«“Meglio di questa famiglia qua non so se ce ne sono altre”, bisbiglia un vicino che si allontana in bici». A raccogliere questa e altre dichiarazioni Il Giornale che, come molte altre testate, riporta i fatti agghiaccianti della strage di Paderno Dugnano e le reazioni sconcertate, incredule delle persone che vivevano accanto alla famiglia sterminata dal figlio più grande, un comunque giovanissimo diciassettenne. Sabato 31 agosto era il compleanno del papà, Fabio, 51 anni portati bene: a detta di tutti sembrava più giovane. Imprenditore edile, un gran lavoratore secondo l’opinione di chi lo conosceva, aveva garantito alla sua famiglia un discreto benessere. Riccardo è il figlio più grande, poi c’è Lorenzo, 12 anni, e la mamma Daniela, 48 anni.
Riccardo ha ucciso tutta la sua famiglia perché, leggiamo da Open, si sentiva oppresso: «“Mi sentivo un corpo estraneo nella mia famiglia. Ho pensato che uccidendoli tutti mi sarei liberato da questo disagio», ha detto ai carabinieri dopo le 13 di ieri, 1 settembre 2024. Aveva chiamato lui stesso il 112 per dire che il padre aveva ucciso sua madre e suo fratello e lui l’aveva ammazzato per salvarsi. Ma quando i militari sono arrivati in via Anzio a Paderno Dugnano lo hanno trovato davanti al cancelletto del numero civico 33 pieno di sangue. In mano aveva ancora il coltello. La sera prima la famiglia era riunita a cena per festeggiare il 51esimo compleanno del padre. «Me ne sono accorto un minuto dopo. Ho capito che non era uccidendoli che mi sarei liberato», le sue parole.
LA STRAGE DI PADERNO DUGNANO E IL MISTERO DEL MALE
Una definizione che ci suonerà a lungo tragicamente familiare, come molte altre, purtroppo: la strage di Erba, il delitto di Novi Ligure, quello di Cogne e molti altri. Fatti criminali di indicibile violenza che – come si è raccontato anche sulle pagine della nostra rivista (qui per abbonarsi) – siamo abituati a vedere riempire i palinsesti di tutte le reti, in grado di garantire presenze in studio a diversi esperti: criminologi, psichiatri, sociologi e generici opinionisti. Ma chi davvero può dirsi esperto di una simile materia? C’è qualcosa che continua a sfuggire al sistema di interpretazione consentito dalla cultura laica ed è il mistero del male, sia quello assoluto e spirituale, che sappiamo avere un nome preciso, sia quello personale che si annida come potenziale esplosivo nel cuore dell’uomo.
Ogni uomo, dunque. Anche nel cuore di un adolescente e nemmeno di quelli che, per facilità di interpretazione ed esigenza di categorizzare, appartengono al “disagio giovanile”. Riccardo studia al liceo scientifico nel paese vicino, non ha mai dato segnali di disagio – e disagio sembra l’unico concetto che il sentire pubblicamente consentito conceda – , era socievole, aperto, amico di tanti suoi coetanei che non possono credere a ciò che ha fatto. Un’amica appena le è giunta notizia ha detto: «Non può essere stato lui». E invece è stato lui, lo ha confessato.
«Verso le 2 di notte è sceso al primo piano di casa sua. Ha preso un coltello dalla cucina, è entrato nella stanza di Lorenzo e l’ha ucciso nel sonno. Svegliata dai rumori, la madre Daniela è stata accoltellata davanti alla porta della stanza del figlio minore. Poi è toccato al padre, colpito anche lui nella stanza del figlio. Il corpo sarà trovato tra il letto e il pavimento. Infine, la chiamata al 112. Con la versione immaginata per l’occasione: «Venite, ho ammazzato papà». Alle 2.20 i soccorritori trovano Riccardo C. nel vialetto d’ingresso in mutande e completamente ricoperto di sangue. Da quel momento scatta l’indagine che porterà il ragazzo a confessare la strage di Paderno Dugnano. Alle 14 davanti alla Pm della procura dei minorenni Sabrina Di Taranto e al procuratore capo di Monza Claudio Gittardi la confessione».
PERCHÉ UN GESTO SIMILE?
Il delitto è aggravato dalla premeditazione che il giovane ha spiegato come un’idea che covava da un po’ insieme a quella sensazione, a cui non ha saputo dare un nome né ha potuto consegnare a qualcuno da cui si sentisse capito, di sentirsi estraneo, radicalmente solo, insoddisfatto. «Io da questa famiglia mi sentivo estraniato. Come, non saprei dire… ecco: oppresso. Non so dirvi da quanto. Da un po’. E ho pensato che liberandomi di tutti loro mi sarei liberato anche di questo problema, di questa sensazione». Tragica ingenuità di un ragazzo che non sapeva ancora cosa aveva nel cuore, che non ha forse incontrato nessuno che sapesse aiutarlo a capire che l’inquietudine e la solitudine non sono solo motivo di sofferenza, ma anche segno della grandezza che ci distingue da tutti gli altri esseri viventi.
Come la noia, anche questa percepita estraneità, di cui non sapeva origine e destino, avrebbero potuto essere – e possono ancora, ma ora con un carico mastodontico di male compiuto – l’inizio di un sentiero nuovo, quello che dall’infanzia porta all’età adulta, quello che ci fa scoprire che a posto non lo saremo mai, che essere adulti significa scommettere sul serio sul senso dell’esistenza, spendendola per qualcosa e qualcuno che siano grandi almeno quanto il vuoto e il desiderio di distruggere che Riccardo aveva iniziato a sentire e non ha saputo a chi consegnare.
C’è un’attrazione, nel compiere il male; c’è possibilità di ferocia in ognuno di noi, e chi compie i delitti più efferati non appartiene a specie diverse, siamo sempre noi; quelli il cui cuore è l’unica sorgente – inquinata a sua volta – capace di far sgorgare il male (il vangelo di ieri ce lo ha ricordato). Arriveranno le interpretazioni scientifiche, quelle in grado di spiegare solo in parte cosa è successo; speriamo arrivi al cuore di molti anche la voce della Chiesa che, vera esperta di umanità e unica depositaria della salvezza, dica il nome del male di cui tutti siamo capaci e soprattutto l’unico Nome nel quale quel male è stato vinto. (Fonte foto: Ansa)
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