Fa parte della branca dei lupetti, o meglio, in questo caso dovremmo dire del “branco” dei lupetti, ma non stiamo parlando di un piccolo scout, ma di un bambino convinto di essere un lupo. E no, non fa parte dei soliti giochi di fantasia dei bambini, ma di quella che è stata considerata una forma niente meno che di “disforia di specie”. Almeno, ha deciso così una scuola della Scozia che ha permesso, di fatto, ad un alunno di percepirsi come lupo, sostenendolo in questa sua convinzione. Viene immediatamente da chiedersi a quale razza di metodo pedagogico si siano ispirati nell’assecondare un simile delirio.
Si sa solo che si è deciso, in questo caso, di applicare fino all’inverosimile, le linee guida del governo scozzese denominate GIRFEC (Getting it right for every child) che, in buona sostanza, mirano a supportare gli alunni indipendentemente dagli ostacoli all’apprendimento o dalle sfide che devono affrontare. Di questo programma fa parte anche la cosiddetta “ruota del benessere”, un diagramma che avrebbe lo scopo di aiutare i bambini a “superare le disuguaglianze” e a garantire che vengano ascoltati nelle “decisioni che riguardano la loro vita, con adeguato supporto dove ritenuto opportuno”.
Ma il bello è che tutto questo non ha niente a che fare con diversità, non discriminazione e uguaglianza, semplicemente perché, come ha spiegato il neuropsicologo clinico Tommy MacKay intervistato dal Daily Mail dallo stesso quotidiano britannico, «non esiste una condizione scientifica come la “disforia di specie”». Questa situazione sarebbe invece figlia, secondo lo specialista, dell’infausto periodo storico- sociale che stiamo attraversando: «Non è sorprendente», continua nella sua intervista al Mail, «che ciò avvenga in un’epoca in cui molte persone vogliono identificarsi in qualcosa di diverso da quello che sono».
Quello che per il neuropsicologo sarebbe sorprendente, invece, è che la scuola supporti il ragazzino nella sua convinzione di essere un animale a tutti gli effetti: «Ora abbiamo un consiglio che sembra accettare a scatola chiusa il fatto che un bambino si identifichi come un lupo», riporta il quotidiano, «invece di dirgli di uscirne fuori e di prendere coscienza di sé stesso, che sarebbe l’approccio di buon senso». Non osiamo, poi, immaginare in che modo la scuola lo lasci vivere la sua condizione di “lupo” (al posto di alzare la mano per fare le domande, gli verrà consentito di ululare o nell’ora della merenda di andare a caccia fuori o di tirare un bel morso vigoroso ai compagni?).
Eh sì, perché a seguire certi dettami basati sulla dittatura dei desideri si rischia di arrivare veramente all’assurdo. Nella disperata ricorsa dell’esaltazione del sé, senza più il sano confine del limite, l’autocoscienza perde il senso di se stessa, dissolvendosi in mille forme, il cui limite, non è essendo più il dato biologico supportato dal retto uso della ragione, sarà solo – ahinoi – la fantasia. In questo, come in tanti altri casi, assistiamo ad un’inarrestabile deriva antropologica che sembra proprio, nel suo delirio di onnipotenza (per la serie “così è se mi pare”, parafrasando Pirandello) portare invece alla distruzione dell’uomo nella sua stessa essenza.
In questo solco si collocano anche altri folli esiti di chi abbraccia volentieri gli assunti della liquidità di genere (seppure in una fascia di età diversa, ma con conseguenze ugualmente gravi) come ad esempio gli age gender, coloro che non si identificano con la loro età anagrafica, come il papà di ben 6 figli che a Toronto ha trovato una famiglia disposta ad adottarlo e a lasciarlo vivere come se fosse una bambina di 7 anni. Ma si annoverano anche gli uomini-cane, che si comportano come cuccioli a tutti gli effetti, chiedendo coccole ai loro padroni, mangiando in una scodella, arrivando persino a passeggiare a quattro zampe per le vie della città, ovviamente al guinzaglio.
E per non farci mancare niente c’è anche chi si percepisce addirittura disabile e no, non percepire la pensione di invalidità “a tradimento”, ma perché lo specchio della sua follia gli restituisce questa immagine di sé che tutti devono assecondare. È il caso, ad esempio, del norvegese Jorund Viktoria, un maschio normodotato che si identifica addirittura come donna disabile. Chissà come l’avranno presa bene le donne norvegesi disabili che stanno, loro sì, affrontando veramente un dramma! Solo che nel nostro caso l’aggravante è la tenera età del soggetto, ma apprendiamo, senza neanche troppa meraviglia, che il piccolo lupo non è l’unico bambino, nelle scuole inglesi ad indentificarsi in un animale, la tendenza è talmente diffusa che è stato necessario coniare un neologismo “bambini furry” dove “furry” sta per “creature dotate di pelo”. E tra le scelte più quotate ci sono il gatto e il dinosauro.
Ma a tutto questo delirio c’è un limite? Non si sa, ma c’è ancora qualcuno che resiste, come il dottore citato nel video virale di Tik Tok diffuso da una mamma statunitense, Kass Theaz, che si è vista respingere il figlio che si identificava come gatto, come paziente, da un veterinario che le ha risposto sull’ evidenza scientifica dell’ anatomia umana non paragonabile a quella di nessun animale. Allora forse un po’ di speranza c’è, se esiste ancora qualcuno capace di gridare: «Il re è nudo!» (Foto: Pexels.com/Pexels.com).
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