Presa com’è a denunciare l’”onda nera” e il sempre imminente “ritorno del fascismo”, la cultura dominante di matrice progressista, è riuscita – tra amnesie e censure – a non fare mai i conti con il socialismo reale. Quasi gli orrori delle dittature rosse non siano mai esistiti e sia solo una fissazione da ostinati e da faziosi, quella di raccontare cosa sono state – in termini di ideologia, violenze e repressioni – quelle esperienze. Chi ha pensato bene di rompere un silenzio lungo decenni, almeno nel dibattito culturale italiano, è la giovane Anita Likmeta.
Nata a Durazzo durante il regime comunista di Enver Hoxha e approdata nel nostro Paese, dove si sta facendo conoscere per un libro – eloquentemente intitolato Le favole del comunismo (2024) –, la scrittrice è però ora sotto attacco; e in una lunga intervista concessa al Timone, realizzata dalla giornalista Costanza Cavalli, denuncia come non le si perdona di aver scritto quelle pagine di denuncia e di verità sul socialismo reale: «Vogliono insegnarmi che cosa devo pensare di ciò che vissuto».
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