani di «pregare per l’anima perduta che ha commesso questo atto e di perdonarlo». (Fonte foto: Saint Maron Church, Fadi Saroufim)
Potrebbe interessarti anche