Ha conquistato sul tatami il quinto oro del medagliere azzurro: è Alice Bellandi, judoka italiana, bresciana per la precisione, che ha battuto in finale l’israeliana Inbar Lanir per 11-0. Subito dopo è corsa in tribuna per baciare Jasmine, la sua compagna, debitamente immortalata e rilanciata su social e giornali. Siamo certamente orgogliosi di lei, delle sue prestazioni sportive, della tempra che ha mostrato, del lustro che dà allo sport italiano in questa competizione.
Manifestiamo invece qualche perplessità sul fatto che la sua espressione di amore saffico sia stata osannata e celebrata su tutte le principali testate e anche sul suo stupore e la pretesa di totale normalizzazione di episodi simili. Ma lei è parte in causa, ci crede, è legata da un legame che reputerà sincero con una persona dello stesso sesso; per prima cosa è un peccato che venga chiamata a deporre sul tribunale del progresso obbligatorio in un’unica direzione – e magari meno a raccontare delle sue imprese sportive.
Sul fronte del peccato morale non c’è qui bisogno di entrare in merito: la dottrina cattolica è chiara nel giudizio, che non è in contraddizione con la vera misericordia (di sicuro non è la misericordia che il mondo pretende dalla chiesa che si è confezionato: qualsiasi cosa accada, basta che si gridi “ma è amore!”, è la misericordia formato snack cade, come da un distributore debitamente scosso). In questo caso il merito della questione è un altro: si tratta dei media che ancora una volta si sono accordati con lo stesso diapason e hanno intonato inni.
Lo scopo di articoli, prime pagine e approfondimenti (dal Corriere, alla Stampa, alla Gazzetta) non è affatto normalizzare, è di più: è nobilitare, esaltare, promuovere come migliore ogni legame omosessuale. Ed è successo nel giorno che ha visto un’altra atleta donna italiana, Angela Carini, crollare e ritirarsi sotto i colpi di un avversario che le stava facendo troppo male, Imane Khelif, definito come iper-androgina, accettato alle Olimpiadi parigine dopo la valutazione dei livelli ormonali nel sangue e classificato come donna, in una definizione che sta facendo molto discutere.
I dogmi della ideologia a narrazione unica iniziano a mostrare tutta la loro incoerenza e il potenziale di confusione e ingiustizia di cui sono dotati: in sintesi, bene essere donna, male essere mamma; ok essere mamma ma meglio se per puro desiderio e se esito di un “progetto” condiviso con partner dello stesso sesso (e qui si apre la parentesi dell’orrore planetario dell’utero in affitto); ok dedicarsi a qualsiasi attività, benissimo lo sport e le competizione per le donne, salvo però tagliare le gambe proprio alle donne vere permettendo a chi si definisce donna ma rimane un uomo nella struttura, nella forza, nell’assetto biologico di misurarsi ad armi impari con loro.
Le donne, quelle normali, ne escono umiliate. Persino la stessa Alice Bellandi, che ha vinto l’oro, il premio viralità per la foto del giorno, il Nobel del bacio più bello del mondo è umiliante: perché si parla di lei con tanta enfasi per una cosa che non dovrebbe definirla, soprattutto in questo frangente? Su questo ha ragione: era al settimo cielo, voleva semplicemente condividere la gioia con la persona che le è più cara.
E, a dirla tutta, di baci belli, appassionati e liberatori questa Olimpiade non così balneabile come avevano promesso (ad essere inquinata e pericolosa non è solo la Senna) ne ha offerti altri. Senza pretesa di par condicio, come fanno anche molte testate, ma con una differenza di toni nel racconto che è difficile non notare, possiamo sommessamente ricordare quello tra il tre volte campione olimpico di nuoto Gregorio Paltrinieri e Rossella Fiamingo, oro nella spada femminile a squadre (Foto: Corriere/Repubblica/La Stampa)
Potrebbe interessarti anche